La teoria della Relatività ristretta (1905) descrive come i fenomeni fisici appaiono mutare a seconda della velocità relativa (appunto) e costante con cui si muovono, l’uno rispetto all’altro, osservatore e fenomeno osservato. La teoria della Relatività generale estende la trattazione al caso più generale (ari-appunto) e più complicato della presenza di una velocità variabile causata da un’accelerazione o da un campo gravitazionale (che poi sono la stessa cosa, anche se nessuno sa perché).

Queste teorie furono formulate da Einstein per tener conto dell’invarianza della velocità della luce e risolvere l’inconsistenza tra la natura della luce che si andava delineando in quegli anni e la meccanica ‘classica’ di Newton. L’esperimento di Michelson-Morley aveva infatti dimostrato che la velocità della luce è sempre pari a 300,000 km/s, indipendentemente dalla velocità aggiuntiva del sistema di riferimento in cui faccio l’esperimento. Aveva inoltre spazzato via l’idea dell’esistenza di un etere cosmico, un supporto di cui la luce, in analogia alle onde acustiche, avrebbe avuto bisogno per propagarsi.  Lo studio dell’emissione della luce da un corpo riscaldato (radiazione di corpo nero)  assestò un colpo micidiale alla meccanica classica, ponendo le basi della rivoluzione della meccanica quantistica.

Anche nel mondo macroscopico le cose non andavano meglio: anche senza etere e a velocità costante, i campi elettrici e magnetici avevano proprietà molto diverse a seconda della velocità  del sistema di riferimento in cui mi trovo. Ad esempio,  un filo isolante su cui pongo una carica elettrica stazionaria genera un campo elettrico, ma se mi muovo rispetto al filo misuro la comparsa di un campo magnetico, generato da una corrente elettrica dovuta in questo caso alle  cariche in apparente movimento.

L’esigenza era dunque di avere una serie di equazioni che permettessero di descrivere questi fenomeni e passare da un sistema di riferimento all’altro. Come già accennato i sistemi di riferimento che consideriamo sono inerziali, ossia a velocità costante nella relatività speciale e non inerziali (accelerati) per quella generale.

In un post (e in un podcast) precedente avevamo discusso di come Emmy Noether, “dea” della matematica degli anni ’30, aveva messo in relazione l’invarianza delle leggi della fisica secondo una trasformazione con la conservazione di una quantità fondamentale ad essa associata. Gli esperimenti danno lo stesso risultato se spostiamo il laboratorio? Si conserva la quantità di moto. Se giriamo il tavolo non cambia niente? Si conserva il momento angolare. È lo stesso se facciamo l’esperimento oggi o procrastiniamo a domani? Si conserva l’energia del sistema.

Ad esempio la lunghezza di un righello, L, deve essere la stessa sia che lo spostiamo, lo ruotiamo o la misuriamo – come insegna la nota fisica Rossella O’Hara – un altro giorno.

Se abbiamo a che fare con oggetti in movimento la formula di partenza è:

Ossia lo spazio percorso (s) è pari alla velocità relativa tra osservatore ed oggetto osservato (v) per il tempo trascorso (t).

Al quadrato:

spostando il termine con la velocità a sinistra compare il famigerato segno meno:

Abbiamo quindi quattro coordinate, tre spaziali (x,y,z, incluse dentro s) ed una temporale, con un segno meno e moltiplicata per una velocità. In generale si introduce  un oggetto con quattro componenti – detto quadrivettore –

Per comodità davanti al tempo si mette la radice quadrata di -1 (l’unità immaginaria), in maniera che quando facciamo il quadrato ‘pitagorico’ ci troviamo il segno meno come nell’equazione sopra.  Come velocità si inserisce la velocità della luce c = 300,000 km/s. In questa maniera la lunghezza (modulo) al quadrato è dato dalla somma dei quadrati delle componenti, in analogia alla lunghezza pitagorica nello spazio euclideo.

Va notato, ribadito e ripetuto che questa è una pura convenzione matematica che aiuta a semplificare i conti (che possono essere fatti anche senza ricorrere a questo artificio). Lo stesso aggettivo ‘immaginario’ per i numeri radice quadrata di valori negativi è un termine come un altro che trae in inganno sulla reale natura del tempo, infinitamente più complessa, profonda e ancora completamente sconosciuta di quanto una mera radice di meno 1 possa indurre a credere.

A questo punto possiamo:

  • Ruotare intorno agli assi ‘spaziali’ x,y,z: è una rotazione ‘classica’,  in cui la lunghezza dei miei oggetti rimane la stessa e cambiano solo le loro coordinate.
  • Ruotare nel piano x-t: in questo caso passiamo da un sistema di riferimento stazionario ad uno che si muove lungo l’asse delle X con velocità costante. L’angolo di rotazione dipende proprio dalla velocità relativa tra i due sistemi di riferimento (tangente theta = v/c ). Le formule che descrivono questa rotazione sono proprio le trasformazioni di Lorentz e descrivono come spazio e tempo appaiono mutare a seconda della velocità relativa tra il sistema di riferimento in cui si trova l’osservatore e quello del fenomeno osservato. Va ribadito che questo spazio è non-euclideo per via del segno meno (la geometria è iperbolica, non sferica). È una costruzione geometrica analoga a quella dello spazio tridimensionale, ma profondamente diversa per la natura completamente differente del tempo (se non altro perché nelle coordinate spaziali possiamo andare in ogni direzione e in quella temporale solo in avanti). Questa costruzione risulta però comodissima per semplificare i calcoli, che comunque sono spesso un vero incubo.

Se nelle rotazioni spaziali la lunghezza del righello rimane invariata, in quelle di Lorentz è la differenza tra il quadrato della componente spaziale e quella temporale a conservarsi. Il modulo (o meglio il quadrato di un modulo, per comodità) di un quadrivettore è dato dalla differenza dei quadrati della lunghezza (la componente spaziale) e del tempo trascorso (la componente temporale).

La distanza di due punti nello spazio-tempo è un quadrivettore ed è data dalla loro distanza nello spazio meno il tempo trascorso per la velocità della luce:

Per i quadrivettori questa quantità ha lo stesso valore per qualunque sia il sistema di riferimento (non tutte le accozzaglie di numeri a quattro componenti sono quadrivettori, solo quelli invarianti per Trasformazioni di Lorentz). Se S212  è maggiore o uguale a zero i due punti sono causalmente connessi, ossia un evento che ha luogo nel primo punto (un laser o un proiettile che spara) può avere effetto sul secondo (una delle tute-rosse di Star Trek che finisce vaporizzata). Se uso un proiettile convenzionale e sparo dal punto 1 verso il punto 2 ho 2 S212 >0 . Se uso un laser S212 =0. Solo segnali trasmessi alla velocità della luce possono avere S122 =0, (non che questo sia di alcuna consolazione per la tuta-rossa di turno).

Se S122 <0 i due punti (o eventi) non sono causalmente connessi, ossia non possono influenzarsi a vicenda.

Quindi se faccio fuoco con il mio cannone laser il mio bersaglio non potrà essere distrutto prima che trascorra un tempo pari alla distanza diviso la velocità della luce. Perciò (purtroppo) la maggior parte dei film e cartoni di fantascienza non ha senso: io non posso ‘vedere, percepire, essere avvertito’ del fatto che mi stanno sparando con il cannone laser, e reagire prima che questo mi colpisca perché appunto la prima cosa che percepisco è proprio il laser mentre mi atomizza (in realtà non lo posso vedere neanche mentre mi atomizza, perché è un laser, ma questa è un’altra storia)…

Dato che il valore di  S122  rimane invariato per cambiamenti di sistemi di riferimento, se due eventi sono causalmente sconnessi , lo sono indipendentemente dalla mia velocità.

Questa descrizione, e le trasformazioni riportate in basso posero le basi per lo studio dei fenomeni apparentemente paradossali che si manifestano a velocità relativistiche: di questi la contrazione delle lunghezze e dilatazione dei tempi sono i più classici: ne parleremo in un prossimo post.

Formule pizzose:

Se poniamo il righello nell’origine di un sistema di assi cartesiani, la sua posizione è definita da tre coordinate. il righello è quindi rappresentato da un vettore, ossia da tre numeri che ne identificano la posizione nello spazio):

La sua lunghezza è data dal teorema di Pitagora:

Ci si può convincere che se traslo o ruoto il mio sistema di riferimento la lunghezza L non cambia. Inoltre, il valore di L rimane immutato nel tempo, dato che esso non compare nella formula.

In generale, la posizione ed orientazione del righello nello spazio è definito da due coordinate (ciascuna di tre punti) nello spazio e la sua lunghezza è:

 

Nel caso del quadrivettore posizione:

 

Le trasformazioni di Lorentz possono essere ricavate con l’ulteriore richiesta che la velocità della luce sia la stessa in tutti i sistemi di riferimento. Si può dimostrare che:

La velocità massima di propagazione delle particelle e dei segnali è  c=300,000  km/s ed è pari alla velocità cui si muovono le particelle di massa nulla (non solo i fotoni della luce ma anche i gluoni della forza forte e i gravitoni di quella gravitazionale, anche se lì le cose si fanno molto più complicate). I neutrini hanno una massa piccola ma non nulla per cui viaggiano praticamente alla velocità della luce (Nel 1987, quando esplose una  supernova nella Grande Nube di  Magellano, questi furono registrati tre ore prima che l’osservazione  fosse visibile, ma solo perché la luce viene emessa in ritardo in questo tipo di eventi).

Un modo per ricavare le TdL è supporre che l’angolo ψ nella rotazione nello spazio complesso è dato da:

(1) continua

(3) Il paradosso dei gemelli nella Teoria della Relatività

(2)  Contrazione delle lunghezze e dilatazione dei tempi 

(1)  Trasformazioni di Lorentz


Immagine di copertina: Arts Vector by Shutterstock