Drosophila melanogaster, una delle specie più studiate della storia della biologia e della medicina… e c’è un perché!

A prima vista, la Drosophila melanogaster è un moscerino come tanti altri, grande poco meno di mezzo centimetro e con un bel paio di occhi rossi.

Eppure ben sei sono i premi Nobel per la medicina vinti grazie alle ricerche svolte su questo tanto utile quanto piccolo moscerino.

Ma come ha fatto, in appena cento anni, a rivoluzionare il mondo della biologia e della medicina?

Drosophila melanogaster per un biologo è un vero prodigio: le sue dimensioni ridotte, la prole numerosa e un breve tempo di generazione e sviluppo lo rendono un organismo modello ideale per gli studi in laboratorio.
Ha appena 4 cromosomi, il “manuale di istruzioni” che un organismo segue durante lo sviluppo. Immaginate quanto sia più semplice per uno scienziato il doverne leggere solo 4 rispetto ai nostri 23! La sua struttura anatomica è semplice, ma permette di effettuare studi su apparati complessi, come quello nervoso, e sul sistema immunitario.
Infine, forse la più importante caratteristica di questo fantastico organismo modello è il poter contrarre circa il 75% delle malattie genetiche che colpiscono la nostra specie. Per questo Drosophila melanogaster ci consente di condurre ricerche su tematiche prettamente umane nonostante sia un organismo estremamente semplice.

Ma cosa ci hanno permesso di scoprire gli studi su Drosophila che sono valsi i premi nobel per la medicina?

1933: Thomas Hunt Morgan

Prima di Morgan, erano note le basilari leggi con cui venivano trasmessi i caratteri di generazione in generazione, ma non si conosceva dove questi caratteri fossero localizzati. La risposta arrivò quando Morgan e i suoi allievi notarono un moscerino con una mutazione recessiva per il gene responsabile del colore degli occhi: questi erano bianchi invece che rossi. Incrociando un maschio mutato con una femmina normale ottenne una prole normale, in accordo con le conoscenze del tempo.

Provando a effettuare l’incrocio opposto, però, ebbe un risultato inatteso: tutte le femmine avevano occhi rossi e tutti i maschi avevano occhi bianchi.
Notando come il carattere che regolava il colore degli occhi seguiva lo stesso andamento del cromosoma X nel maschio, ottennero la prima prova che i caratteri, cioè i geni, sono localizzati sui cromosomi.

1946: Herman Muller

Oggi è magari un concetto scontato, ma nei primi anni del ‘900 della radioattività e dei suoi effetti sulla salute umana si sapeva pochissimo, e non era raro trovare bevande radioattive spacciate per tonici miracolosi.
Le prime informazioni sui suoi rischi arrivarono nel 1927 quando Herman Muller, sottoponendo popolazioni di moscerini a irraggiamento con raggi X, notò un aumento del tasso di mutazioni 150 volte maggiore rispetto alle condizioni normali. Per i suoi studi vinse il Nobel nel 1946.

1995: Edward Lewis, Christiane Nüsslein-Volhard ed Eric Wieschaus

I tre scienziati Edward Lewis, Christiane Nüsslein-Volhard ed Eric Wieschaus  studiarono il controllo genico nelle primissime fasi di sviluppo embrionale di Drosophila, e in particolare come precisi set di geni regolino precisamente determinate sezioni del corpo. Lewis iniziò studiando un moscerino con 4 ali e identificando il gene responsabile. Nusslein-Volhard e Wieschaus, partendo da questi risultati, scoprirono 15 geni fondamentali dello sviluppo, inducendo mutazioni casuali nelle larve. Il 40% delle malformazioni idiopatiche congenite nell’uomo sono legate a questi stessi geni.

Una Drosophila con occhio bianco mutante come quella osservata da Morgan – foto di Paul Reynolds via wikimedia commons.

2004: Richard Axel e Linda B. Buck

Come viene percepito un odore? Come registriamo questo stimolo? A queste domande cercarono risposta Richard Axel e Linda Buck.

Scoprirono, studiando i neuroni olfattivi del naso, che ogni recettore è sensibile a un solo tipo di odore.

Quando una molecola stimola un recettore, questo invia un impulso elettrico al cervello. Al cervello, i vari impulsi vengono elaborati generando poi la percezione dell’odore.

2006: Jules A. Hoffmann

Lo scienziato di origini lussemburghesi studiò il sistema immunitario di Drosophila, in particolare il ruolo di particolari recettori, chiamati Toll.
I recettori Toll hanno un ruolo essenziale nel sistema immunitario innato dell’organismo, in quanto sono capaci di legare componenti tipiche di batteri, virus e altri patogeni, e nello scatenare una risposta difensiva.

L’importanza di tale scoperta risulterà ovvia se pensiamo che un meccanismo di risposta analoga (chiamato toll-like) è presente anche nel nostro corpo.

2017: Jeffrey C. Hall, Michael Rosbash e Michael W. Young

L’anno scorso, Jeffrey C. Hall, Michael Rosbash e Michael W. Young hanno vinto il nobel per lo studio dei geni che regolano il ritmo circadiano di Drosophila, ossia dei meccanismi che regolano un vero e proprio orologio biologico interno.

I tre ricercatori hanno studiato il ruolo di un gene chiamato Period: questo gene durante la notte genera un accumulo di una proteina che poi, durante il giorno, viene lentamente degradata. Questo ciclo di produzione e degradazione è usato dal moscerino, e analogamente anche da noi, per “impostare” in maniera corretta la durata del ritmo circadiano.

Citare tutte le scoperte e i progressi fatti grazie a questo moscerino è impossibile, e altrettanto impossibile è capirne a pieno l’importanza citando solo questi sei premi Nobel, ma una cosa è chiara: la prossima volta che direte a qualcuno “stai guardando le mosche?” state attenti, potrebbe essere un prossimo premio Nobel!