In 8 istituti di ricerca di Stati Uniti, Europa e Canada è stata utilizzata la tecnica di ingegneria genetica CRISPR-Cas9 per curare dei pazienti affetti da anemia falciforme.

Uno striscio di sangue di un paziente affetto da anemia falciforme. Evidente la forma caratteristica dei globuli rossi falcizzati. Fonte: Ed Utman, Flickr: https://www.flickr.com/photos/euthman/5610746554

Una patologia emergente

L’anemia falciforme è una patologia genetica recessiva che colpisce milioni di persone in tutto il mondo, con 300.000 nuovi casi all’anno. È causata da una mutazione nei geni della catena beta dell’emoglobina, la proteina presente nei globuli rossi che trasporta l’ossigeno nel sangue. La mutazione dev’essere presente in omozigosi, ossia su entrambi i geni della catena beta, per avere la malattia. 

Nonostante la patologia sia grave e possa avere conseguenze addirittura fatali, questioni evoluzionistiche hanno mantenuto alto il numero di eterozigoti, i portatori sani che presentano una singola mutazione su uno dei due geni delle catene beta. Infatti, gli eterozigoti sono resistenti alla malaria, una patologia in cui un microrganismo, il plasmodio della malaria, infetta i globuli rossi. Negli eterozigoti per l’anemia falciforme la struttura dei globuli rossi è alterata quanto basta da non permettere al plasmodio di replicarsi ma non abbastanza da ottenere una sintomatologia tangibile. Il vantaggio del portatore sano nei confronti della malaria è così forte che nei paesi in cui la malaria è endemica, come nell’africa sub-Sahariana, la condizione di portatore è presente fino al 25% della popolazione. In Italia la condizione di portatore sano può raggiungere anche picchi del 13% in Sicilia, ma a causa dei flussi migratori che si stanno intensificando, l’anemia falciforme si è diffusa in tutto il territorio nazionale e rappresenta oggi una delle patologie emergenti del nuovo millennio. 

Tra i caratteristici sintomi debilitanti di questa alterazione che deforma i globuli rossi, conferendo loro la forma di falce, da cui deriva il nome, vi sono dolore cronico, affaticamento, danno cardiaco e cerebrale, ingrossamento della milza, oltre a possibilità di episodi acuti anche mortali. I sintomi sono sia dovuti all’inefficiente trasporto di ossigeno per la riduzione di emoglobina funzionante, sia al fatto che i globuli rossi, così deformati, hanno minore attitudine ad attraversare i capillari più stretti e tendono a rompersi prematuramente in circolo. Sono stati stimati 176.000 decessi dovuti all’anemia falciforme solo nel 2013, mentre nel 2017 i decessi ammontavano a 435.000, soprattutto tra bambini. 

Attualmente non esiste una cura farmacologica definitiva per l’anemia falciforme. Le uniche strade percorribili sono sottoporsi a continue trasfusioni o optare per un trapianto allogenico del midollo osseo. Il trapianto del midollo si effettua eliminando tutte le cellule ematopoietiche del midollo della persona ricevente malata e iniettando quelle di un donatore compatibile sano, sperando che non si verifichi un rigetto del trapianto, ovvero che non si producano globuli bianchi che reagiscono contro il corpo del ricevente. Solo una bassa percentuale di pazienti ha la possibilità di trovare un donatore compatibile e la riuscita del trapianto non è garantita. 

CRISPR-Cas e le super-cellule

Una speranza verso una cura è stata offerta da uno studio in collaborazione tra 8 istituti di ricerca in Europa, Stati Uniti e Canada in cui si sta testando un approccio basato sulla terapia genica. La terapia prevede il prelievo delle cellule ematopoietiche dal midollo del paziente stesso, la modifica del loro DNA utilizzando la tecnologia CRISPR-Cas9 e la loro reiniezione nel paziente. Un trapianto così eseguito è detto autologo e per sua natura elimina sia la necessità di trovare un donatore compatibile, sia il rischio del rigetto. 

La tecnica prevede il trapianto autologo del midollo osseo. Dopo il prelievo del midollo osseo dal paziente (1), le cellule ematopoietiche sono modificate geneticamente con il sistema CRISPR-Cas (2). Infine, sono reiniettate nel paziente (3) previa chemioterapia.

Invece di correggere la mutazione che causa l’anemia falciforme, i ricercatori hanno attivato i geni che portano alla sintesi di emoglobina fetale, normalmente assente nell’adulto, per sopperire alle alterazioni dell’emoglobina mutata. La strategia prende spunto dai rari casi in cui individui con anemia falciforme non presentano sintomi gravi e hanno una migliore aspettativa di vita, proprio grazie all’attivazione, anche in età adulta, dell’emoglobina fetale. 

Seppur promettente, resta una procedura invasiva: anche in questo caso è necessaria l’eliminazione delle cellule ematopoietiche dal midollo osseo del paziente con chemioterapia, con i relativi rischi ed effetti collaterali, proprio come avviene nei trapianti da donatore compatibile. Inoltre, è bene ricordare che questo trial è alle prime fasi: sono state coinvolte solo 45 persone e ci vorranno probabilmente anni per avere un riscontro sulla sicurezza a lungo termine di questa tecnologia.