Era molto più semplice essere Leonardo Da Vinci che essere noi.
Dott A. Gradogna, PhD.

synx508, flickr, CC by-nc.

E’ ufficiale: l’ultima speranza che mi rimane per vivere una vita da persona benestante è vincere al superenalotto. L’ho pensato fortissimo questa mattina aprendo l’ultimo numero di Nature Biotechnology e trovandoci bella stampata l’idea folle di cui parlavamo Silvia ed io la settimana scorsa, che ci avrebbe permesso di diventare ricche e, chissà, magari ci scappava anche un Nobel. Era una buona idea, a quanto pare, ed, essendo tale, era assolutamente impossibile che l’avessimo pensata noi per prime prendendo un caffè.
Ingenue. Piccole scienziate sognano ad occhi aperti.
L’idea era: si può costruire una batteria biologica che sfrutti il potenziale elettrochimico di un organismo e creare energia da utilizzare per far funzionare un apparecchio elettronico estraneo al corpo stesso?
Ebbene la risposta è: si.
Numerosi tentativi di creare una pila biologica in grado di produrre energia da organismi viventi sono stati fatti utilizzando organismi abbastanza in basso sulla scala evolutiva, come batteri, piante, scarafaggi o lumache con risultati alquanto promettenti ma con scarsa resa. Quello che però hanno fatto Mercier e i suoi colleghi ha dell’avveniristico: sono riusciti a produrre energia sufficiente a far funzionare un chip emittente onde radio a 2.4 Ghz fino a 5 ore sfruttando il gradiente elettrochimico presente nell’orecchio interno di un porcellino d’india. Dal potenziale dell’endococlea (EP), nei mammiferi, dipende la meccanotrasduzione del suono: la pressione di vibrazione provoca il rilascio di neurotrasmettitori e, successivamente, l’eccitazione del nervo acustico. L’EP (70-100 mV) deriva dalla differente concentrazione ionica tra due fluidi presenti nell’orecchio: l’endolinfa, nell’orecchio interno, e la perilinfa, che bagna invece le zone circostanti. A separare questi due fluidi si trova la membrana vestibolare, che, nel caso del porcellino d’India, è in grado di generare correnti dai 14 ai 28 µA. Gli scienziati americani raccontano in questo loro lavoro di come un endochip di nuova generazione, collegato a due microelettrodi posti rispettivamente nell’endolinfa e nella perilinfa, sia riuscito ad estrarre un minimo di 1.12 nW e inviare via radio misure del potenziale dell’endococlea ogni 40-360 secondi.
Che a raccontarlo sembra quasi semplice…
In realtà ci sono diversi scogli che hanno dovuto essere superati per mettere in pratica tutto ciò, per esempio riuscire ad attivare il chip endoelettrico alla base di questo sistema, che pur vantando dimensioni minuscole (2.4 x 2.4 x 0.2 mm3) necessita di alcune centinaia di millivolt per essere attivato. Per ovviare a questo problema, i nostri eroi, hanno introdotto un ricettore di iniziazione wireless attivato ad onde radio collegato ad un microcondensatore in grado di essere caricato fino a 1.4 V. Risolto il problema dell’accensione del sistema, rimane comunque il fatto che l’energia estraibile è sempre molto bassa, per questo motivo i ricercatori usano un convertitore boost , ossia un convertitore DC-DC (corrente continua in corrente continua) con una tensione di uscita maggiore dell’ingresso, per raccogliere l’energia a basso voltaggio dell’EP trasferendola e convertendola in energia ad alto voltaggio. Il trasmettitore wireless di onde radio ha il consumo di 46pW a 0.9 V. Dal momento che il sistema è stato in grado di operare più a lungo di quanto permettesse l’energia fornita dall’ iniziazione wireless (circa 6 minuti), i risultati dimostrano che il sistema stesso è in grado di raccogliere e utilizzare energia sfruttando il potere elettrochimico di un mammifero.
E’ doveroso sottolineare che questa invenzione è ancora nella fase di sperimentazione e che per arrivare ad un’applicazione in campo medico dovranno essere apportati numerosi miglioramenti. Gli autori per primi riconoscono che il più grande rischio consiste nell’impianto dei microelettrodi che potrebbero causare una, seppur piccola, perdita dell’udito a frequenze alte (23kHz). Per questo motivo si ripropongono di miniaturizzare ulteriormente i microelettrodi. Si può, però, ragionevolmente pensare che questa batteria biologica nell’orecchio interno possa essere applicata in un futuro abbastanza prossimo a sensori molecolari, o nelle terapie che necessitano di una drug-delivery puntuale, o a scopo diagnostico e terapeutico in tutte quelle sindromi che comportano la perdita dell’udito.

Mercier PP, Lysaght AC, Bandyopadhyay S, Chandrakasan AP, Stankovic KM.Energy extraction from the biologic battery in the inner ear.Nat Biotechnol. 2012 Nov 8