La matematica delle macchie e delle strisce sulle pellicce degli animali ci spiega anche molti altri fenomeni

La nota espressione “a macchia di leopardo” indica qualcosa che si diffonde in modo non uniforme, proprio come fa la pigmentazione scura sulla pelliccia dei felini, o meglio, su parte di essa. Si può notare, infatti, che sulla coda dei leopardi le macchie si fanno più confuse e a volte finiscono per trasformarsi in strisce. La colorazione smette di essere “a macchia di leopardo” diventando piuttosto “a coda di lemure”, espressione meno conosciuta perché usata solo in Madagascar, i cui abitanti sono evidentemente più puntigliosi.

Perché le macchie non conservano la loro forma caratteristica su tutto il corpo dell’animale?

La comparsa delle macchie sulla pelliccia del leopardo (e di molti altri animali) si può descrivere attraverso il modello matematico di reazione-diffusione.  Questo modello si applica quando su una superficie si diffondono due entità (sostanze chimiche, organismi, cellule) che interagiscono tra loro con un meccanismo di attivazione e inibizione. In particolare, si può avere la variante in cui le due entità in gioco presentano due velocità di diffusione abbastanza diverse tra loro.

Il risultato del modello è una funzione che indica la distribuzione delle due entità nello spazio e nel tempo. Questa funzione, a sua volta, è una sommatoria di funzioni, di cui alcune possono non essere stabili nel tempo. Il risultato visibile delle instabilità è l’alternanza delle due entità sulla superficie: maggiori sono le instabilità più la distribuzione finale sarà eterogenea.

Tale teoria è stata sviluppata da un matematico noto per i risultati ottenuti in tutt’altro ambito: Alan Turing. Il modello, infatti, è chiamato “Instabilità di Turing”.

Ad applicare l’instabilità di Turing alle pellicce dei mammiferi e, in particolare, ai leopardi e alle loro code malamente maculate è stato, invece, James Murray negli anni Ottanta.

Il colore della pelliccia dei mammiferi dipende dal fatto che le cellule epiteliali, dette melanociti, producono o meno la melanina, il pigmento che conferisce il colore scuro. Allo stato embrionale, su quella che sarà la  pelle, avviene la diffusione dei melanoblasti (che poi diventeranno melanociti) e dell’attivatore chimico che ne stimolerà la produzione di melanina. Le cellule e l’attivatore, quindi, diventano i due protagonisti del fenomeno di reazione-diffusione.

Vediamo nello specifico come le diverse dimensioni delle parti anatomiche determinano la fantasia che i cuccioli sfoggeranno sul loro manto una volta nati.  Identifichiamo, in maniera piuttosto rude, come solo la matematica può fare, l’epidermide dell’embrione come una porzione di spazio di larghezza l e altezza h. Le componenti instabili della funzione, date dai valori di k, dipendono da quanti valori per n e m legati dalla relazione

$latex k^2=\left(\frac{n^2}{l^2}+\frac{m^2}{h^2}\right) $

possiamo trovare all’interno di un intervallo numerico la cui ampiezza varia in base alla cinetica della diffusione.

Sul corpo dell’embrione, abbastanza esteso da poter essere approssimato a un “quadrato”, cioè in cui l e h hanno dimensioni simili, possiamo trovare diversi valori per n e m. Questo si traduce nella comparsa delle macchie. Sulla coda, invece, che è una porzione di spazio stretta e lunga, l è decisamente maggiore di h. Il risultato è che non avremo nessun valore per m e molti valori per n, questo porta alla comparsa delle strisce.

Questo è solo un esempio di come la matematica si impegna a trovare modelli che, attraverso simboli, lettere e numeri, riescono, se non a spiegare, quanto meno a descrivere, le migliaia di forme che la natura trova per esprimersi. L’Instabilità di Turing, infatti, può rappresentare, con opportune variazioni, la formazione di gran parte delle fantasie di cui gli animali si adornano, siano essi leopardi, zebre, alligatori, farfalle o pesci!

[1] J. D. Murray, Mathematical Biology II: Spatial Models and Biomedical Applications, Springer-Verlag, New York, 2003.

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