Come spesso accade, per misurare un fenomeno fisico si inventano diverse scale, non sempre facili da confrontare tra loro. I terremoti non fanno eccezione e può essere problematico, a volte,  capire i numeri che circolano dopo un evento sismico.

I primi esempi di scale per misurare le intensità dei terremoti si svilupparono più o meno nello stesso periodo in Europa e in Giappone, a opera di De Rossi e Forel e dell’Agenzia Meteorologica giapponese, nell’ultimo quarto del XIX secolo. Dalla scala Rossi-Forel si è poi sviluppata la più nota scala Mercalli, a cui ancora spesso si sente fare riferimento in Italia.

Tutte queste scale misurano gli effetti del terremoto su cose e persone. Un terremoto in una zona disabitata avrebbe quindi un grado Mercalli più basso di uno identico in una zona popolata, o anche un terremoto in una città antisismica un grado inferiore rispetto a uno identico in una zona dove le costruzioni sono più fragili. Questo tipo di scala è tutt’ora utilizzato proprio per valutare l’impatto del sisma sulla popolazione. Questo è importante sia per gli aiuti, che per la ricostruzione, che per i risarcimenti. Questo genere di scala, infatti, è stato continuamente aggiornato fino all’attuale versione in uso in tutta Europa, la scala macrosismica europea, adottata nel 1998. La descrizione dei vari gradi è sostanzialmente identica alla vecchia scala Mercalli, quindi l’uso delle due terminologie non è troppo fuorviante.

Dal punto di vista scientifico, però, la descrizione dell’evento sismico è molto poco accurata, se si tengono in considerazione solo i danni che provoca. Un terremoto è uno “riassestamento improvviso” nella crosta terrestre dovuto alle tensioni accumulate a causa degli spostamenti a cui le zolle continentali sono sottoposte: per un certo numero di anni le rocce si comprimono o si deformano e accumulano energia elastica, come una molla che si comprime. A differenza di una molla, però, le rocce sono rigide e quando l’energia diventa troppo grande cedono improvvisamente. Il geologo, per valutare un sisma, ha bisogno di sapere quanta energia ha sprigionato e per questo deve affidarsi a misurazioni più oggettive della scala Mercalli.

Il primo a studiare nel dettaglio come stimare questa energia è stato l’americano Richter, nel 1935. La scala omonima si basa sulle oscillazioni indotte su un determinato tipo di sismografo a una distanza standard dall’epicentro del terremoto. In questo modo, sismi diversi possono essere confrontati in base a quanto fanno oscillare il terreno. Per come è definita, la scala Richter non è lineare, ma esponenziale: ogni due gradi, l’energia stimata aumenta di un fattore 1000. Questo vuol dire che un terremoto del sesto grado Richter è mille volte più potente di uno del quarto grado o un milione di volte più potente di uno del secondo, e anche che è mille volte meno potente di uno dell’ottavo.

La scala Richter è però limitata. Sopra l’ottavo grado, non è più in grado di dare stime affidabili, per limitazioni intrinseche a come è definita. Per questo, alla fine degli anni Settanta del secolo scorso, il giapponese Kanamori sviluppò una scala in grado di dare buone stime dei terremoti anche di violenza estrema. La scala di magnitudo del momento sismico è oggi accettata come miglior strumento per valutare l’energia sprigionata in un terremoto.

Alla base della scala di magnitudo momento c’è il concetto di momento sismico, una grandezza che si calcola in base alle dimensioni della spaccatura prodotta dal terremoto, alla natura delle rocce coinvolte e allo spostamento della faglia. Da questo, con una opportuna formula, si estrae nuovamente un “grado”: i parametri della formula sono stati scelti in modo da far sì che la scala di magnitudo momento fosse più o meno coincidente con la scala Richter per valori intorno al quinto grado.

Questa varietà di scale, unita con l’uso disinvolto che spesso i giornali fanno della terminologia, può creare non poca confusione. Occorre sottolineare, innanzitutto, che le misurazioni che portano alla determinazione di una magnitudo sono complicate. Per questo, molto spesso accade che i numeri vengano corretti nel giro di qualche ora dopo un sisma. Un terremoto sopra il quinto grado di magnitudo momento viene rilevato dai sismografi di tutto il mondo: incrociando i dati si può ottenere una stima ben più precisa che con pochi dati, ma questo lavoro richiede tempo e comunque sempre di una stima si tratta, una precisione “perfetta” è impossibile da ottenere.

A generare una ulteriore piccola confusione c’è il fatto che l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia usa sia la scala Richter, per gli avvisi in tempo reale, che la magnitudo momento, per le analisi più raffinate, mentre il suo equivalente statunitense, l’USGS, usa la magnitudo momento. Questo non comporta grandi differenze, anche perché nell’ultimo millennio in Italia si sono registrati solo quattro eventi di magnitudo superiore a 7 e nessuno oltre 7.5, quindi le misure sono quasi perfettamente compatibili, a meno di un decimo di grado.

Un decimo di grado che, purtroppo, è utile per capire la dinamica del sottosuolo, ma non aggiunge niente alla determinazione dei danni secondo la vecchia scala Mercalli. Per il recente sisma di Norcia, le stime sono, per la zona dell’epicentro, tra il IX e il X grado: da “distruttivo” a “completamente distruttivo”.

 


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