In questi giorni è stata data ampia risonanza al risultato dell’esperimento OPERA, che ha raggiunto l’obiettivo per cui era stato costruito: osservare l’oscillazione di un neutrino di tipo mu in un neutrino di tipo tau. Avendo trovato la quinta interazione di neutrino tau ha dimostrato senza più alcun dubbio l’avvenuta oscillazione.
Ma che significa che i neutrini oscillano?

 

Era il 1957 quando il fisico italiano Bruno Pontecorvo elaborò una teoria secondo la quale queste particelle neutre, piccolissime, dette neutrini ed esistenti in natura in tre diversi ‘‘sapori” (elettronico, muonico e tauonico) potevano trasformarsi una nell’altra durante la loro propagazione. È questa trasformazione a essere chiamata “oscillazione”.
Negli ultimi trent’anni, i risultati di diversi esperimenti hanno confermato l’esistenza di questo fenomeno, osservando la scomparsa di una frazione significativa di neutrini di un certo sapore rispetto a quanto atteso. I neutrini scomparsi dovevano essersi trasformati in neutrini di altro tipo. Tuttavia, per dimostrare senza ambiguità che effettivamente si trattasse di oscillazione e non di qualche altro fenomeno, era necessario un esperimento in cui la trasformazione di un neutrino di dato sapore in un neutrino con sapore diverso potesse essere osservata direttamente. Da qui nasce l’idea dell’esperimento OPERA (Oscillation Project with Emulsion-tRacking Apparatus).

Per osservare direttamente questo fenomeno, era necessario progettare un fascio di neutrini muonici e inviarlo su un apparato posto a diverse centinaia di chilometri dalla sorgente, in modo da consentire ai neutrini di oscillare durante il volo. Inoltre, l’apparato doveva avere una massa di diverse migliaia di tonnellate per catturare un numero adeguato di neutrini e doveva essere realizzato con una tecnologia totalmente innovativa in grado di rivelare la particella tau da prodotta da un’interazione di un neutrino tau, che vive meno di un millesimo di miliardesimo di secondo: una grande sfida sperimentale.

L’esperimento OPERA ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare: in basso a destra un ricercatore ci aiuta a capire le dimensioni dell’apparato.

L’esperimento OPERA ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare: in basso a sinistra un ricercatore ci aiuta a capire le dimensioni dell’apparato.

Il fascio di neutrini muonici, tutti dello stesso tipo, è stato prodotto al CERN di Ginevra e inviato dal 2008 al 2012 verso i laboratori sotterranei del Gran Sasso, tra l’Aquila e Teramo. Dopo aver viaggiato per 730 km sotto terra praticamente indisturbati (la probabilità che queste particelle interagiscano con la materia è estremamente piccola), i neutrini incidono sul rivelatore OPERA, un gigante di circa 4000 tonnellate, di 2000 metri cubi di volume e composto da nove milioni di lastre fotografiche. Una piccola frazione di questi neutrini interagisce col rivelatore producendo particelle cariche che vengono “registrate” dalle lastre fotografiche e possono essere osservate con appositi microscopi ottici automatizzati. Dallo studio di queste particelle si risale al tipo di neutrino che le ha prodotte.

 

All’esperimento lavorano 140 fisici provenienti da 26 Istituti di ricerca in 11 Paesi, tra cui l’Italia.
Il primo neutrino “mutato” è stato osservato nel 2010, poi nel 2012, 2013 e 2014 ne sono stati osservati altri tre, ma il quinto, la cui osservazione è stata annunciata adesso, è particolarmente importante in quanto porta il livello di significatività dell’esperimento a 5.1 sigma, superando la soglia necessaria per dichiarare una scoperta. Significa infatti che la probabilità che quest’osservazione sia dovuta a fenomeni diversi dal neutrino tau è di uno su 10 milioni.

 

Il fenomeno dell’oscillazione ha importanti conseguenze sulla nostra conoscenza delle particelle elementari, in quanto implica che i neutrini abbiano massa, diversamente da quanto ipotizzato precedentemente.
Ma le ripercussioni di questo esperimento non si limitano a una maggior comprensione dell’Universo: gli sviluppi tecnologici effettuati per l’esperimento OPERA saranno utilmente impiegati in altri ambiti, quali lo studio dei fasci di carbonio utilizzati in adroterapia oncologica e la radiografia muonica dei vulcani.