A volte capita senza che lo si programmi: si è invitati a parlare a un evento e qualche problema tecnico impedisce di usare la presentazione alla quale si è lavorato con cura. Non sempre si riesce a risolvere in tempi ragionevoli e, senza dubbio, la capacità di gestire gli imprevisti fa parte della professionalità di chi parla in pubblico.

La riflessione che vorrei proporre non riguarda, però, il fatto di fare buon viso a cattivo gioco (parlare senza slide quando non c’è la possibilità di proiettarle), ma quella di scegliere di parlare in pubblico senza un ausilio entrato così tanto nella pratica oratoria da sembrare irrinunciabile. E lo è a tal punto che spesso non si chiede neppure al relatore se ne abbia bisogno o se intenda utilizzarlo, dando per scontato che lo farà e, del resto, lo stesso pubblico ormai identifica l’inizio di una conferenza con quello della slide che ne riporta il titolo.

Vorrei domandarmi se ci siano sempre buone ragioni per investire in questo strumento ubiquo tempo e risorse mentali, che magari potrebbero essere impiegati per migliorare la conferenza che stiamo preparando in altro modo.

Qual è il fine di chi parla in pubblico? Solitamente informare, insegnare qualcosa o proporre spunti di riflessione, facendo arrivare chi ascolta a fine discorso ancora sveglio, che è condizione necessaria perché lo scopo principale sia raggiunto. In molti casi si usano le slide senza chiedersi se queste siano davvero utili per arrivare a questo risultato, a mio avviso facendo un errore.

L’uso di una presentazione con slide facilita il coinvolgimento e la trasmissione di conoscenze? Dipende. Gli studi in merito non sono moltissimi e traggono conclusioni in parte contraddittorie. Ricerche e revisioni mettono in evidenza, sotto alcuni aspetti e in alcuni casi, significativi effetti positivi, per altri nessun particolare effetto. D’altra parte, la cosa non stupisce, visto che pedagogia, didattica e psicologia dell’apprendimento non sono certamente scienze dure (senza attribuire alcun giudizio di valore a quest’espressione) e, in ogni caso, in questo campo è impossibile separare l’effetto dello strumento da quello di altri fattori, come quello, fondamentale, del relatore e del suo stile comunicativo. Nella didattica, gli effetti positivi si notano più sulla motivazione (l’uso di software di presentazione sembra gradito agli studenti) che sull’efficacia. Per quest’ultima, come vedremo, è invece fondamentale usare metodi che coinvolgano attivamente gli studenti.

Tra i più famosi critici delle presentazioni con slide (in particolare di PowerPoint) c’è lo statistico ed esperto di infografica statunitense Edward Tufte, che pone l’accento sui limiti intrinseci del mezzo, tra cui la tendenza a semplificare eccessivamente contenuti complessi e la percezione distorta di presunte gerarchie nei concetti che si può ricavare dall’uso estensivo degli elenchi puntati, che possono portare a gravi errori di valutazione. A questo proposito, Tufte ricorda che, secondo l’analisi condotta dalla NASA, l’uso improprio e ingannevole di PowerPoint ha contribuito a una scarsa comprensione e a una sottovalutazione di un problema tecnico, diventando una tra le cause della tragedia dello Space Shuttle Columbia del 2003.

Pensare che dipenda tutto da chi parla o scrive è, in generale, un’ingenuità. Il mezzo adoperato influenza in modo determinante il messaggio, ne modifica la struttura e la ricezione. «The medium is the message», il medium è il messaggio, affermava già nel 1964 il sociologo e studioso dei mezzi di comunicazione Marshall McLuhan nel suo celebre saggio Understanding Media. The Extension of Man, nel quale confluivano anche i suoi studi precedenti sul passaggio da oralità a scrittura come fattore di ristrutturazione del pensiero nelle civiltà antiche, che ha contribuito a creare nuovi moduli comunicativi, sintattici e argomentativi. Così come il mezzo adoperato non è affatto ininfluente, non lo è certamente la tecnologia, come nel corso del tempo hanno messo in evidenza diversi autori, da Donald Norman, studioso del rapporto tra esseri umani, facoltà cognitive tecnologia, a Jesse Schell, divulgatore di concetti come quello di gamification. Lo strumento comunicativo che decidiamo di adoperare eserciterà, quindi, necessariamente un’influenza sul modo in cui comunicheremo: proprio per questo usarlo senza porsi delle domande potrebbe essere un errore.

Volendo tirare le somme, possiamo, quindi, chiederci se ci siano buoni motivi per usare le slide e, al contrario, per farne a meno.

Tra i primi rientra, innanzitutto, quello dell’uso di un canale comunicativo in più: quello visivo. L’apprendimento multicanale è una strategia la cui efficacia è sostenuta da molti pedagogisti, perché la sollecitazione di più canali può rendere più facile la comprensione e l’interiorizzazione di un contenuto.

Ci sono, poi, alcuni concetti per i quali l’immagine risulta particolarmente efficace in termini di chiarezza e rappresenta un sostegno prezioso per chi deve illustrarli. La spiegazione della struttura di una molecola complessa, di un apparato, di un circuito elettrico o simili possono essere immediatamente intelligibili con il supporto di un’immagine, che renderà subito più chiare le parole di commento.

In altri casi, quando non sussiste questa necessità, può, però, accadere che il concentrarsi sulle immagini distragga, almeno in parte, dalle espressioni del volto del relatore, che fanno parte di canali di comunicazione evolutivamente determinati, di cui spesso non siamo consapevoli ma che non sono meno efficaci e importanti. Concentrarsi sulla strutturazione della presentazione informatica, su effetti, colori e transizioni, può indurre il relatore a trascurare elementi come lo studio del tono della voce e dei suoi cambiamenti oppure della gestualità (si tratta di quello che gli antichi Romani chiamavano actio, un termine la cui radice ritroviamo anche nel to act inglese, cioè “recitare”) che sono parti molto importanti dell’atto comunicativo. Il fenomeno della ricerca dell’attenzione attraverso la grafica risalta in modo particolare quando si usano programmi che sostituiscono le classiche slide con visualizzazioni tridimensionali, con un effetto quasi immersivo. In generale, il rischio è che affidare il fascino esercitato da una presentazione agli aspetti di questo tipo, puramente epidermici, faccia passare un messaggio indiretto che mi lascia profondamente perplessa, cioè che la veste esteriore – proprio l’aspetto grafico – sia il vero problema su cui concentrarsi. D’altra parte, se l’efficacia dell’immagine può essere di grande impatto per mantenere viva l’attenzione, non lo è di meno la strategia del suscitare emozioni, per esempio attraverso la narrazione (strumento chiave attraverso cui gli esseri umani si trasmettono conoscenze, come già il grande psicologo e pedagogista Jerome Bruner aveva sottolineato) o invitando a fare un esperimento mentale, che non hanno bisogno del sostegno della presentazione informatica. L’uso della narrazione è, del resto, alla base del successo delle piattaforme di video, come YouTube, in cui spesso, guarda caso, il pubblico tende a premiare non tanto l’estro grafico quanto la capacità di empatizzare con lo spettatore. Queste tecniche hanno, inoltre, il vantaggio di spingere l’uditorio a un atteggiamento più attivo, che solitamente favorisce l’apprendimento.

Le slide sono un utile strumento per dare ordine a un discorso, strutturandolo partendo da premesse e portandolo verso le conseguenze. Un oratore che tende ad aprire parentesi – o parentesi delle parentesi – e a eccedere con le digressioni può, così, tenere più facilmente le redini del discorso, evitando di perdere l’uditorio per strada. D’altra parte, capita, però, che l’uso di slide, soprattutto se si parla spesso dello stesso argomento o di argomenti simili, tenda a cristallizzare la struttura del discorso, rendendolo meno flessibile e adatto a pubblici diversi. Capita, per esempio, di sentire un relatore reagire con malcelato fastidio alla domanda dell’uditorio che induce ad anticipare un discorso che, nella sequenza di slide, era stato programmato per un momento successivo. Io credo che questo tipo di reazione sia il riflesso della tendenza – non determinata ma, credo, rafforzata dall’uso di presentazioni informatiche – a una certa autoreferenzialità, che induce a percepire il relatore come unico protagonista dell’evento, quando invece l’interazione con il pubblico è fondamentale e le svolte che questa imprime sono un arricchimento e non certo un limite.

L’uso di slide, soprattutto quando si illustrano concetti articolati, può agevolare la comprensione e può rendere molto più facile fare una citazione da una fonte, senza bisogno di soffermarsi sull’ortografia di un nome o sul titolo di un libro. D’altra parte, c’è, però, il rischio di pensare che tutti i concetti si prestino a essere schematizzati in questo modo, di fatto incoraggiando l’eccesso di semplificazione. È questa la ragione che, da insegnante, mi rende molto scettica sull’uso abituale di slide nella didattica, visto che credo che la comunicazione della complessità sia uno dei compiti fondamentali di chi si occupa di formazione. D’altra parte, sempre tornando al discorso dell’apprendimento attivo cui si accennava sopra, una presentazione mediata dalle slide ha per sua natura un’impostazione più frontale e rigidamente trasmissiva di quella che si viene a costruire nel dialogo narrativo nella dimensione del confronto, all’interno di quello che in inglese si chiama circle time (sia che si tratti di un sedersi in cerchio reale sia soltanto metaforico). Educazione ad approfondimento/complessità e atteggiamento attivo sono tra i punti chiave che anche il celebre matematico e neuroscienziato francese Stanislas Dehaene suggerisce a chi si occupa di formazione nel suo libro Imparare, una lettura senz’altro stimolante per insegnanti e divulgatori.

In breve, credo che tutto si possa riassumere nel semplice consiglio di usare uno strumento quando risulta funzionale agli scopi che ci proponiamo, tenendo conto che adoperarlo ci permette di far leva su alcuni aspetti ma impone delle rinunce da altri punti di vista e che ogni rinuncia ha delle conseguenze. E, quando si decide di adoperarlo, si può talvolta ritenere corretta la scelta della semplicità e dell’essenzialità, il fare a meno di inutili distrattori.

Sfruttare anche i pensieri “lenti” oltre a quelli “veloci”, come diceva Kahneman, può rivelarsi anche in questo caso la strada vincente.