Con il termine generico “fibra di carbonio” si intende un materiale composto da una fibra, appunto, di carbonio e da resine con cui viene impregnata. Questo materiale composito, creato artificialmente, possiede proprietà termiche e meccaniche superiori rispetto a quelle dei singoli componenti, che lo rendono praticamente insostituibile in diversi ambiti tecnologici.
La fibra è ottenuta mediante differenti processi di sintesi da composti chimici, come il Rayon (acrilonitrile), o il petrolio, mediante carbonizzazione o un particolare processo di estrusione denominato spinning. Questo vuol dire che dalle catene polimeriche tipiche di queste sostanze si elimina progressivamente tutto ciò che non è carbonio, come azoto, ossigeno e idrogeno, ottenendo una matrice di filamenti, con un grado di purezza che va dal 92% in su, disposti in maniera più o meno ordinata tra di loro.
Un elemento importante per le caratteristiche meccaniche finali del materiale è la forma cristallina con cui si disporranno gli atomi di carbonio nei piani trasversali e lungo la fibra stessa: questo fattore dipende fortemente dal processo produttivo.
Tali filamenti, la cui dimensione media è di circa 6-10 μm (un cinquantesimo di un capello umano), hanno una eccezionale resistenza meccanica e tenacità nella direzione di sviluppo del polimero.
Sono inoltre apprezzati anche per altre interessanti proprietà, come l’elevata inerzia chimica, che fa sì che reagisca molto difficilmente con sostanze chimiche che non siano l’ossigeno: essendo carbonio, infatti, può bruciare. Presenta, inoltre, una elevata conducibilità termica ed elettrica, tanto che in alcuni impieghi è usata come conduttore e un bassissimo coefficiente di attrito.
La varietà dei processi di realizzazione e successiva compattazione delle fibre permette di ottenere differenti livelli di prestazioni. Trattandosi di semilavorati per uso tecnologico esiste una precisa classificazione di tali caratteristiche, per permettere ai progettisti di indicare esattamente cosa utilizzare e come. La fibra di classe “alta resistenza” (HS), quella con le caratteristiche più performanti, arriva ad avere una resistenza meccanica 9 volte superiore a quella dell’acciaio da costruzione, con una densità 4 volte inferiore.
Il filamento ottenuto da questi processi ha l’aspetto di un comune filato polimerico, come quelli usati per creare i tessuti nell’abbigliamento e, come questi ultimi, viene tessuto secondo differenti trame al fine di ottenere semilavorati con differenti caratteristiche meccaniche, misurate con una scala denominata TEX, che si riferisce al peso per unità di lunghezza.
Il secondo elemento necessario alla costruzione di un qualunque manufatto in fibra di carbonio è la resina, normalmente di tipo epossidico. Tali resine sono il prodotto di una reazione chimica tra due liquidi, un polimero stabile e un catalizzatore. Quando questi vengono mescolati avviene un’attivazione chimica che rende il polimero solido.
Lo scopo di impregnare le fibre di carbonio con queste resine, da adagiare poi sullo stampo di cui dovranno prendere la forma, è quello di garantire che non possano più scorrere tra di loro, una volta completato il processo di polimerizzazione. In più le resine proteggono le fibre dall’ossidazione. Il processo di “incollaggio” avviene per reazione chimica tra fibra e resina, oppure per aggrappaggio meccanico dovuto alla micro-rugosità superficiale del filato o, infine, per interazioni elettrostatiche di Van der Waals. Attualmente sono in fase di sviluppo anche tecnologie di “saldatura” tra le fibre stesse, sempre con l’obiettivo di massimizzare i legami interni a favore della rigidezza finale.
Per ottenere la massima prestazione dal componente, il processo di polimerizzazione viene eseguito in autoclave, sottovuoto, e ad alta temperatura. Questo permette di eliminare tutta l’aria che si interpone tra fibra e resina, massimizzando l’interazione tra le due sostanze per ottenere la più completa vetrificazione della resina ed evitare che piccole bolle d’aria possano costituire punti di debolezza nel pezzo finito.
Una volta estratto il componente dallo stampo, non rimarrà che tagliare, con lame diamantate, le eccedenze dei tessuti dalla forma voluta.
Alla fine del processo si ottiene un materiale che permette agli ingegneri di “modellare” un generico oggetto dandogli praticamente qualunque forma possano desiderare, scegliendo, in fase di progetto, quali fibre utilizzare e come meglio orientarle per garantire la massima resistenza meccanica solo dove serve. Questo vuol dire non sprecare materiale (e peso) dove non è strettamente necessario.
Avere a disposizione un materiale così plasmabile ha chiaramente dei costi ben più gravosi rispetto al lavorare dei metalli. Ogni singolo pezzo viene realizzato a mano, da tecnici esperti, mediante stampi realizzati “ad hoc” su disegno del progettista, con macchinari specifici, quali stampanti 3D o centri di lavoro altamente specializzati, e tempi di realizzazione lunghi. Per queste ragioni la diffusione di questa tecnologia è stata, per molti anni, limitata agli ambiti in grado di sostenere questi costi, come le gare automobilistiche o l’aeronautica.
Solo di recente si iniziano a vedere un certo numero di oggetti realizzati in fibra di carbonio anche nella nostra vita quotidiana, grazie al fatto che la produzione di semilavorati, quali tubi o piastre, sta iniziando a rendere questo materiale più accessibile. Molto spesso, però, in questi casi si tratta di una scelta puramente estetica o legata alla leggerezza del materiale, più che alle sue straordinarie prestazioni fisico-chimiche: in un’auto da corsa la scocca in fibra di carbonio le sfrutta tutte, mentre gli inserti nel cruscotto di un’auto di serie sono “solo” molto belli!
Immagine di copertina: carbon fiber by TLaoPhotography/shutterstock