A 8 anni dall’incidente all’impianto nucleare di Fukushima Daiichi l’emergenza è ormai rientrata, ma le conseguenze del disastro continuano a impattare pesantemente sull’ambiente e sull’opinione pubblica mondiale.

Proprio in questi giorni, il Ministro dell’Ambiente giapponese Yoshiaki Harada ha dichiarato che presto potrebbe non esserci altra opzione che utilizzare l’oceano per disperdere le grandi quantità di acqua radioattiva utilizzata in questi anni per raffreddare i noccioli dei reattori danneggiati.

Questa dichiarazione, ovviamente, ha riacceso polemiche e preoccupazioni non solo in Giappone, ma in buona parte del mondo. Questa eventualità l’avevamo già considerata plausibile nel lontano 2013. Facciamo il punto della situazione.

I reattori nucleari, anche una volta spenti, non possono essere abbandonati a loro stessi perché la radioattività residua continua a generare del calore che, in mancanza di adeguato raffreddamento, danneggerebbe il nocciolo. A causa dei danni subiti nell’incidente del 2011 a Fukushima, l’acqua di raffreddamento non può essere dispersa nell’ambiente, ma deve essere adeguatamente trattata per eliminare gli atomi radioattivi.
Il sistema di filtraggio messo in atto è molto efficiente, portando tutti i radioisotopi al di sotto o molto vicini ai limiti di legge, che sono sempre ispirati dal principio di precauzione e sono sistematicamente molto bassi. Il sistema, tuttavia, non riesce a rimuovere la radioattività dovuta al trizio, un isotopo radioattivo dell’idrogeno. L’acqua, infatti, è composta da un atomo di ossigeno e due di idrogeno, quindi il trizio si scambia con l’idrogeno dell’acqua rendendola radioattiva. Dal 2011 sono stati riempiti oltre 950 serbatoi contenenti oltre 1 milione di tonnellate di acqua. 

L’accumulo di questo enorme volume sta diventando un serio problema. Per quanti altri anni potremo accumulare acqua? Possiamo permetterci di sorvegliare e mantenere migliaia di serbatoi garantendo perfetta manutenzione e scongiurando incidenti e perdite?

Fonte: Nuclear Power Plant via TebNad/Shutterstock

Il trizio è poco tossico per gli esseri viventi e, anche se nominalmente cancerogeno, sono necessarie dosi altissime per avere degli effetti biologici. La via migliore, e più sicura per smaltirlo, è diluirlo abbastanza da evitare che possa essere nocivo. Ricordiamo infatti che sulla Terra la principale fonte di radiazioni non sono le centrali nucleari, ma la terra stessa, oceani compresi. Ogni giorno mangiamo e beviamo atomi radioattivi naturalmente presenti sul nostro pianeta senza preoccuparcene. Nell’acqua potabile abbiamo circa un migliaio di Becquerel/L dovuti al trizio, ovvero un migliaio di disintegrazioni di atomi radioattivi al secondo per ogni litro. Questo numero è molto basso, rispetto a 37000000Bq/L quantità indicata per avere ii primi effetti, non gravi, sulla salute. Per fare un ulteriore confronto, la radioattività dovuta al trizio in 5 litri d’acqua è analoga a quella che assorbiamo mangiando una banana

Allora perchè siamo ancora vivi? Perchè a queste concentrazioni il nostro organismo e le nostre cellule anche se venissero danneggiati riuscirebbero a ripararsi da soli. Se invece gli isotopi radioattivi fossero molto più concentrati questa capacità di autoriparazione potrebbe diventare insufficiente: è la dose a fare il veleno.

Se il Giappone dovesse diluire sul posto tutti quei serbatoi di acqua, secondo i calcoli fatti dalla Hosei University, le pompe attualmente disponibili dovrebbero lavorare per 17 anni ininterrottamente (24h/24h e 365 giorni anno). Per contro, disperdendo l’acqua direttamente nell’Oceano Pacifico sarebbero sufficienti solo 7 anni, ma a quale prezzo?

Sostanzialmente nessuno. Gli oceani sono già radioattivi per la presenza di potassio-40, carbonio-14 e altri isotopi. Il contributo dell’acqua di Fukushima è ininfluente, anche se questo può apparire molto controintuitivo. Le paure di contaminazione da parte delle nazioni limitrofe sono quindi senza fondamento.Alimentare inutili allarmismi, come fatto da molti giornali anche italiani, rischia di danneggiare una già delicata economia locale solo sulla base di preconcetti e paure irrazionali. 

La dispersione in mare è quindi forse l’unica via sicura e percorribile. Certamente dal punto di vista del principio non è un bel gesto, ma ricordiamo che stiamo parlando di un’emergenza e il nostro interesse dovrebbe essere quello di minimizzare i danni scegliendo la via più sicura. L’alternativa? Aspettare che il prossimo terremoto danneggi i serbatoi contaminando una zona molto limitata di terreno con una grandissima quantità di acqua radioattiva oppure mettere in atto costosissime procedure di contenimento e interramento dei serbatoi. Vogliamo davvero rischiare una nuova catastrofe ecologica solo perché la via più facile e sicura non ci piace?