Tratto da http://en.wikipedia.org/wiki/File:MUOS_construction.jpg

Un nostro ascoltatore, Stefano C., qualche tempo fa mi aveva chiesto un approfondimento su MUOS. Siccome l’argomento è abbastanza sentito e permette di chiarire alcune questioni controverse, ho approfondito la questione.

 

MUOS (Mobile User Objective System) è un sistema per comunicazioni satellitari ad altissima frequenza (UHF) composto da 4 satelliti in orbita e 4 stazioni di terra. L’utilizzo di MUOS sarà esclusiva del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti e servirà per permettere comunicazioni e scambio di dati a postazioni aeree, marittime o terrestri in ogni parte del mondo.

Le 4 stazioni di terra sono in costruzione in Australia, Hawaii, Virginia (Stati Uniti) e Sicilia.

Quest’ultimo sito, in costruzione a Niscemi presso una struttura già esistente, la Naval Radio Transmitter Facility (NRTF), ha sollevato parecchie polemiche a causa della preoccupazione dei cittadini nei confronti delle possibili emissioni elettromagnetiche, che si andrebbero a sommare a quelle già attualmente emesse da NRTF.

Lo scopo di questo articolo non è quello di giudicare o difendere la costruzione della stazione MUOS in Italia. Personalmente ritengo che un sistema militare di comunicazioni satellitari non sia una delle priorità del nostro paese e forse non dovrebbe esserlo per nessun paese.

Inoltre questo testo non può e non vuole analizzare tutte le possibili conseguenze dell’installazione come inquinamento ambientale, permessi di costruzione o altre questioni collaterali. Questo articolo vuole solo occuparsi scientificamente della questione dell’inquinamento elettromagnetico.
Spesso queste preoccupazioni trovano fondamento nelle paure della gente per l’ignoto, tuttavia in questo caso c’è un documento dell’Università di Torino, scritto da un autorevole esperto di radioprotezione, il prof. Zucchetti, che sembra dare ragione ai timori degli abitanti di Niscemi.

Ho chiesto una dettagliata analisi del documento a Gianni Comoretto, dell’Osservatorio Astronomico di Arcetri, nostro ascoltatore e collaboratore, oltre che esperto di radiofrequenze, ecco la sua risposta:

“La relazione, letta da una persona che con le onde elettromagnetiche ci lavora da un vita, lascia quantomeno perplessi. E’ bene precisare che buona parte delle critiche mosse dal documento del Politecnico riguardano l’installazione militare già esistente e solo in un secondo momento vengono presi in considerazione i presunti pericoli derivanti dal completamento di MUOS.

Proverò qui ad elencare queste perplessità, e ad argomentarle poi in dettaglio:

  • I documenti esaminati nella perizia (misure effettuate dall’ARPA) sull’attuale installazione mostrano che i limiti di legge italiani sono sempre rispettati. Ma viene considerato un rischio anche il fatto che questi limiti vengano avvicinati, nonostante i limiti contengono sempre dei robusti fattori di sicurezza.
  • Si vuole applicare i limiti di legge anche all’antenna a 45 Khz, non considerata nel rapporto dell’ARPA e non collegata al progetto MUOS. Tuttavia i limiti (di 6 V/m) non si applicano a queste frequenze, in quanto assorbite pochissimo dal corpo umano
  • Si considera un’eventualità plausibile che l’antenna parabolica di MUOS venga puntata verso l’abitato. Ma un’antenna di questo tipo ha numerosi blocchi, meccanici, elettronici e software, che rendono impossibile puntarla verso l’abitato.
  • Si ritengono i dati forniti insufficienti a stabilire l’entità dell’esposizione fuori dal fascio, mentre i dati forniti lo consentono.
  • L’esposizione dovuta alle antenne VHF viene sommata in modo incorretto (come campi e non come potenza) a quella delle emissioni ad onde corte attuali.
  • Viene stabilito un nuovo limite del tutto arbitrario relativo alla possibilità di interferenze elettromagnetiche, che viene applicato solo a questa installazione.

 

Partiamo dalla fine, che è un po’ la chiave di tutto. La legge italiana sull’ “elettrosmog” stabilisce due tipi di limite: di esposizione e di attenzione. Entrambi sono inferiori a quelli adottati internazionalmente, che a loro volta sono circa 100 volte inferiori1 ai livelli di esposizione a cui si comincia ad intravedere qualche possibile danno. Anche l’OMS raccomanda limiti confrontabili o superiori a quelli italiani. Non entro nel merito della legge, stabilire dei limiti 200 o 2000 volte sotto quelli a cui si sospettano danni è una scelta legittima, anche se molto prudenziale. Né voglio entrare nella questione se i limiti internazionali siano sufficienti, mi preme sottolineare che i ricercatori che li hanno fissati sono in buona parte “indipendenti”, ovvero i loro studi non sono finanziati dalle parti in causa. Inoltre i limiti internazionali riguardano qualsiasi effetto noto, sia a breve che a lungo termine.

Abbiamo capito che, nonostante i limiti di legge vadano rispettati, anche un superamento non causerebbe alcun tipo di danno. Tuttavia del rapporto del Politecnico, nell’ultima pagina, si sostiene che sopra gli attuali vincoli legislativi si abbiano dei danni, immediati per i limiti di esposizione, cronici per quelli di attenzione. In realtà per avere dei danni immediati dobbiamo superare i limiti di esposizione di almeno 500 volte, e per quel che sappiamo non esistono danni cronici neppure se si arriva ai limiti internazionali. I limiti italiani infatti nascono dalla volontà di tutelarsi da quel che non sappiamo, si tratta in sostanza di una applicazione già abbastanza estrema del principio di precauzione.

Tutto il documento è affetto da questo “effetto limite”: ogni volta che si fissa un limite, per quanto cautelativo, si forma una mentalità per cui questo limite non deve essere neanche lontanamente avvicinato, come fosse una ringhiera posta sul bordo di un baratro scivoloso. Per fare un esempio, pensiamo ai limiti di velocità: se supero i 50 all’ora mi fan la multa. Giusto. Ma se l’autovelox rivelasse che vado a 45, e mi facesse la multa perché ero pericolosamente vicino al limite, o se già a 10 km/h qualcuno protestasse perché sono solo ad un quinto del limite, qualcosa non tornerebbe.

Il documento del Politecnico invece commette proprio questo errore: non hanno mai rilevato sforamenti dai limiti di legge italiani (6V/m, pari a 0,1 W/mq). Solo in una misura ci si è andati vicino, nelle rimanenti siamo parecchio sotto. Dalla relazione infatti leggiamo che le misure più alte sono state.

 

Località Campo:                 V/m                    W/mq     % del limite di attenzione

Ulmo (centralina 3)         5,9 ± 0,6            0,095                     95%

Ulmo (centralina 8)         4,0 ± 0,4           0,04                        40%

Martelluzzo (centralina 1) 2,0 ± 0,2      0,01                         10%

Fico (centralina 7)               1,0 ± 0,1       0,0025                    2,5%

 

Una sola misura si avvicina al limite. Il documento afferma che le incertezze di misura portano a superarlo, ma i limiti di legge includono delle ragionevoli incertezze nei fattori di sicurezza: le misure di campo elettrico sono molto delicate, ed errori del 10% sono la norma. L’unico punto corretto della perizia è quindi che è necessario un controllo (eventualmente anche continuo) della zona dove si è rilevato il campo maggiore. Nella metafora automobilistica non han superato i 50 Km/h ma potrebbero farlo, meglio mettere un autovelox.

Il documento va quindi molto sul tecnico. Non è stata misurata l’esposizione di un trasmettitore a bassissima frequenza (45 KHz), in quanto non c’era strumentazione adeguata. Ma la legge definisce limiti specifici sopra i 100 KHz. Sotto questa frequenza valgono i limiti internazionali, che a queste frequenze sono di ben 610 V/m, in quanto queste onde vengono assorbite pochissimo dal corpo umano. Data la potenza del trasmettitore si rientrerebbe nei limiti di legge entro poche decine o al massimo centinaia di metri dalle antenne.

Fin qui il documento ha preso in esame solo l’installazione già esistente, ma vediamo cosa dice in proposito di MUOS.

Queste antenne trasmettono in un fascio strettissimo, praticamente un cilindro largo come l’antenna che non si allarga significativamente per circa 70 km. Nel documento si continua a ripetere che al di sotto di questa distanza (distanza di campo prossimo) non si può calcolare il campo con la legge per una sorgente puntiforme (corretto), e che non si può quindi avere informazioni sul campo emesso. Ma un’antenna parabolica ha un campo molto ben prevedibile, soprattutto nel campo prossimo. I dettagli sono difficili, e richiedono una analisi dettagliata, ma la forma generale è appunto quella di un cilindro leggermente divergente, con un campo che decresce avvicinandosi ai bordi del cilindro, che cala molto lentamente con la distanza all’interno di questo cilindro, e che è sostanzialmente nullo al di fuori di questo.

 

La potenza dentro al fascio, dai dati di progetto, è pari a circa 16pP/Gl2 =50 W/mq2, quindi molto oltre il limite di esposizione per la popolazione3. Se l’antenna venisse quindi puntata accidentalmente contro le abitazioni, indipendentemente dalla distanza, avremmo un superamento dei limiti di legge e un rischio per la salute. Ma che probabilità ci sono che questo succeda? Queste antenne hanno dei fine corsa meccanici che impediscono di avvicinarsi troppo all’orizzonte, oltre a svariate protezioni software. Ho esperienza dei radiotelescopi italiani, dove questi limiti sono tipicamente 20-30 volte maggiori della larghezza del fascio. Inoltre se le case non sono in linea di vista ottica (se sono dietro ad una collina, ad es.) il fascio non potrà mai raggiungerle.

Ma cosa succede fuori dal fascio principale? Praticamente niente. L’esposizione cala rapidamente fino a un migliaio di volte meno che nel fascio e diminuisce altrettanto velocemente anche all’aumentare della distanza. A un centinaio di metri dall’antenna siamo probabilmente molto, molto sotto qualsiasi limite ipotizzabile. Certo, se voglio sapere la distanza al metro a cui scendo sotto i limiti di attenzione mi serve un’analisi al computer, ma per una valutazione di massima, come questa, no.

Ma la base contiene già altre installazioni di cui si è parlato: antenne elicoidali VHF, le antenne a onde medie già esistenti, eventuali piccoli “sbuffi” di microonde che scappano dalle antennone. Non si sommano? Secondo il documento del Politecnico, sì, si somma tutto. Come se un campo di 5 V/m più un paio a 1 V/m potessero fare un campo di 6 V/m. In realtà si sommano le potenze (le esposizioni), i W/mq, non i campi, i V/m. La cosa poco intuitiva è che se ho un campo di 5,9 V/m e ci aggiungo un campo d 1 V/m ottengo un campo di 5,98 V/m, sarei ancora sotto i limiti di legge. Devo sommare 10 sorgenti da 2 V/m ciascuna per ottenere un campo di 6 V/m.

Ma siccome non si riesce a far superare i limiti alle antenne, se ne inventano di nuovi. Si chiede che l’impianto non produca campi sopra 1 V/m (circa un quarantesimo dei limiti di attenzione di 6 V/m), perché potrebbero creare interferenze. Ma perché solo questo? Un’antenna radar, un ripetitore televisivo sono esonerati dal nuovo limite appena inventato? O la richiesta è di ridurre di 40 volte i limiti di esposizione su tutto il territorio nazionale? Antenne trasmittenti per comunicazione satellitare esistono in tutto il mondo, e non viene interdetto lo spazio aereo per un raggio di decine di km attorno a ciascuna di esse.

 

Viene inoltre ipotizzato un danno ambientale. Vengono citati studi relativi ad effetti del campo magnetico a bassissima frequenza (quello generato da elettrodotti) sulle api, ma la cosa non ha nessuna rilevanza per campi elettromagnetici a frequenze completamente differenti. Gli eventuali cristalli di magnetite, che servirebbero alle api ad orientarsi, semplicemente sono troppo grossi per seguire un campo che oscilla miliardi di volte al secondo. Si raggiunge il grottesco quando si afferma che gli uccelli eventualmente esposti al fascio di microonde sono più vulnerabili ad effetti termici in quanto animali a sangue freddo.

Concludendo la base di Niscemi non risulta essere una significativa fonte di elettrosmog. Solo una delle misure fatte dall’ARPA mostra un campo che si avvicina (ma non supera) i limiti di legge, e questo giustifica ulteriori misure di verifica solo in quell’area. L’antenna per MUOS non rappresenta una fonte di esposizione significativa, se non nell’ipotesi, con tutta probabilità fisicamente impossibile, di un puntamento accidentale della parabola sull’abitato. Le nuove antenne VHF non forniscono un contributo addizionale significativo, inoltre considerato che MUOS potrebbe, in futuro, sostituire gli impianti ad onde corte già presenti, come conseguenza ci sarebbe una netta riduzione dell’esposizione.

 

Riferimenti:

 

Sugli effetti delle esposizioni a radiofrequenza:

I limiti internazionali (ICNIRP) e la rassegna di studi che li giustificano: Guidelines for limiting exposure to time-varying electric, magnetic and electromagnetic fields (up to 300 GHz). Health Physics 97(3):257-259; 2009. http://www.icnirp.de/documents/emfgdl.pdf

 

Rassegna della Royal Society Canadese: A Review of the Potential Health Risks of Radiofrequency Fields from Wireless Telecommunication Devices (1999) http://www.rsc-src.ca/en/expert-panels/rsc-reports/review-potential-health-risks-radiofrequency-fields-from-wireless

 

Rassegna delle conoscenze scientifiche sul tema:

http://xoomer.virgilio.it/albpales/Telefonia_mobile/toc-it.htm

 

Scheda dell’OMS:

http://www.who.int/docstore/peh-emf/publications/facts_press/ifact/it_183.htm

 

1. In Italia i campi si misurano in volt per metro (V/m), ma la misura corretta, adottata in tutto il resto del mondo, è una misura di potenza, watt per metroquadro (W/mq). I limiti di legge italiani sono di 20V/m, cioè 1 W/mq (sicurezza) e 6 V/m, cioè 0,1 W/mq (attenzione). L’esposizione è proporzionale al quadrato del campo, riducendo di tre volte il campo quindi l’esposizione diminuisce di DIECI volte. Questo comporta che se trovo un campo poco inferiore al limite, in realtà l’esposizione ne è molto al di sotto.

2Il calcolo è basato su un valore di potenza del trasmettitore di 1600W. La relazione nota come vengano forniti valori di potenza discordanti, compresi tra 138 e 1600W. Se la potenza fosse di 138W, la massima densità di potenza nel fascio sarebbe entro i limiti di esposizione a qualsiasi distanza.

3Un’esposizione di 50W/m2 corrisponde al limite ICNIRP per esposizioni professionali. Per quanto sia ovviamente da evitare, una breve esposizione a questi livelli non costituirebbe un rischio grave.”