Venere è considerato uno dei luoghi più inospitali del sistema solare, ma potrebbe invece ospitare forme di vita extraterrestri

La notizia è per certi versi eclatante: con il telescopio James Clerk Maxwell, alle Hawaii, e con l’Atacama Large Millimeter Array, sulle Ande, un gruppo di astronomi, guidato da Jane Greaves dell’Università di Cardiff, ha osservato la presenza di fosfano (PH3, una molecola simile all’ammoniaca, ma con il fosforo al posto dell’azoto, spesso chiamata fosfina) nell’atmosfera di Venere. Ciò che rende eclatante questa scoperta è il fatto che sulla Terra osserviamo produzione naturale di fosfano principalmente nel metabolismo di microorganismi anaerobici, e che questa produzione è molto più efficiente di qualsiasi processo non biologico.

Questo non vuol ancora dire che su Venere ci sono forme di vita aliene, ovviamente (o purtroppo, a seconda dei punti di vista). La scoperta è comunque straordinaria, e meriterà studi molto approfonditi per spiegarla. Venere è sempre stato considerato un pianeta inospitale per la vita a causa della sua atmosfera estremamente calda e densa, con temperature superiori ai 400ºC e pressioni vicino alle 100 atmosfere. Inoltre, questa atmosfera è chimicamente piuttosto diversa dalla nostra, essendo costituita per la stragrande maggioranza di anidride carbonica, con altri composti come l’anidride solforosa a completare un quadro decisamente poco allettante per noi. Ciononostante, in virtù del fatto che l’atmosfera è estremamente spessa, è stato supposto fin dagli anni Sessanta del ventesimo secolo che a quote sufficientemente elevate (50 o 60 km rispetto al livello medio della superficie del pianeta) sarebbe stato possibile trovare condizioni meno estreme. Tra i primi a proporre questa eventualità ci fu Carl Sagan nel 1967, e da allora si sono susseguiti diversi studi anche da istituti prestigiosi.

Il segnale è comunque molto piccolo, 20 parti per miliardo di fosfano, quindi venti molecole ogni miliardo di molecole di altri gas: ciò che è intrigante è che non ci sono grosse differenze tra le varie zone del pianeta, fino a latitudini intorno a 60º nord e sud, suggerendo che l’origine sia distribuita in modo omogeneo, non per esempio legata a fenomeni superficiali. Inoltre, la concentrazione, anche se molto piccola, va messa in relazione alla velocità con cui il fosfano viene distrutto nell’atmosfera venusiana. Anche assumendo che la vita media sia molto più lunga che sulla Terra, e molto più lunga nella bassa atmosfera che in quella alta, dove possiamo calcolare che sia dell’ordine dell’ora, troviamo che la produzione dev’essere piuttosto abbondante, milioni di molecole al secondo per ogni centimetro quadro della superficie del pianeta. Questo valore si ottiene assumendo che la vita media sia 1000 anni, vicino al limite superiore per la bassa atmosfera: se misurassimo un valore più basso, la velocità di produzione dovrebbe essere più elevata.

Questa produzione è compatibile con colonie batteriche osservate sulla Terra e sembra incompatibile con la produzione attraverso processi fotochimici, che dovrebbero essere dominanti in atmosfera. Secondo il migliore approccio del cosiddetto “metodo scientifico”, gli autori dichiarano esplicitamente che non stanno affermando di aver osservato segni di vita su Venere: al momento quello che è stato osservato è un eccesso nell’abbondanza di una molecola che sulla Terra è collegata ad attività biologica e che a oggi è difficile spiegare con fenomeni puramente chimici, che però potrebbero aver luogo sul pianeta nostro vicino. L’attesa per le prossime missioni verso Venere  cresce quindi un sacco, e per il prossimo decennio ne sono programmate una dozzina.

Per oggi quindi non possiamo ancora dire di non essere soli, nell’Universo, ma abbiamo imparato alcune cose importanti. La prima è che anche i luoghi che ci sembrano inospitali possono riservarci delle sorprese. La seconda è che potremmo essere molto più vicini di ieri a scoprire forme di vita aliene. L’ultima è che, nonostante tutto, viviamo in un periodo storico eccitantissimo!

Per saperne di più:

Articolo originale su Nature

Immagine di copertina: Venus via Jurik Peter/Shutterstock