Spesso vediamo immagini di persone che vivono in deserti caldissimi completamente vestite di nero e ci chiediamo “ma non schiatteranno dal caldo”?
Per noi abitanti del “mondo occidentale”, è normale pensare ad abiti scuri e pesanti quando fa freddo e chiari e leggeri quando fa caldo, lasciando scoperta una percentuale del corpo sempre maggiore via via che la temperatura aumenta. Se pensiamo all’immagine che abbiamo degli abitanti di alcune zone desertiche molto calde, però, vediamo subito persone vestite di colori molto scuri e di solito con una frazione molto piccola di pelle scoperta. Questa apparente contraddizione è stata studiata da diversi scienziati e un articolo di riferimento resta quello pubblicato nel 1980 su Nature da un gruppo di zoologi delle università di Harvard e di Tel Aviv. Se vi stupisce che questo studio sia stato effettuato da zoologi, un motivo c’è: si tratta di una sorta di “corollario” di altri lavori che avevano fatto in precedenza su animali dal pelo di diverso colore, osservando come anche per loro ci fosse una presenza abbastanza rilevante di velli scuri nelle zone desertiche.
Partendo dal saggio presupposto “ci dev’essere qualcosa che ci sfugge”, decisero di fare delle misure, confrontando la temperatura del corpo e dell’aria tra corpo e vestiti di un soggetto esposto al sole del mezzogiorno nel deserto del Negev, con temperature comprese tra 35ºC e 46ºC. Il soggetto è stato monitorato con quattro differenti outfit: ha utilizzato due vesti da beduino, una nera tradizionale e una bianca, un’uniforme kaki dell’esercito e, infine, solo un paio di pantaloncini (l’articolo originale dice testualmente “cioè, era seminudo”).
La prima osservazione è che la differenza di riflettività è sì grande, ma non come ci si può aspettare: l’abito nero assorbe l’89% della radiazione incidente, quello bianco il 35%, l’uniforme kaki il 72% e la pelle il 66%. Ovviamente il vestito nero si scalda più degli altri, sottoposto alla stessa insolazione, ma la temperatura più elevata che raggiunge rende anche più efficiente la dispersione di calore dalla sua superficie. Si è osservato, perciò, che nelle medesime condizioni, a 38ºC e sotto il sole, mentre l’abito bianco si ferma a 41ºC, l’abito nero arriva “soltanto” a 47ºC. Mettendo insieme questi effetti, si ottiene comunque un bilancio netto di calore in ingresso circa triplo per l’abito nero rispetto a quello bianco.
D’altra parte, sono stati misurati i parametri del soggetto, in particolare il calore che il nostro corpo produce con il metabolismo, un centinaio di watt di potenza in media, l’immagazzinamento di calore e la dissipazione dovuta alla sudorazione. I risultati qui sono abbastanza stupefacenti. Nel caso delle tuniche, i valori differiscono di meno del 5% tra bianca e nera, mentre il calore entrante attraverso l’uniforme militare è superiore di circa 15% e quello per il soggetto seminudo addirittura superiore del 50%! I risultati sono quindi abbastanza curiosi: da una parte, l’abito nero effettivamente raccoglie più energia per radiazione elettromagnetica, ma l’effetto sull’organismo del soggetto che lo indossa è sostanzialmente uguale a quello di un abito bianco della stessa fattura, mentre sia un abito “occidentale”, anche se chiaro, che lo stare quasi nudi portano un aumento del calore da smaltire ben maggiore.
Non importa molto che siate vestiti di bianco o di nero, importa che abbiate un buon cammello da cavalcare… e che non siffriate di mal di mare! (Immagine: Bedouins via GalkinZEK/Shutterstock)
La spiegazione di questo apparente paradosso non è chiara. Va detto che la modellizzazione di un sistema così complesso (organismo vivente che produce calore grazie al suo metabolismo e che lo dissipa principalmente facendo evaporare un fluido che viene secreto, il tutto in un guscio di materiale più o meno isolante, con dell’aria che sta sia tra l’organismo e il guscio, sia al di fuori) spinge necessariamente a fare delle semplificazioni, a meno di impelagarsi in complicazioni ingestibili. L’articolo suggerisce due meccanismi, legati entrambi al fatto che l’abito tradizionale ha la caratteristica di essere molto largo, oltre che piuttosto spesso, e fondamentalmente basati entrambi sulla convezione. Il trasporto di calore per convezione si ha quando un corpo è immerso in un fluido e questo fluido può muoversi intorno al corpo: se il corpo è più caldo del fluido, scalderà lo strato con cui è a contatto. Il fluido riscaldato tendenzialmente diventa meno denso, quindi si sposta verso l’alto, attirando fluido fresco a contatto con il corpo caldo. Questo moto del fluido si dice convettivo ed è un efficiente sistema di trasporto del calore.
Lo spessore, in questo contesto, aiuta a mantenere un gradiente di temperatura tra il “dentro” e il “fuori”: infatti, il caso del soggetto seminudo è il più svantaggioso, a temperature molto elevate. Il fatto di avere un ampio spazio tra il corpo e l’abito rende possibili moti convettivi d’aria in questa “camera” intermedia. L’interpretazione più probabile è che l’abito scuro inneschi in modo più efficiente questi meccanismi convettivi, grazie al maggior gradiente di temperatura, attirando più aria “fresca” al di sotto del vestito, che praticamente funge da camino. La temperatura dell’aria a contatto col corpo, infatti, è sia per l’abito bianco che per quello nero pari a 38ºC, quando la superficie esterna è, come dicevamo prima, rispettivamente di 41ºC e 47ºC.
Qualora il riscaldamento globale dovesse accelerare bruscamente, dovremo quindi ricordarci che “togliere” vestiti funziona fino a un certo punto, poi conviene “mettere”. Cosa mettere è più complicato, ma in generale la cosa più importante sembra essere l’ampiezza degli abiti, sotto i quali possa circolare aria, parametro che vince addirittura sul colore, che invece per i nostri climi è decisamente rilevante. Per ora, comunque, possiamo ancora usare t-shirt nere e attillate!
Immagine di copertina: Bedouins in black via Bojan Milinkov/Shutterstock