C’è una battuta che circola tra i fisici nucleari da decenni: fra trent’anni la fusione nucleare ci darà l’energia di cui abbiamo bisogno – e sarà fra trent’anni per sempre.

Questo dimostra le enormi difficoltà tecnologiche che si devono superare per, di fatto, accendere un microscopico Sole sotto il nostro controllo. L’idea di fondo è semplice, scaldare una miscela di di deuterio e trizio, due isotopi pesanti dell’idrogeno, fino a farlo diventare plasma, cioè gas completamente ionizzato, e innescare la fusione tra questi nuclei, che produce elio e una grande quantità di energia. Questo fenomeno ha bisogno, per attivarsi, di un’energia molto alta e, soprattutto, una grande quantità di plasma caldissimo deve essere confinata in un volume relativamente piccolo, in modo da avere un’alta probabilità di interazione tra i nuclei.

L’innesco di questa reazione di fusione è stato ottenuto in laboratorio in due modi molto diversi. Il primo sistema è il cosiddetto confinamento inerziale:minuscole palline di deuterio e trizio congelati e ricoperti di una sottile pellicola di metallo pesante, oro o rubidio, vengono fatte implodere bombardandole con un fascio molto intenso di particelle o laser. Questa tecnica promette di mantenere il combustibile e la reazione in un volume molto piccolo e di poter controllare la produzione di energia semplicemente regolando la velocità di implosione delle palline. D’altra parte, l’intensità del fascio necessario all’implosione è enorme (decine di milioni di Joule in una frazione di secondo, pari a potenze dell’ordine di centinaia di TeraWatt, migliaia di miliardi di Watt), per cui ci sono voluti decenni prima di avere, il 2 ottobre 2013, per la prima volta un sistema in grado di produrre più energia di quella che consuma. La strada per avere un reattore a fusione a confinamento inerziale è ancora decisamente lunga.

Il secondo meccanismo si basa sul confinamento magnetico: il plasma viene intrappolato in un campo magnetico opportunamente sagomato e scaldato fino a produrre la fusione. Una particella carica, come un nucleo atomico ionizzato, componente del plasma, se immersa in un campo magnetico percorre una traiettoria circolare. Per questo, se iniettiamo il plasma in un opportuno campo magnetico, possiamo farlo circolare lungo una “ciambella”, scaldarlo e innescare la fusione, raccogliendo l’energia prodotta sotto forma di calore, assorbito dalle pareti della ciambella stessa. Diversi disegni sono stati proposti per questo tipo di reattori; i più famosi hanno nomi curiosi come Tokamak e Stellarator. Il primo è stato progettato dai russi e il secondo dagli americani, entrambi negli anni Cinquanta del secolo scorso. Le macchine per confinamento magnetico hanno bisogno di campi magnetici molto intensi, dell’ordine di 5-10 Tesla, 100.000 volte più grande del campo magnetico terrestre, su volumi di decine o centinaia di metri cubi: questi valori si possono ottenere solo con magneti superconduttori, mantenendo un plasma alla temperatura di qualche milione di gradi a poche decine di centimetri di distanza da un cavo superconduttore a temperatura prossima allo zero assoluto.

Schema di funzionamento di un Tokamak: due serie di magneti generano un campo toroidale e un campo poloidale, che insieme formano un campo magnetico "spiraleggiante" che confine il plasma. Scaldando sufficientemente il plasma si innesca la fusione nucleare e si può raccogliere calore da convertire in energia elettrica. Immagine di Euro-Fusion.

Schema di funzionamento di un Tokamak: due serie di magneti generano un campo toroidale e un campo poloidale, che insieme formano un campo magnetico “spiraleggiante” che confine il plasma. Scaldando sufficientemente il plasma si innesca la fusione nucleare e si può raccogliere calore da convertire in energia elettrica. Immagine di Euro-Fusion.

È di questi giorni la notizia che il più evoluto Stellarator attualmente in funzione, Wendelstein 7-X, ospitato dal Max-Planck-Institut für PlasmaPhysik di Greifswald, in Germania, ha “acceso” il suo primo plasma. Questo Stellarator è il più grande mai costruito e dai primi mesi dell’anno prossimo proverà a fondere nuclei di idrogeno e produrre energia. ITER entrerà in funzione, invece, dopo decenni di progettazione e costruzione, non prima del 2020. Entrambi questi reattori sono basati sulla consolidata tecnologia dei magneti basati su avvolgimenti superconduttori di niobio e stagno, una lega che mantiene la capacità di condurre corrente senza resistenza anche in presenza di campi magnetici molto intensi, fino a oltre 10 Tesla, ma necessita di essere raffreddato con l’elio liquido, a pochi Kelvin.

Vista schematica di uno Stellarator: in blu, le bobine superconduttrici che generano il campo magnetico (si notino le forme bislacche), in giallo il "nastro" di plasma che puo essere contenuto. Il diametro della ciambella, per un reattore in grado di produrre una significativa quantità di energia, è di una decina di metri almeno. Immagine da wikimedia.

Vista schematica dello Stellarator Wndelstein 7-X: in blu, alcune delle bobine superconduttrici che generano il campo magnetico (si notino le forme bislacche), in giallo il “nastro” di plasma che puo essere contenuto. Il diametro della ciambella, per questo reattore, è di circa 11 metri. Immagine da wikimedia.

Le difficoltà tecnologiche di questo approccio, che è comunque considerato il più promettente, nell’ottica un futuro sfruttamento commerciale sono evidenti. Finora il materiale superconduttore più usato nella fusione è, come accennato, una lega di niobio e stagno, capace di mantenere la superconduzione fino a campi magnetici di 13 Tesla, il Nb3Sn. Questo materiale ha alcuni pregi e molti difetti, tra cui l’essere molto fragile . Recentemente, però, al MIT di Boston è stato presentato il progetto per un nuovo Tokamak compatto e basato su superconduttori “ad alta temperatura critica”, chiamati REBCO (Rare Earth Barium Copper Oxide, ossidi di rame, bario e terre rare). Questi materiali sono arrivati sul mercato molto recentemente e promettono di rimanere superconduttori a temperature relativamente alte, tra 90 e 100 Kelvin (intorno a 180 gradi sotto lo zero, comunque una temperatura molto più semplice da raggiungere dei -269ºC che servono nella maggior parte dei casi per i magneti superconduttori) e un campo magnetico oltre il quale il fenomeno della superconduttività scompare molto elevato. In queste condizioni un Tokamak dovrebbe essere in grado di produrre la stessa energia di ITER, il progetto europeo più avanzato nel settore, con una macchina circa 8 volte più piccola.

Questo Tokamak basato sui superconduttori ad alta temperatura critica, chiamato ARC, finora è solo allo stadio di “disegno preliminare”. La finalizzazione del disegno e la costruzione del reattore richiederanno ancora molti anni, nei quali Wendelstein 7-X e ITER, insieme agli altri reattori di ricerca attualmente in funzione e in costruzione, ci daranno sperabilmente molte nuove informazioni sulla reale possibilità di produrre energia utilizzando la fusione nucleare. Forse non mancano più trent’anni a vedere un reattore a fusione collegato alla rete elettrica, anche se la strada è ancora piuttosto lunga…

 

Immagine di copertina: l’interno del Tokamak JET in attività a Oxford (immagine di Euro-Fusion)