Paolo Bianchi e Marco Casolino al timone di comando della seconda puntata di Scientificast per questo 2018.
Giorgio intervista Giorgio Baiocco, ricercatore presso l’ Università di Pavia e coordinatore del
progetto Perseo. Questo progetto si occupa della radioprotezione individuale degli astronauti ed è
stato recentemente testato da Paolo Nespoli durante la sua ultima missione a bordo della Stazione
Spaziale Internazionale. Perseo è finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana, coordinato dall’università di Pavia, in collaborazione con Thales Alenia Space Italia, Società Metropolitana Acque Torino (SMAT ), AVIOTEC, ALTEC, Dipartimento di Fisica dell’Università di Roma Tor Vergata, Kayser Italia e ARESCOSMO.
Link:
Radbiphys – Università degli Studi di Pavia
Grande scalpore ha suscitato la scorsa settimana la decisione del Governo, già nota dal 2016, di sostituire i sacchetti ultraleggeri in PE per ortofrutta con sacchetti biodegradabili di uguale spessore. Cosa c’è di vero e cosa c’è di falso nelle tante voci che si sono rincorse in rete? Cosa sono le bioplastiche e perché dovremmo interessarcene sempre di più? Abbiamo cercato in studio di rispondere a queste domande.
Per approfondire:
Polimerica in merito alla nuova legge – Fatti e misfatti
Decovery by DSM, un nuovo materiale biobased per la produzione di vernici murali (e non solo)
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In studio: Marco Casolino e Paolo Bianchi
Montaggio di: Paolo Bianchi
Servizio di: Giorgio Garlaschelli
Ospite: Giorgio Baiocco, Università degli Studi di Pavia
Musiche di: Lucio Disarò, Daniele detto “Giuliano Ferrara”
Immagine: Shutterstock
Ascolta “Giubbotti spaziali e polemiche biodegradabili – Scientificast #187” su Spreaker.
Non concordo assolutamente con l’affermazione secondo cui polemizzare sui sacchetti sia “misero”. La politica che si intromette in fatti ambientali senza nemmeno ragionare i propri provvedimenti è un fallimento annunciato.
In questo caso il provvedimento è becero proprio perché per legge deve essere prezzato (iniziativa nobile SE ho un’alternativa più sostenibile e gratuita, in modo da far percepire quel prezzo come il costo ambientale ed incentivare l’alternativa) ed impone sacchetti in MaterBi che, come hai detto, degrada anche in CH4: gas deleterio per l’ozono, appianando le differenze di impatto ambientale rispetto al precedente LDPE.
Sarebbe più sostenibile per l’ambiente solo se trattato in maniera da intercettare questi gas ma non e stata fatta informazione a riguardo verso la cittadinanza e conosco persone che già dicono: “è biodegradabile quindi non è un problema se rimane in un prato”.
Delegare ai singoli la responsabilità di informarsi per una gestione sostenibile dei rifiuti semplicemente non funziona. La riduzione dei materiali di imballaggio dovrebbe essere messa, attraverso la legge, a carico dei produttori (che ora, potendo vendere i sacchetti, saranno semmai intenzionati ad incrementarne l’uso). Il problema non sono i 5€ – 10€ in più per le famiglie ma il fatto che si è fatta passare come “ambientale” una legge che peggiora la questione dell’impatto complessivo.
L’Italia ha recepito normative europee delle quali per altro era stata precursora. Non possiamo che esserne orgogliosi.
Ribadisco che dal mio punto di vista la polemica è sterile e misera perché su una commodities così inquinante ogni passo in avanti è benvenuto.
La maggior parte dei sacchetti finisce in compostori dove c’è un recupero delle esalazioni. Per il resto credo che l’impatto sia trascurabile.
Per il resto sì, quella che manca è una alternativa. E’ un peccato che non sia stata proposta dal principio.
“a carico dei produttori (che ora, potendo vendere i sacchetti, saranno semmai intenzionati ad incrementarne l’uso)”
No, qui c’è un ragionamento sbagliato. Non è che i produttori “possono vendere i sacchetti” mentre prima erano costretti a regalarli.
Prima il supermercato comprava N-mila sacchetti a un certo prezzo, di cui doveva rientrare in qualche modo, si presume spalmandolo nei prezzi dei prodotti che vende (è il principio dell’economia: nessuno regala niente, tranne i nonni e Babbo Natale).
Adesso non “possono vendere” ma “sono obbligati” a mettere il prezzo del singolo sacchetto in evidenza nello scontrino, e ad usare sacchetti biodegradabili.
L’idea dietro la norma è che se il consumatore “vede” che il sacchetto ha un prezzo, gli dovrebbe entrare in testa che non è un “regalo” e nemmeno una risorsa infinita.
Gli aspetti da migliorare sono semmai altri:
1) spiegare alla gggente che il sacchetto biodegradabile va comunque smaltito bene e non buttato per prati;
2) controllare che i supermercati si adeguino segnalando il prezzo del singolo sacchetto e CONTEMPORANEAMENTE togliendo dalla contabilità lo “spalmo” del costo dei sacchetti sui prezzi dei prodotti;
3) iniziare a introdurre una legge seria sulla riduzione degli imballi “a monte”, perché a fronte dei sacchetti dell’ortofrutta ci sono ancora una marea di prodotti con una matrioska di imballi inutili (vita vera: confezione di fette biscottate con plastica fuori, cartone dentro e plastichina per imballare le fette quattro a quattro).
Il rischio delle polemiche sterili è che non passa il concetto che, prima, se le mele costavano 1 Euro/kg in quell’1 c’era un qualche % di costo/imballo, e che ora non dovrebbe esserci più. Ecco, non sento nessuno chiedere di verificare se la distribuzione si è messa in regola con i prezzi da questo punto di vista, che è quello su cui possono fare i furbi. Però se si tirano in ballo tasse inesistenti (non è una tassa) e complotti inesistenti (per favorire la potentissima lobby dei sacchetti biodegradabili), si alza un gran polverone in cui tutti i matti guardano il dito mentre il polverone oscura la Luna.
Avevo scritto che adesso i sacchetti li possono vendere, la parte del ragionamento sbagliata “mentre prima erano costretti a regalarli” l’hai aggiunta tu.
Inoltre, proprio perché nessuno regala niente, una legge che dica ad un supermercato come fare il suo lavoro e dove esprimere i suoi costi è assurda. O meglio: avrebbe una giustificazione se fosse indirizzata ad evidenziare una scelta con un “costo ambientale” affiancata ad un’alternativa più sostenibile (com’è stato fatto per le buste normali in cui nessuno ti vieta di riutilizzare la tua da casa).
Penso sia inutile sensibilizzare senza dare alternative: almeno personalmente, non decido di acquistare meno ortaggi rispetto a prima perché ora pago il sacchetto e il numero totale di sacchetti impiegati non cambia indipendentemente dalla mia sensibilità sul tema.
Quello che ora hanno i supermercati è il problema in più di “adeguarsi a mettere il prezzo”, fine. Avrebbero dovuto avere come problema quello di ridurre il consumo pro-capite di sacchetti, così come per il terzo punto che chiedi di migliorare: tassando i produttori, a monte, sulla quantità di imballaggio impiegato rendi l’imballaggio per loro un costo.
Col mio ragionamento dicevo in altre parole: il produttore/distributore risolve il suo problema esplicitando il costo per il consumatore e alla fine del ciclo ambientale non cambia nulla.
“Avevo scritto che adesso i sacchetti li possono vendere”
Io sto solo sottolineando che è sbagliato il “li possono vendere”, perché li vendevano anche prima, solo che non sapevamo **esplicitamente** il prezzo.
Per il resto sono daccordo con te:
“Penso sia inutile sensibilizzare senza dare alternative:”
“il produttore/distributore risolve il suo problema esplicitando il costo
per il consumatore e alla fine del ciclo ambientale non cambia nulla”
Si, uno dei problemi è la mancanza di alternative, e siamo daccordo.
Per il produttore si risolve quasi soltanto esplicitando il costo, e come ti divevo c’è anche il rischio che lascino i prezzi invariati rispetto a quando il ricarico era implicito. Su queste cose siamo daccordo entrambi.
Che alla fine del ciclo non cambi nulla non sono del tutto daccordo, andrebbero visti gli effetti totali di:
1) la reazione del consumatore al sapere che il sacchetto ha un costo. Dietro alla scelta c’è un ragionamento, basato sulle teorie della “spinta gentile” in economia (vedi le teorie di Richard Thaler), ragionamento che potrebbe essere sbagliato, o basato su dati sbagliati; non sappiamo bene su che basi abbiano preso la decisione in effetti; però le teorie della “spinta gentile” sono andate abbastanza di moda e sono state anche messe in discussione, qui c’è un interessante spunto su Forbes: https://tinyurl.com/forbes-nudge
2) i sacchetti sono di materiale biodegradabile, che SE gestito bene nel ciclo dalla produzione ai rifiuti (e metto un grande SE), dovrebbe avere un impatto ambientale minore del PET. E metto il condizionale.
Sugli effetti di questi due punti spero che ci abbia ragionato la commissione che ha deciso la norma, gli dò il beneficio del dubbio fino a quando non leggerò valutazioni basate su dati.
Però secondo me fare qualcosa è sempre meglio di non fare niente, qualcosa è stato fatto, migliorabile sicuramente, criticabile (come sto facendo) su alcuni punti.
Adesso passo a un discorso generale, non sto accusando te o quello che hai scritto tu, visto che siamo in buona parte daccordo (tranne su quel “adesso li possono vendere”) ma ce l’ho con il polverone che si è alzato in questi giorni.
Se al massimo non cambia nulla o cambia poco per il consumatore, perché si è alzato tutto un vespaio di polemiche come nemmeno quando avevano introdotto la tassa sul macinato? E nessuna delle polemiche entra in critiche costruttive come stiamo facendo qui. Si sono tirati in ballo presunti favori alle lobby del Mater-Bi, presunte “tasse”, presunti regali alla grande distribuzione, presunte forme di resistenza civile come prezzare le noci una ad una.
La norma è stata decisa ad agosto ed entrava in vigore a gennaio. Quindi TUTTE le forze politiche in parlamento sapevano da mesi che a gennaio avremmo avuto questo cambiamento. Nessuno ha detto nulla dopo l’approvazione della normativa, quindi o gli andava bene, o se ne fregavano, o non era un problema per nessuno dei rappresentanti di maggioranza e opposizione in parlamento.
Indipendentemente da chi c’è o ci sarà in parlamento, io spero che quando si approva una legge qualsiasi se a qualcuno non va bene faccia sapere subito quali sono i punti che andrebbero migliorati o le scelte che potevano essere fatte diversamente, non che si tratti la questione sui social-network come una catastrofe improvvisa che arriva appena scatta l’obbligo.