I ragazzi italiani soffrono di allergia alle materie scientifiche? A giudicare dai deprimenti esiti delle prove PISA sembrerebbe proprio di sì. Ma non c’è bisogno di tirare in ballo il discusso strumento di analisi dell’OCSE, sulla cui capacità di leggere la realtà, lo confesso, anch’io nutro qualche dubbio. Le difficoltà degli studenti nel rapportarsi con l’universo delle scienze sono sotto gli occhi di tutti i docenti, che vedono di anno in anno crescere il numero dei debiti formativi nelle relative materie. Lo scotto si paga quando è il momento di sostenere i test per l’ammissione alle facoltà scientifiche: pubblicati gli esiti, si scopre che anche studenti con ottimi voti sono stati respinti per via delle diffuse lacune in matematica, fisica, scienze.
Le questioni di scuola, peraltro, non sono mai neutre. Bisognerebbe ricordarsi del fatto che l’abbandono del settore scientifico è direttamente collegato con l’abbassamento del PIL. La tecnologia, il più importante dei “figli” della scienza, è tra le principali fonti di benessere per la società. Ma sfornare diplomati semianalfabeti sul piano scientifico vuol anche dire dar vita a una classe politica impreparata, che non è in grado di prendere decisioni razionali in settori vitali come la sanità e la politica ambientale. Vicende come l’affaire Stamina-Vannoni o le polemiche contro l’uso degli OGM sono paradigmatiche da questo punto di vista. In questi come in altri casi consimili, esponenti politici anche illustri hanno contribuito a orientare il dibattito facendo vera e propria disinformazione. E il discorso vale anche per i media, perché i giornalisti si sono formati nelle medesime scuole.
Ma che cos’è che non va nell’insegnamento all’italiana delle discipline scientifiche? La risposta è semplice, oserei dire scontata. Perché sia efficace, l’insegnamento di una disciplina deve rispettarne lo statuto epistemologico, ovvero l’oggetto e il caratteristico modo di costruire la conoscenza. Un esempio renderà il discorso più concreto. Temporibus illis la letteratura si insegnava riempiendo le teste dei malcapitati ragazzi di notizie biografiche sugli autori e di osservazioni sulla poetica. Poi ci si rese conto che la letteratura è fondamentalmente lo studio dei testi letterari e che, naturalmente, perché fosse efficace, si doveva partire da questi e arrivare in seguito a ricavare il dato teorico. Per analogia, che senso ha prendere una disciplina che nasce sperimentale, come la chimica, e trasformarla nell’arte di bilanciare reazioni tra composti scritti alla lavagna, senza che di questi si conosca l’aspetto, l’odore, la consistenza? Per uno studente non è più facile trovare la motivazione a imparare a bilanciare le reazioni redox dopo aver predisposto e osservato in azione una pila Daniell? Un discorso analogo può essere fatto per la fisica e la biologia: le discipline che procedono dall’osservazione della realtà, dalla raccolta di dati e dall’elaborazione della relativa teoria non possono essere trasformate nell’arte di mandare a memoria. Ne va della motivazione, che nell’apprendimento è tutto.
Allo stesso modo, la matematica, ridotta a mero esercizio di calcolo, patisce il suo scollamento dalla logica e dalle discipline sperimentali delle quali è il sostegno.
Ma restituire il loro status epistemologico alle discipline di studio serve davvero? Per convincersene basta osservare gli eccellenti risultati che registrano iniziative nei quali tale principio è rispettato. Nel liceo scientifico dove insegnavo qualche anno addietro, gli studenti vennero coinvolti in un progetto caratterizzato da un approccio fortemente sperimentale: gli esiti si rivelarono eccellenti anche sul piano delle competenze teoriche.
L’obiezione che più spesso viene messa in campo, riguardo a ciò, è la mancanza di fondi e strutture di cui soffre la scuola italiana. Il problema è senza dubbio esistente e la miope politica dei tagli alla formazione ne è la “causa prima”. Ma l’Italia è anche il paese dove i fondi a disposizione (quelli europei, ad esempio) non vengono sfruttati o vengono sprecati. O dove si lasciano marcire, per incuria o inutilizzo, i laboratori di cui molte scuole sono dotate. Riflettiamo, dunque, sulle nostre responsabilità e cerchiamo di restituire la scienza ai nostri ragazzi.
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Tristemente vero: una collega (chimica) non porta gli studenti in laboratorio perché “il tecnico è andato in pensione, faceva tutto lui, io non so dove mettere le mani”. Quindi solo infinite pagine di nomi di composti da imparare a memoria.
A volte mi chiedo come gli insegnanti riescano a fare qualsiasi cosa, non solo la scienza, con un carico di impegni didattici e amministrativi sempre più gravoso: riunioni frequenti e interminabili, burocrazia, studenti indisciplinati, intimidazioni e minacce di ricorsi, sedi scolastiche lontane da raggiungere, programmi ministeriali che cambiano e corsi di abilitazione con pesante frequenza obbligatoria in cui, pagando somme non trascurabili, devono rifare praticamente gli stessi esami che hanno già dato all’università, a volte con gli stessi docenti.
Gentilissimo sig. Amoroso, tocca davvero un tasto dolente! La burocrazia scolastica, in particolar modo, rende sempre più difficile il lavoro dei docenti.
Tempo fa scrissi una riflessione sull’argomento:
http://temi.repubblica.it/micromega-online/qualita-nella-scuola-e-solo-questione-di-%E2%80%9Ccarte%E2%80%9D/
Sul fatto che il docente, come quasi tutti i professionisti del settore pubblico, non sia sempre favorito nell’esercitare il suo mestiere come Dio comanda non ci sono dubbi. D’altro canto però pensiamo a quanti docenti ignorantissimi occupano le nostre cattedre o, peggio, a quanti docenti anche preparati lavorano al 10% del loro potenziale nascondendo la loro pigrizia dietro la costruzione di una sorta di sciopero permanente contro un sistema di cui pare ignorino di essere parte, e di cui sono tra i primi responsabili.
Parlando da studentessa potrei sembrare di parte, ma credo che una nazione sia il prodotto dei singoli cittadini e l’atteggiamento di pigrizia e indifferenza ormai è talmente diffuso che potremmo definirlo nazionale. Detto ciò la causa della mancanza in campo scientifico è il sistema scolastico perché ormai è più importante terminare i programmi che trasmettere il sapere e le competenze agli alunni; questo tipo di scuola può cambiare solo con docenti che hanno passione per quello che fanno e hanno più a cuore gli alunni che i programmi o comunque il compenso.
Da studentessa potrei sembrare di parte ma credo che, per quanto riguarda la mancanza in campo scientifico,il problema sia che i docenti hanno come priorità terminare i programmi e ottenere il loro compenso e non trasmettere sapere e competenze agli alunni.
Sono un ex studente di liceo scientifico, mi sono diplomato due anni fa. Ora studio ingegneria al Poli.
A conti fatti sono completamente d’accordo con lei. Oltretutto le ore di lezione dedicate alle materie scientifiche sono pochissime – e che spesso i programmi sono strutturati male.
Vengo da una “sperimentazione biologica”, le faccio qualche esempio:
– Per un solo anno abbiamo avuto 5 ore di matematica a settimana, in un anno soltanto 3 ore a settimana. Assurdo, considerando che abbiamo memorizzato tonnellate di testi in latino per 3 anni.
– Si studia prima la fisica del moto che la trigonometria. Insensato. Ricordo vagamente dei casini allucinanti con le “freccette” per tentatare – con dubbi risultati – di fare calcoli con gli angoli.
– Fisica si inizia il terzo anno. Questo potrebbe anche avere senso.
– L’epico programma di chimica: anno 1 geologia, anno 2 chimica ORGANICA, anno 3 chimica INorganica, anno 4 anatomia, anno 5 geologia (di nuovo!) e qualche nozione sui corpi celesti e sulla Luna.
– Un intero anno a smenarsela con calcoli trigonometrici complicati…ma non complessi. I numeri complessi sono tabù, giusto un accenno. E dai su, il mio professore di elettrotecnica ci ha preso in giro per un mese buono. Tipico approccio matematico: insegnare le formule di duplicazione e bisezione ma non le formule di Werner, il pacchetto completo.
– In cinque anni siamo stati si e no due volte nel laboratorio di fisica e cinque o sei volte in quello di chimica. I laboratori sono tabù.
Aggiungo che nel triennio la mia professoressa di chimica era pessima – ma il mio professore di fisica e matematica era molto competente; purtroppo però le ore a sua disposizione erano troppo poche.
http://www.cdpositano.com/index.php?option=com_content&view=article&id=345:piu-leggero-dellaria&catid=82:attivita-as2011&Itemid=124
http://www.cdpositano.com/index.php?option=com_phocadownload&view=category&download=57:i-nostri-laboratori-di-scienze&id=1:scuola
http://www.cdpositano.com/index.php?option=com_content&view=article&id=439:qsettimana-della-scienzaq-allistituto-comprensivo-gallo-2dcircolo&catid=76:news-2012-13&Itemid=124
I precedenti sono link al sito della Scuola dove insegno.
Le nostre riunioni di dipartimento si svolgono in laboratorio dove “proviamo” le attività sperimentali da far fare ai ragazzi che sono attori del processo cognitivo.
Se vi interessa potremmo condividere idee e percorsi.
Buongiorno Enza, grazie per il commento. Segua il nostro blog. Stiamo lavorando ad alcune attività associative per il 2014, da portare direttamente nelle scuole. Restiamo in contatto. Oltre al commento, se avrà tempo, ci scriva a info@scientificast.it per spiegarci nel dettaglio le vostre attività.
Un cordiale saluto e un augurio per un buon 2014.
Ecco come vedo la mia ex scuola (liceo scientifico): “Ripetimi il metodo scientifico, e se sbagli ti metto 2”.
Ora che ho cambiato scuola però non ho modo di approfondire NESSUNA materia scientifica, a parte matematica e fisica, di cui si fa a malapena la teoria. Come può un diplomato essere all’oscuro delle basi di chimica e biologia?