Noi di Scientificast.it vogliamo dedicare queste righe a Giorgio Salvini, scienziato e politico italiano, scomparso ieri mattina. Giorgio Salvini è stato un personaggio importante che in vita ha cercato di piantare quanti più alberi nel nome della ricerca, del progresso della scienza e della cosa pubblica. Padre dei Laboratori Nazionali di Frascati dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e del primo Elettrosincrotrone, che, alla fine degli anni Cinquanta del XX secolo, proiettò l’Italia ai vertici della fisica delle particelle nel mondo, arrivò al vertice dell’Accademia dei Lincei e al ruolo di Ministro negli anni Novanta.

Dicevamo, la morte è un taglialegna… ma la foresta è immortale!

Sicuramente è ciò che pensa il signor Pierre Azoulay, economista del Massachusetts Institute of Technology (MIT) a Cambridge.

Ok, ok, avete ragione. Cosa c’entra la morte con un economista? E soprattutto, che c’entra la foresta? E’ presto detto.
Provate a immaginare una bella foresta di sequoie; metaforicamente possiamo considerarla come un insieme di uomini di ricerca, per farla breve: scienziati. Attenzione! con questo non voglio certo dire che gli scienziati abbiano una aspettativa di vita secolare, anzi.
Piuttosto, voglio portare la vostra attenzione sul nesso che c’è tra un albero e un taglialegna, o meglio, IL taglialegna per eccellenza: la nostra “laudata” sorella morte.
Di solito la morte di un uomo (a meno che non si tratti di un pezzo davvero grosso) non ha grande risonanza al di fuori della propria famiglia, dei propri amici, e al massimo dei propri colleghi di lavoro. Ma può anche capitare che nei primi due ambiti non si avverta nessun “sconvolgimento”(si fa per dire), mentre paradossalmente può succedere che siano i colleghi a risentire più di altri il trauma di un’inaspettata scomparsa.
E qui entra in gioco l’economista Azoulay, e , più che altro, la ricerca da lui condotta e il singolare risultato a cui è approdato.
Secondo lo studio pubblicato proprio dal professore del MIT nel 2008, i cui risultati sono stati pubblicati sulle pagine del National Burau of Economic Research ( NBER ), la morte di un valente scienziato nel mondo scientifico determina un rallentamento notevole della ricerca, delle direttive sulle linee guida e conseguentemente incide profondamente sul calo del numero di pubblicazioni solitamente affidate ai collaboratori.
La rigorosa indagine del professor Azoulay, nasce da un’inchiesta effettuata esaminando i gruppi di ricerca degli scienziati più influenti nella comunità scientifica.
Con l’aiuto dei suoi colleghi, ha prima stilato una lista con circa 9000 nomi. Tutti nomi di scienziati degni di nota, luminari pluripremiati, con almeno 30 anni di carriera nella National Academy of Sciences, e da sempre considerati più che qualificati nel loro campo.
Dopodichè ha selezionato un sottogruppo di 112 individui con un elemento in comune: nessuno di loro aveva superato i 67 anni e nessuno di loro aveva smesso di fare bene il proprio lavoro fino, ahimè, all’arrivo del taglialegna.
Insomma, ligi al dovere di scienziati, nessuno di questi uomini aveva minimamente pensato di lasciare, anche per un solo istante, il compito e lo scopo della propria vita, confermando silenziosamente una meritata carriera.

Ma ciò che ha colpito l’attenzione del professor Azoulay sta nel fatto che, curiosamente, la morte di queste menti brillanti, finisce per ripercuotersi sul team di collaboratori: il lavoro di ricerca e le pubblicazioni da parte dei co-autori, si riducono dal 5% all’ 8%.
La spiegazione di questo fenomeno non è solo nella perdita di una grande mente, dato che presto ne salterà fuori una in grado di sostituirla (si spera); e neanche, come sostengono alcune teorie ciniche, nel fatto che la morte di un importante scienziato possa spezzare i legami con le riviste specializzate.
Piuttosto, quando muore una “superstar”, con essa muoiono la conoscenza e le idee legate al suo lavoro. Non muore uno scienziato qualunque, bensì Lo scienziato, la guida, colui che rappresentava l’albero maestro di una nave forse ancora in alto mare.
Il tutto farà temporaneamente rallentare i ritmi di ricerca, ma sicuramente non li farà cessare.
E quindi, tornando alla metafora iniziale, un albero che cade fa rumore; ma la foresta, imperterrita, continuerà a crescere.