Sono giorni di grande preoccupazione per l’ambiente e la nostra salute. L’insistenza dell’alta pressione sul bacino del Mediterraneo sta determinando un lungo periodo privo di precipitazioni (ormai più di 90 giorni) e una persistente cappa di smog che opprime in particolare le regioni del nord e la Pianura Padana.

Tra tutti gli indici dell’inquinamento atmosferico, in questi giorni sta facendo molto parlare di sé il PM10. Ma di cosa si tratta nello specifico e perché dovremmo preoccuparcene?

Concentrazione di PM10 giornaliera in Europa, nel 2013. (Fonte, 1; per i dettagli statistici vedi bibliografia).

Concentrazione di PM10 giornaliera in Europa, nel 2013. (Fonte, 1; per i dettagli statistici vedi bibliografia).

PM10 è un acronimo che significa Particulate Matter ≤ 10 µm, ovvero materiale particolato con dimensione inferiore o uguale a 10 micrometri; con la stessa origine ma dimensione ancora inferiore, viene considerato un potente inquinante anche il PM2,5. Si tratta in entrambi i casi di materiale allo stato solido o liquido, disperso finemente nella bassa atmosfera e particolarmente stanziale in condizioni meteorologiche simili a quelle attuali.

L’origine di tale particolato può essere naturale: ne fanno parte, per esempio, il particolato espulso durante le eruzioni di vulcani, oppure i prodotti della combustione del legno sviluppati durante gli incendi, oppure ancora i pollini vegetali dispersi nell’aria in primavera. Non sono queste cause naturali, però, a destare preoccupazione in questi giorni invernali: la preoccupazione deve infatti provocarla il nostro forte legame con i combustibili fossili per l’autotrazione e il riscaldamento.

Nonostante si inizino a muovere passi decisi verso una maggiore sostenibilità ambientale, i combustibili fossili hanno ancora un ruolo innegabile nella nostra economia e per il nostro sistema energetico, benché il loro consumo sia in calo nei paesi occidentali. Proprio alla combustione di gasolio, kerosene e benzine dobbiamo la maggior parte del particolato in sospensione nell’aria.

Se infatti, idealmente, la combustione di un qualsiasi idrocarburo (qui prendiamo ad esempio l’ n-eptano, che potremmo considerare una benzina ideale) segue la reazione:

image02che ha come prodotti anidride carbonica e acqua, in realtà ci troviamo di fronte ad uno scenario molto più complesso. Le reazioni di combustione avvengono sovente solo parzialmente e coinvolgono specie chimiche diverse dai soli idrocarburi, si pensi ad esempio al legno e al carbone,  senza dimenticare che la benzina e il gasolio sono miscele di composti chimici molto differenti tra loro. Tale diversità genera a sua volta, durante la combustione, molte specie inquinanti, spesso sotto forma di aggregati in particolato molto fine. A questa miscela, chiamata comunemente Black Carbon, appartengono centinaia di specie chimiche organiche diverse, insieme a ossidi metallici e polveri silicee. A livello più macroscopico, anche il prodotto dell’usura di pneumatici e pastiglie dei freni (entrambi prodotti industriali formulati con un insieme di polimeri, additivi, gomme, fibre sintetiche, metalli fini e cariche minerali) può assumere le dimensioni conformi a questo tipo di particolato, contribuendo alla sua proliferazione. Il PM, insieme al monossido di carbonio, agli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) e agli ossidi di azoto e di zolfo costituisce il principale inquinante atmosferico.

Perché il PM10 dovrebbe destare preoccupazione per la nostra salute?

La IARC (International Agency for Research on Cancer) ha posto tutte le sostanze costituenti gli inquinanti atmosferici nel Gruppo 1 della sua classificazione insieme ai peggiori agenti carcinogeni in circolazione. Il particolato fine, in particolare, è pericoloso perché si insidia nell’organismo umano a livello del sistema respiratorio: minore è la dimensione del particolato e maggiore è la penetrazione all’interno del sistema, arrivando fino ai bronchi e agli alveoli nel caso del particolato più fine, inferiore quindi ai 2,5 µm. L’impatto sulla salute umana si manifesta con una maggiore incidenza dei tumori, specie quelli polmonari ma anche al colon e all’intestino, con marcate differenze in base alle abitudini pregresse dei soggetti osservati e alla loro professione, nonché alla prossimità alle zone dove la concentrazione di PM è maggiore.

Altri dati interessanti in merito alla pericolosità di questo inquinante si possono trarre in una recente pubblicazione della EEA (European Environmental Agency) in merito alla qualità dell’aria in Europa.  Si stima che il PM 2,5 abbia causato in Europa nel 2012 circa 432.000 morti premature dovute alla lunga esposizione a tale inquinante, causando l’aumento di malattie respiratorie croniche e malattie cardiovascolari; insieme alle morti premature per l’esposizione a ossidi di vario tipo e ozono, tale numero cresce oltre il mezzo milione di morti e contribuisce all’abbassamento dell’aspettativa di vita degli europei.

Per il nostro Paese, la recente “Valutazione Integrata dell’Impatto dell’Inquinamento atmosferico sull’Ambiente e sulla Salute in Italia” (giugno 2015) ha evidenziato come i decessi attribuibili all’esposizione del PM siano diminuiti sensibilmente dal 2005 ad oggi, con scenari promettenti verso il 2020. Si tratta ancora tuttavia del 7% dei decessi per cause non-accidentali e il 65% di questi è concentrato al nord Italia.

La legislazione europea, tra le più stringenti in materia di PM10, insieme a politiche ambientali più incisive sta contribuendo a variare la tendenza

Evoluzione (2004-2013) delle emissioni dei principali inquinanti atmosferici in Europa (fonte 1).

Evoluzione (2004-2013) delle emissioni dei principali inquinanti atmosferici in Europa (fonte 1).

e azioni locali quali il blocco del traffico sono un palliativo che da un lato responsabilizza l’utenza in merito all’utilizzo dell’auto ma tutto sommato ha un limitato impatto sul problema, che si ripresenta dopo pochi giorni in mancanza di un cambio di condizioni meteo. Tuttavia, per cambiare decisamente lo scenario, è imperativa la messa in atto di politiche energetiche che contribuiscano a un ulteriore, drastica diminuzione delle emissioni in atmosfera. Non si tratta di un’azione di facile implementazione, dato che non si tratta solo di diminuire il traffico o favorire l’utilizzo di veicoli full-electric superando gli attuali limiti tecnologici o mezzi pubblici ma di un’azione collegiale in moltissimi settori dell’economia; non solo i trasporti dunque ma anche l’agricoltura, il commercio, l’industria e la climatizzazione. Un’azione più che mai necessaria, a tutela dell’ambiente e della nostra salute.

 

Bibliografia

 

  1. European Environment Agency Air quality in Europe — 2015 report, 2015 — 57 pp. — 21 x 29.7 cm ISBN 978-92-9213-702-1, doi:10.2800/62459
  2. IARC Monograph on the evaluation of carginogenic risk to human; volume 109 – Outdoor air pollution, 2015 http://monographs.iarc.fr/ENG/Monographs/vol109/index.php
  3. La Valutazione Integrata dell’Impatto dell’Inquinamento atmosferico sull’Ambiente e sulla Salute in Italia (VIIAS) – Executive Summary Roma, 4 giugno 2015
  4. Schauer et al., “Source apportionment of airborne particulate matter using organic compounds as tracers”, doi:10.1016/1352-2310(96)00085-4, Atmospheric Environment, Volume 30, Issue 22, November 1996, Pages 3837–3855