Pochi giorni fa sono stato al CERN, il più grande centro di ricerca di fisica delle particelle del mondo, un posto che per noi fisici è come il Walhalla per le divinità norrene. Prima o dopo ci arriviamo tutti. Qui si incontrano scienziati di mille nazionalità, ma gli italiani sono tra le comunità più numerose. Questo perché, anche se è sul confine tra Francia e Svizzera, il CERN è un laboratorio molto italiano, molto più italiano di quanto si pensi di solito. Così italiano che ogni volta che su un giornale leggiamo “laboratorio svizzero” dovremmo un pochino ribellarci.

La storia del CERN è lunga ed emblematica. Iniziò nel 1949, quando molti scienziati europei si resero conto di quanto indietro erano rimasti rispetto ai loro colleghi americani. Negli Stati Uniti non c’erano stati i bombardamenti e si erano lì rifugiati un sacco di scienziati scappati dalle persecuzioni nazifasciste (ora, probabilmente l’Asse avrebbe comunque perso la guerra, ma regalare al nemico molte delle menti più brillanti del XX secolo non è stata una gran furbata), era stata creata la bomba atomica e con essa l’industria nucleare: i fisici europei erano rimasti indietro di una generazione, rispetto ai loro omologhi “sull’altra sponda dello stagno”. Il 9 dicembre di quell’anno il premio Nobel francese De Broglie, uno dei padri della meccanica quantistica, propose alla European Cultural Conference riunita a Losanna di costruire un grande centro di ricerca europeo, a cui possano contribuire sia i paesi “sotto l’influenza americana” che quelli “sotto l’influenza sovietica”. L’anno successivo un altro premio Nobel, l’americano Rabi, caldeggiò la nascita di questo laboratorio all’UNESCO, riunita a Firenze. L’anno seguente, a Parigi, sempre sotto l’egida dell’UNESCO, venne ufficialmente deciso di costruire questo laboratorio e all’inizio del 1952 venne firmato il primo accordo che portò alla nascita del Conseil Européen pour la Recherche Nucléaire, ovvero il CERN.

Nel 1954 venne posata la prima pietra, vicino a Ginevra, dove, non a caso, ha sede anche l’ONU. Il CERN nasce per essere casa di tutti, in un luogo dove le divisioni politiche non contano. Dodici paesi firmarono quel primo accordo che portò alla nascita dell’Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare, che come acronimo non sarebbe più CERN, ma così lo ha ereditato e non lo perde più. Quei dodici paesi erano Belgio, Danimarca, Francia, Germania Ovest, Grecia, Jugoslavia, Norvegia, Olanda, Regno Unito, Svezia, Svizzera e Italia. La Grecia usciva dalla guerra civile avvenuta subito dopo la seconda guerra mondiale, la Germania occidentale stava rialzandosi dopo la devastazione dei bombardamenti alleati, la Jugoslavia era sotto il regime di Tito, non ancora guida dei “paesi non allineati”. L’Italia, anche se meno della Germania, stava uscendo con le ossa rotte dal fascismo e dalla guerra, cercando anche di ricostruire la grande scuola di fisica, un paio di decenni prima guidata da Enrico Fermi, ormai emigrato a Chicago: la comunità scientifica e politica di allora, senza esitazioni, furono tra i padri fondatori di quello che sarebbe diventato uno dei più grandi centri di ricerca del mondo.

Non staremo qui a ripercorrere i molti grandi risultati scientifici del CERN, lo scopo di questo post è piuttosto sottolineare quanto sia forte la vocazione internazionalista di questa istituzione e di quanto possiamo sentirci “a casa” noi italiani quando veniamo qui. Oltre a essere tra i paesi fondatori, l’Italia è sempre rimasta stato membro dell’organizzazione dalla sua fondazione a oggi: negli ultimi anni tra i paesi che partecipano alle attività di ricerca siamo quarti come presenza di ricercatori, dopo Francia, Germania e Regno Unito (anche se molti italiani lavorano per enti di ricerca di quei paesi, complicando un po’ le statistiche) e il nostro paese è anche tra i primi tre fornitori di materiali e tecnologie per acceleratori ed esperimenti. Circa un terzo di LHC, il più grande acceleratore oggi in funzione al CERN, è stato costruito in Italia e molte componenti dei rivelatori portano la bandiera tricolore. Pur essendo così grande, il nostro contributo non basterebbe a creare un laboratorio “tutto nostro” che possa competere con il CERN. Solo l’unione delle forze di tutti i paesi membri, che nel frattempo sono diventati 22, e di tutti gli altri paesi che collaborano alle attività di questo laboratorio si riescono a costruire macchine così grandi. Tre italiani sono anche stati Direttori Generali, la massima carica del laboratorio: Carlo Rubbia, Luciano Maiani e Fabiola Gianotti, attualmente in carica.

Un’ultima annotazione, sempre per rimarcare la vocazione sovranazionale di un’istituzione come il CERN, riguarda il suo status verso tutti gli altri paesi. Il CERN, anche se fisicamente posizionato in due paesi, Francia e Svizzera, è di fatto indipendente da entrambi e anche da ciascuno degli stati membri. Il suo status di entità sovranazionale è stato anche riconosciuto dall’ONU, che lo ha accolto come osservatore permanente all’Assemblea Generale nel 2012.

Oggi al CERN convivono ricercatori russi e statunitensi, giapponesi e cinesi, indiani e pakistani, israeliani e sauditi, e addirittura italiani e francesi, almeno quando non ci sono partite di calcio troppo sentite. Questo perché non è un “laboratorio svizzero”, ma è un laboratorio di tutti, in cui c’è molto di italiano… tranne che in mensa, purtroppo.

 


Immagine di copertina: uno dei magneti “di scorta” di LHC, diventato un simbolo del laboratorio (sullo sfondo, la famigerata mensa principale) (immagine di Wikimedia Commons)