La felicità ai tempi del coronavirus, seconda parte. Come reagisce il nostro cervello alla deprivazione sociale forzata che stiamo vivendo in questi giorni?
Nell’immaginare questa serie di articoli sulla “felicità” (o infelicità) ai tempi del coronavirus, mi sono resa conto che in questo inizio di 2021 non si può parlare di benessere mentale senza affrontare quello che sembra essere il proverbiale elefante nella stanza, ovvero gli effetti dell’isolamento sociale sul nostro cervello.
Non è una novità che l’isolamento prolungato possa avere effetti devastanti sulla psiche di un individuo, al punto da costituire una forma di tortura. I suoi effetti sul cervello, tuttavia, non si conoscono ancora nel dettaglio, sia per l’invasività richiesta da tali analisi, sia perché condizioni di isolamento estremo non sono veramente applicabili in esperimenti con soggetti umani, in quanto sarebbe impossibile ottenere la necessaria approvazione etica per portarli a termine. Dai dati ottenuti in modelli animali – facendo i dovuti distinguo -, ci potremmo comunque aspettare un aumento degli ormoni dello stress circolanti e conseguenti cambiamenti in alcune macro strutture cerebrali, nella loro organizzazione cellulare e nell’espressione genica. Da queste alterazioni molecolari e cellulari, attraverso meccanismi ancora ignoti, si ipotizza derivino i vari cambiamenti comportamentali che si osservano sia nell’uomo che negli animali [1].
Quello che invece è sicuramente possibile indagare, per quanto riguarda noi umani, sono i cambiamenti di attività in diverse aree del cervello in seguito a isolamento sociale “acuto”, vale a dire di breve durata. Uno studio pubblicato a fine 2020 su Nature Neuroscience [2] ha fatto proprio questo, sottoponendo i 40 partecipanti a 10 ore di deprivazione sociale assoluta (inclusi social media, e-mail e altri canali di comunicazione, e qualsiasi forma di fiction) e registrando le risposte neurali a vari stimoli visivi (immagini di cibi, immagini di interazioni sociali, e immagini neutre di fiori come stimolo di controllo) in una sessione di scanning in risonanza magnetica funzionale [3].
Siccome l’ipotesi era che la mancanza di stimoli sociali creasse una risposta di craving (voglia) simile alla fame, gli stessi partecipanti erano anche stati sottoposti a 10 ore di digiuno totale, seguito dalla presentazione delle stesse immagini, e a una sessione di controllo, senza digiuno né isolamento sociale ma con presentazione degli stessi stimoli. L’ordine delle tre condizioni (affrontate nel corso di tre giornate separate) è stato variato in modo casuale per ogni partecipante. A seguito di ognuna delle presentazioni di immagini, ai partecipanti è stato anche sottoposto un questionario su quanto forte fosse il desiderio o l’apprezzamento nei confronti delle varie categorie di oggetti presentati.
I risultati sono stati davvero interessanti. Prima di tutto, come è facile immaginare, al di là delle variazioni individuali, il digiuno ha fatto aumentare il craving percepito per il cibo, e l’isolamento sociale quello per l’interazione sociale. Le immagini di fiori non hanno mutato la loro piacevolezza nel corso dei trattamenti. A livello di attività neurale, alcune zone del cervello hanno mostrato una correlazione con il craving sociale e altre una correlazione con il craving per i cibi mostrati. Inoltre, e qui viene la parte sorprendente, una specifica area del mesencefalo*, SN/VTA (substantia nigra pars compacta / area tegmentale ventrale), di cui già si sapeva il potenziale nel codificare la motivazione verso il cibo e verso le droghe nelle dipendenze, è risultata in grado di rappresentare alternativamente il craving verso le immagini di cibo oppure verso le immagini sociali, in base a quale stimolo era stato deprivato nelle ore precedenti. Nella condizione di controllo, SN/VTA mostra un’attivazione robusta in risposta a entrambe le categorie di stimoli (cibi/interazioni sociali), ma in seguito alla deprivazione le risposte allo stimolo non deprivato si attenuano. In questo modo, affermano gli autori dell’articolo, il nostro stato di motivazione si specializza nel tempo per il tipo di stimoli di cui più sentiamo la mancanza.
Foto di Kristina Tripkovic via Unsplash
Anche se lo studio non si spinge a indagare le conseguenze comportamentali dell’attivazione di SN/VTA, è estremamente interessante, e di certo una novità, che il craving sia rappresentato in modo così flessibile (slegato dal suo contenuto) nel cervello umano. Una conseguenza di questo fatto è che parrebbe del tutto legittimo parlare di “fame sociale” a seguito di un periodo breve di isolamento imposto: si tratta infatti di un vero e proprio stato, che possiamo rintracciare nel nostro cervello. Inoltre, un altro aspetto interessante nascosto tra le righe di questo studio ma più esplicitamente trattato in altri studi psicologici ed epidemiologici che toccano l’argomento è che la differenza fra lo stare da soli e la solitudine percepita non è banale.
Nello studio che abbiamo appena discusso la variabilità fra individui nelle risposte di SN/VTA agli stimoli sociali è maggiore di quella osservata nelle risposte “alimentari”. Inoltre, la variabile che correla con i livelli di attivazione di quest’area cerebrale è una variabile puramente soggettiva: cioè, quanto il soggetto in questione trovi desiderabili, in quel dato momento, quel tipo di stimoli. La variazione delle risposte in SN/VTA in seguito all’isolamento è infatti leggermente più contenuta per quegli individui in generale più solitari, e questo senza contare che persone molto solitarie (per esempio, che vivono da sole) erano state a prescindere escluse dallo studio. Questo ci suggerisce che la deprivazione sociale non è uguale per tutti, e che i suoi effetti possono essere modulati dalle nostre preferenze e abitudini.
Ma non solo: in studi precedenti, l’isolamento oggettivo e la solitudine percepita sono stati ampiamente discussi in quanto concause dell’aumento di mortalità in una certa fetta della popolazione [4] e sono correlati a un aumentato rischio di fenomeni cardiovascolari [5]. In breve, il messaggio che si ricava da questi studi epidemiologici è che entrambe le condizioni hanno conseguenze negative sulla nostra salute, ma i loro effetti sembrano essere in parte separati, anche se possono rafforzarsi a vicenda [6,7,8]. A livello cerebrale, tuttavia, sembra che la solitudine percepita sia molto più importante, rispetto alle condizioni di vita sociale oggettive, nel modulare le risposte del cervello ai vari stimoli sociali: per esempio diminuendo la gratificazione interna legata alla valutazione delle situazioni sociali positive, e viceversa [9]. Inoltre, per quanto riguarda la depressione e il declino cognitivo, è ancora la solitudine percepita e non l’isolamento oggettivo a giocare un ruolo preponderante [10, 11], come a dire che finché sentiamo di avere almeno qualche connessione significativa con gli altri [12] siamo in parte protetti dalle conseguenze più negative dell’isolamento sulla nostra psiche.
*:una parte profonda del cervello situata sotto la corteccia, nel cosiddetto tronco encefalico
Fonti:
[1]: Arzate-Mejía RG, Lottenbach Z, Schindler V, Jawaid A, Mansuy IM. Long-Term Impact of Social Isolation and Molecular Underpinnings. Front Genet. 2020 Oct 22;11:589621. doi: 10.3389/fgene.2020.589621. PMID: 33193727; PMCID: PMC7649797.
[2]: Tomova L, Wang KL, Thompson T, Matthews GA, Takahashi A, Tye KM, Saxe R. Acute social isolation evokes midbrain craving responses similar to hunger. Nat Neurosci. 2020 Dec;23(12):1597-1605. doi: 10.1038/s41593-020-00742-z. Epub 2020 Nov 23. PMID: 33230328.
[3]: https://www.scientificast.it/come-farsi-un-selfie-del-cervello/
[4]: Holt-Lunstad J, Smith TB, Baker M, Harris T, Stephenson D. Loneliness and social isolation as risk factors for mortality: a meta-analytic review. Perspect Psychol Sci. 2015 Mar;10(2):227-37. doi: 10.1177/1745691614568352. PMID: 25910392.
[5]: Xia N, Li H. Loneliness, Social Isolation, and Cardiovascular Health. Antioxid Redox Signal. 2018 Mar 20;28(9):837-851. doi: 10.1089/ars.2017.7312. Epub 2017 Oct 23. PMID: 28903579; PMCID: PMC5831910.
[6]: Shankar A, McMunn A, Banks J, Steptoe A. Loneliness, social isolation, and behavioral and biological health indicators in older adults. Health Psychol. 2011 Jul;30(4):377-85. doi: 10.1037/a0022826. PMID: 21534675.
[7]: Yu B, Steptoe A, Chen LJ, Chen YH, Lin CH, Ku PW. Social Isolation, Loneliness, and All-Cause Mortality in Patients With Cardiovascular Disease: A 10-Year Follow-up Study. Psychosom Med. 2020 Feb/Mar;82(2):208-214. doi: 10.1097/PSY.0000000000000777. PMID: 31842061.
[8]: Beller J, Wagner A. Loneliness, social isolation, their synergistic interaction, and mortality. Health Psychol. 2018 Sep;37(9):808-813. doi: 10.1037/hea0000605. PMID: 30138019.
[9]: Cacioppo JT, Norris CJ, Decety J, Monteleone G, Nusbaum H. In the eye of the beholder: individual differences in perceived social isolation predict regional brain activation to social stimuli. J Cogn Neurosci. 2009 Jan;21(1):83-92. doi: 10.1162/jocn.2009.21007. PMID: 18476760; PMCID: PMC2810252.
[10]: Hawkley LC, Capitanio JP. Perceived social isolation, evolutionary fitness and health outcomes: a lifespan approach. Philos Trans R Soc Lond B Biol Sci. 2015 May 26;370(1669):20140114. doi: 10.1098/rstb.2014.0114. PMID: 25870400; PMCID: PMC4410380.
[11]: Cacioppo JT, Hawkley LC. Perceived social isolation and cognition. Trends Cogn Sci. 2009 Oct;13(10):447-54. doi: 10.1016/j.tics.2009.06.005. Epub 2009 Aug 31. PMID: 19726219; PMCID: PMC2752489.
[12]: Cacioppo JT, Cacioppo S, Capitanio JP, Cole SW. The neuroendocrinology of social isolation. Annu Rev Psychol. 2015 Jan 3;66:733-67. doi: 10.1146/annurev-psych-010814-015240. Epub 2014 Aug 22. PMID: 25148851; PMCID: PMC5130104.
Immagine di copertina: Loneliness di freemind production/Shutterstock
gli Oasis nella canzone ‘Lemon tree’, non avevano poi così torto.
Erano i Fool’s Garden, non gli Oasis!