Dagli inizi del Novecento, la chimica industriale ha rappresentato un settore chiave per l’industria manifatturiera. Dalle plastiche ai filati, agli intermedi per la realizzazione dei più svariati manufatti fino ad arrivare ai fertilizzanti e alle vernici, l’importanza della chimica è stata pervasiva nella società occidentale e ancora oggi dà lavoro a milioni di addetti in tutto il mondo. Come ogni settore industriale, anche la chimica presenta alcuni rischi che purtroppo all’inizio del XX secolo furono sottovalutati e quindi causarono incidenti, alcuni dei quali anche molto gravi.

Ci fu un evento disastroso a fare da spartiacque nella gestione della sicurezza e del rischio chimico: per capire le implicazioni di tale evento ci spostiamo indietro nel tempo di quarant’anni, al 10 luglio 1976 e più precisamente nella cittadina di Seveso (MB), in Brianza, Lombardia. Alle 12:37 di quel giorno, presso l’azienda chimica ICMESA (Industrie Chimiche Meda Società Azionaria) di proprietà svizzera, un sensore di controllo della temperatura di un reattore di sintesi presentò un’avaria; questo, unito ad alcune procedure non corrette da parte degli operatori, portò la reazione a temperature molto elevate. Il reattore non esplose grazie alla valvola di sicurezza (o disco di rottura), un dispositivo che oltre una certa pressione interna del reattore si rompe da solo e permette ai gas surriscaldati di fuoriuscire senza compromettere la struttura del reattore stesso, ma purtroppo la reazione incontrollata generò una quantità piuttosto massiccia di 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina (TCDD), una sostanza della famiglia delle diossine.

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2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina (TCDD)

La nube di TCDD liberata nell’aria toccò nelle ore seguenti molte città del territorio; centinaia di famiglie furono evacuate dalle loro case e non si registrarono fortunatamente morti, ma ci furono comunque decine di casi di intossicazione, cloracne (un’eruzione cutanea particolarmente fastidiosa, provocata da idrocarburi alogenati che può portare anche a sfiguramento) e dermatiti. A lungo termine gli effetti dell’accumulo di diossina nei viventi furono oggetto di studi che evidenziarono disturbi prepuberali, disturbi fisici e cognitivi durante lo sviluppo. L’esposizione alla diossina fu anche causa di alcuni squilibri ormonali nelle donne dell’area per i quali, negli anni seguenti, si registrò un anomalo aumento delle nascite di bambini di sesso femminile.

Qualche nota chimica: le diossine sono una classe di composti chimici molto particolare e con scarse applicazioni pratiche, solo alcune in campo farmaceutico. Si tratta per lo più di prodotti inquinanti con una struttura chimica abbastanza standard e derivata dalla 1,4-diossina.

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1,4-diossina

Senza entrare nei dettagli di sintesi, diciamo che la loro formazione avviene nelle prime fasi della combustione, quindi a basse temperature, catalizzata dalla presenza di Ferro e Rame e in presenza di alogeni (Cloro e Bromo su tutti) presenti nelle plastiche e che viene emesso sotto forma di acido cloridrico durante la combustione. La formazione di questi composti è piuttosto semplice a causa di una bassa energia di formazione e per altre ragioni termodinamiche, la formazione di diossine è quindi spesso scatenata in presenza di combustioni incontrollate come gli incendi. Per la loro presenza pervasiva, gli impianti di incenerimento, cremazione, le centrali termoelettriche e le industrie siderurgiche devono operare a regimi di temperatura molto elevati al fine di evitarne la formazione.
Le diossine hanno un’azione di disturbo nei confronti dei processi cellulari, andando a ridurre di molto la vita della cellula. Sono considerati cancerogeni di classe 1 dalla IARC (International Agency for Research on Cancer), inoltre sono inquinanti organici persistenti in quanto tendono ad accumularsi nel terreno e nelle cellule di flora e fauna presenti in loco, senza perdere nel tempo la loro azione tossica.

Torniamo a Seveso e al disastro della ICMESA. Pur non letale, il disastro di Seveso non fu sottovalutato dall’autorità. In particolare l’Unione Europea stilò nel 1982 la prima Direttiva Seveso, ampliata successivamente nel 1996 (Seveso II) e nel 2012 (Seveso III) e rivolta a tutti gli stati membri.

L’obiettivo della direttiva è molto chiaro ed esemplificato nelle prime righe. La Seveso III, o Direttiva 2012/18/EU “stabilisce norme volte a prevenire gli incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose e a limitare le loro conseguenze per la salute umana e per l’ambiente, al fine di assicurare in modo coerente ed efficace un elevato livello di protezione in tutta l’Unione”. Tra i suoi articoli, si pongono obblighi precisi per i gestori delle aziende che trattano sostanze pericolose, in particolare l’adozione di una politica di prevenzione dell’incidente rilevante, di gestione della sicurezza ambientale e degli operatori, nonché un piano di emergenza interno allo stabilimento e un piano di emergenza esterno, rivolto all’abitato civile limitrofo alla realtà industriale nell’area possibilmente interessata durante una crisi insieme a molte altre misure obbligatorie aggiunte in seguito.
L’autorità nazionale effettua ispezioni periodiche presso le strutture produttive coinvolte dalla direttiva, con l’intermediazione delle ARPA e dei Vigili del Fuoco. Le sanzioni per una scorretta applicazione delle norme sono molto severe per i gestori delle aziende e possono portare anche al fermo inderogabile dell’attività.

Ovviamente il rischio non può essere annullato e si tratta di gestire adeguatamente la probabilità che accada o meno, ma sicuramente oggi gli standard di sicurezza per l’uomo e l’ambiente nell’industria chimica si sono innalzati parecchio e questa direttiva è diventata anche un’occasione di lavoro per molti in quanto l’importanza del tema richiede l’intervento di personale altamente qualificato.

A oggi la Direttiva Seveso rappresenta un modello a livello mondiale per la prevenzione del rischio chimico ed è presa molto seriamente dalle aziende chimiche soggette a rischio di incidente rilevante in tutta Europa. “Safety First!” non è più quindi un motto vuoto e fine a se stesso ma una vera e propria politica industriale, volta alla gestione ottimale dei processi a tutela della sicurezza dell’uomo e dell’ambiente.

Per approfondire:
La Direttiva Seveso III (UE).
Testo della direttiva Seveso III.
Come il disastro di Seveso ha cambiato l’industria chimica per sempre (VICE/Motherboard)