Era l’11 marzo 2011 quando un potentissimo terremoto scosse il nord-est del Giappone provocando enormi danni. La tragedia giapponese, però, era solo all’inizio perché, in seguito alla scossa, un fortissimo maremoto con onde alte oltre 10 metri colpì la costa delle prefetture di Iwate  e di Fukushima danneggiando pesantemente le due centrali di Fukushima Dai-Ichi e Dai-Ni.
Immagino tutti ricordino le terribili ore di tensione nel vedere l’impianto di Fukushima Dai-Ichi rilasciare polveri radioattive nell’acqua e nell’atmosfera. Da allora è passato un anno e mezzo, i reattori sono stati messi in sicurezza e il mondo è andato avanti, ma alcuni ricercatori giapponesi continuano ad indagare su quanto avvenuto e sulle conseguenze ambientali del disastro di Fukushima.
Il 9 agosto è stato pubblicato un articolo su una rivista collegata a Nature che ha come oggetto le mutazioni occorse in alcune farfalle esposte alle radiazioni ambientali.

Il lavoro è liberamente accessibile e molto interessante, ma, come spesso accade in questi casi, è anche di facile strumentalizzazione. Alcuni scienziati giapponesi hanno raccolto, due mesi dopo il disastro, 144 esemplari di Zizeeria maha, una farfalla molto comune in Giappone e nelle zone circostanti i reattori, alla ricerca di conseguenze dell’esposizione prolungata alle radiazioni.
Per i molti che stanno pensando al mostro Mothra: no, nessuna di quelle farfalle aveva un’apertura alare di 250 metri o sparava raggi di energia dalle antenne. Tuttavia, nonostante il comportamento degli esemplari fosse normale, molti di essi hanno mostrato leggere malformazioni morfologiche come ad esempio difetti alle ali, agli occhi, alle antenne e alle zampe.
Studi sulla riproduzione di questi esemplari hanno inoltre mostrato un anomalo tasso di mortalità dei discendenti, ed hanno anche rivelato che i difetti della prima generazione venivano ereditati dalle generazioni successive. Ulteriori esemplari raccolti a 6 mesi dal disastro hanno mostrato risultati confrontabili con quelli ottenuti dalle riproduzioni in laboratorio. Questo dimostra che queste farfalle stanno andando incontro ad un processo di deterioramento genetico che non viene sanato nelle generazioni successive.
I ricercatori hanno ulteriormente approfondito la propria indagine irraggiando farfalle sane con dosi relativamente basse di radiazioni, simili a quelle che dovrebbero essere presenti nella zona circostante i reattori (55 mSv), ottenendo risultati assolutamente sovrapponibili a quelli osservati negli esemplari mutati. Questo studio risulta particolarmente importante perché è uno dei pochi che approfondisce gli effetti a lungo termine dell’esposizione a basse dosi di radiazioni.

In letteratura vi sono molti studi sulle contaminazioni acute, ma poco si sa sull’effetto di dosi non letali di radiazioni nelle attuali generazioni e nella loro discendenza. Prima che qualcuno si faccia prendere dal panico è bene dire che un recente lavoro ha stimato la dose di contaminazione dei civili nella città di Fukushima (ad esempio) in 1mSv (millisievert) di esposizione interna a 6 mesi dall’incidente (nel periodo che va da settembre 2011 a marzo 2012).
Per “esposizione interna” si intende il tipo di contaminazione radioattiva più pericolosa e più subdola, ovvero quella derivante dall’ingestione di sostanze radioattive. Questa contaminazione è molto pericolosa perché le sostanze radioattive possono permanere all’interno del corpo per periodi prolungati e concentrarsi in alcuni organi (es: tiroide o ossa) ed aumentare, così, notevolmente il rischio di tumori. Per rendere l’idea di quanto sia 1mSv basti pensare che noi tutti riceviamo annualmente circa 2,4 mSv di radiazione naturale.
Una TAC dell’intero corpo porta ad un assorbimento di 10-30 mSv!
Se la stima del lavoro fosse esatta, vorrebbe dire che, con 1 mSv ogni 6 mesi, i civili della zona praticamente non avrebbero traccia di contaminazione. Si precisa tuttavia che dosi più elevate possono essere state comunque assorbite nei giorni immediatamente successivi alla catastrofe.

L’articolo sul blog di Nature fa, infine, notare che l’uomo non è una farfalla: è molto più grande e che se ricevesse le stesse dosi di una farfalla, non mostrerebbe le stesse conseguenze. In realtà questo è una “svista” nel blog della celebre rivista scientifica: il Sievert è un’unità di misura della dose assorbita per unità di massa quindi il fatto di essere più “grossi” non cambia assolutamente nulla. Chiarito questo, niente panico: lo studio è volto a verificare gli effetti sulle  future generazioni di animali nella zona contaminata e non a trasporre i risultati sull’uomo.

Un’ultima nota: ricorderete Yasushiro Sonoda, parlamentare giapponese che ha bevuto l’acqua di Fukushima per dimostrare che non c’è nulla da temere. In rete girano voci sulla sua presunta morte a causa di una leucemia fulminante. Si tratta di bufale: Sonoda è ancora vivo, fa ancora politica e aggiorna quasi quotidianamente il suo blog.

Si ringraziano Marco Casolino e Luca Di Fino per la preziosa consulenza.