Pensate a un numero a caso: sembra un gioco, ma ci sono un sacco di cose che si basano sui numeri casuali e funzionano solo se… sono casuali per davvero!

Se chiedessimo a un gruppo di persone di dire un numero casuale, molti sarebbero compresi tra 1 e 10, sarebbero molto probabilmente tutti interi, il 10 di Messi e il 46 di Valentino Rossi sarebbero più frequenti del 77 che associamo ad Astutillo Malgioglio (immeritatamente, perché è davvero un grande), per cui non ci potremmo fare molto perchè non sarebbero realmente casuali. Per esempio, non potremmo basarci sopra la crittografia che preserva la riservatezza delle nostre transazioni bancarie online. È proprio attraverso numeri casuali che vengono infatti generate le chiavi crittografiche che rendono sicure le nostre connessioni: il meccanismo che garantisce la sicurezza è molto pragmatico: non è che non si può ricostruire la chiave, è che ci vuole un sacco di tempo, più di quello che un hacker può impiegare per forare i nostri sistemi.

Questa caratteristica nasce da una proprietà della matematica abbastanza curiosa: per fare determinate operazioni il tempo che si impiega aumentando le cifre coinvolte aumenta con una legge di potenza, per alcune invece aumenta esponenzialmente. Per fare un’addizione tra numeri di 10 cifre, per esempio, impiegheremo un certo tempo, mentre per farne una con numeri di 20 cifre impiegheremo circa il doppio; per le moltiplicazioni, visto che ogni cifra del primo numero deve essere moltiplicata per ciascuna cifra del secondo, impiegheremo circa due alla seconda volte, cioè il quadruplo. Per fare la scomposizione in fattori primi di un numero, invece, il tempo aumenta all’aumentare delle cifre in modo esponenziale. Quando la potenza di calcolo dell’hacker diventa abbastanza grande da individuare la nostra chiave, ci basta aggiungere qualche cifra e lui avrà bisogno nuovamente di un tempo virtualmente infinito.

Tutto questo però ha un punto debole: ci serve un sistema per estrarre numeri casuali che siano veramente casuali, altrimenti il nostro hacker, invece di scomporre in fattori primi le nostre chiavi, cercherà di ricostruire l’algoritmo con cui creiamo la sequenza di numeri casuali che del tutto casuali non sono. Gli informatici parlano in questo caso di numeri pseudo-casuali.

Un gruppo di ricercatori di diversi istituti americani e giapponesi ha pubblicato recentemente un articolo su Nature che potrebbe cambiare di molto questo schema. La loro idea è tanto semplice da immaginare quanto complicata da mettere in atto: sfruttare le leggi della natura che impongono un grado di casualità ineliminabile a determinati processi fisici. Sfruttare sistemi quantistici che risentano del principio di indeterminazione.

In realtà, anche fare una “semplice” misura di un fenomeno quantistico potrebbe non essere sufficiente: per descrivere il fenomeno fisico sotto osservazione potremmo dover fare un numero così grande di assunzioni da rendere “non sufficientemente casuale” il risultato. Per esempio, se usassimo delle lenti polarizzate per misurare lo stato di polarizzazione di fotoni, dovremmo essere sicuri di avere oggetti il cui comportamento è conosciuto con esattezza, una esattezza sperimentalmente irrealizzabile con oggetti reali. L’approccio seguito dagli autori è quindi diverso: l’idea è sfruttare la non località quantistica in un esperimento che coinvolga sistemi entangled.

Di questi abbiamo parlato diffusamente in passato, riportiamo qui solo alcune caratteristiche principali. Si tratta di sistemi di due particelle che sono state prodotte insieme: queste vivono in uno stato quantistico che non è la somma degli stati delle singole particelle, ma è uno stato in cui alcune proprietà sono definite per entrambe, ma non per ciascuna. Queste particelle potranno propagarsi in direzioni opposte, ma mantenendo questo stato quantistico “intrecciato”. Prendiamo il caso di fotoni di cui si conosce lo stato di polarizzazione complessivo, per esempio, uno polarizzato circolarmente a destra e l’altro a sinistra, che diano uno stato di polarizzazione nulla complessivamente. Alla produzione, nessuno dei due ha uno stato di polarizzazione definito, l’unica grandezza definita è la polarizzazione complessiva. Sarebbe possibile misurare lo stato di polarizzazione di uno dei due: in questo modo, lo stato di polarizzazione di entrambi i fotoni risulterebbe definito, anche di quello con cui nessun osservatore ha interagito. L’aspetto rilevante per i numeri casuali è il fatto che io posso decidere di fare diverse misure sulla polarizzazione di uno dei membri della coppia di fotoni entangled, mettendo il secondo membro in uno stato definito diverso a seconda della misura che scelgo di fare. Per le proprietà della meccanica quantistica, questi stati possono essere non compatibili tra loro, ovvero ci sono grandezze che non possono essere definite contemporaneamente per un sistema fisico: l’esempio più famoso è rappresentato da posizione e quantità di moto di una particella, che appaiono nella definizione più usata del principio di indeterminazione. Analogamente, per esempio, può essere definito lo stato di polarizzazione lungo un asse, per un fotone. Se io misuro la polarizzazione di un membro di una coppia di fotoni entangled lungo l’asse x, per esempio, anche l’altro membro si troverà in uno stato definito di polarizzazione lungo l’asse x, ma non potrà avere uno stato definito lungo l’asse y. Per un breve intervallo di tempo, l’informazione su quale misura è stata effettuata dal primo osservatore non può arrivare al secondo, a causa del fatto che nessuna informazione può viaggiare a velocità superiore della luce.

A meno di ammettere che qualche segnale possa viaggiare a velocità superiori a quella della luce, un sistema di questo tipo, detto “test di Bell senza scappatoie”, assumendo solo che la scelta della misura da effettuare sia indipendente per i due sperimentatori, consente di creare coppie di bit intrinsecamente casuali. Queste assunzioni, che la velocità della luce sia insuperabile e che due setup sperimentali possano operare indipendentemente, sono relativamente facili da accettare. Gli autori sono riusciti sorprendentemente a realizzare un apparato sperimentale in grado di verificare la teoria, basato su un laser capace di di produrre coppie di fotoni entangled: i due membri di ciascuna coppia erano sparati contro due rivelatori posti a 187 metri uno dall’altro. La misura di polarizzazione era effettuata in modo (pseudo)casuale dai due rivelatori, generando risposte prima che un segnale potesse arrivare dall’altro rivelatore, garantendo la totale casualità dei bit generati.

Questo risultato mette in pratica le intuizioni di un lavoro di alcuni anni fa in cui un gruppo di scienziati europei e statunitensi aveva per la prima volta ipotizzato che un test di Bell di questo tipo potesse dare questa “perfetta casualità”. Si prospettano tempi duri per gli hacker… anche se per ora un “casualimetro quantistico” di questo tipo non è proprio alla portata di tutti!

 

Immagine di copertina: Ribah via Shutterstock