Il bello delle Olimpiadi è che possiamo fare una scorpacciata di sport stando comodamente seduti in poltrona e, soprattutto, possiamo vedere un’infinità di sport che di solito non esistono in TV. L’atletica è tra questi e in particolare c’è una disciplina che mi ha sempre affascinato: il salto in alto. Penso sia perché sono fisicamente tutto il contrario di quello che dovrebbe essere un saltatore, non so, ma mi affascina. Il salto in alto è anche molto interessante dal punto di vista medico e biomeccanico: cerchiamo di capire come si è svolta la ricerca del modo migliore per superare l’asticella. Da quasi quarant’anni, tutti gli atleti saltano con la tecnica Fosbury, ma non è sempre stato così (e forse non ha nemmeno senso che sia così ora, in effetti…).

La canadese Ethel Catherwood ai giochi di Amsterdam del 1928 e la sua sforbiciata.

La canadese Ethel Catherwood ai giochi di Amsterdam del 1928 e la sua sforbiciata.

I primi saltatori facevano una sforbiciata, arrivando dopo la rincorsa paralleli all’asticella e superandola appunto prima con una gamba e poi con l’altra, mantenendo la schiena più o meno verticale. Questa tecnica non è particolarmente efficiente, perché il baricentro rimane sempre ben al di sopra dell’asticella stessa: già alla fine del XIX secolo l’americano Sweeney affinò una sforbiciata “abbassando la schiena”. Con questa nuova tecnica raggiunse la misura di 1,97 metri nel 1895. Pochi anni dopo, dalla squadra di atletica dell’università di Stanford arrivò una tecnica alternativa. Ancora era una variante della sforbiciata, ma con una differenza sostanziale: dopo lo stacco, l’atleta superava prima l’asticella con le gambe e nel frattempo ruotava il tronco in modo da superare l’asticella con il viso rivolto verso il basso. Questa rotazione consente di “lanciare” le gambe oltre l’ostacolo quando il baricentro è vicinissimo all’asticella e, quando il bacino è sopra l’asticella stessa, di abbassare le gambe, consentendo un più efficace richiamo verso l’alto della parte superiore del corpo. Questa tecnica fu chiamata Western Roll, perché fu inventata nella costa occidentale degli Stati Uniti.

George Horine alle Olimpiadi di Stoccolma 1912, quando introdusse il "western roll".

George Horine alle Olimpiadi di Stoccolma 1912, quando introdusse il “western roll”.

Quello che conta, infatti, è sfruttare al meglio l’altezza che riusciamo a far raggiungere al nostro baricentro quando saltiamo: se volessimo saltare verticalmente come soldatini, per esempio, dovremmo portare il baricentro del nostro corpo a un’altezza pari a quella dell’asticella più l’altezza del nostro baricentro rispetto al suolo, più o meno la metà di quanto siamo alti. Più riusciamo a mantenere il nostro baricentro basso rispetto all’asticella, più alta, a parità di sforzo, sarà la nostra misura. In questo senso, il Western Roll era molto efficiente, ma aveva il difetto di necessitare di una rotazione in volo, molto veloce e difficile da realizzare. Rimase comunque in voga fino agli anni Cinquanta, quando fu definitivamente soppiantata dallo stile ventrale.

Il ventrale, come dice il nome, prevede di scavalcare l’asticella sempre con la schiena rivolta verso l’alto. L’atleta, al momento del salto, si lancia in avanti e di lato, superando l’ostacolo “di lato”: il baricentro deve stare, al più, sopra la misura da superare del solo spessore del corpo del saltatore o, se questo riesce ad alzare e abbassare gli arti efficacemente, anche qualcosa meno. L’ultimo grande ventralista della storia è stato Vladimir Yashchenko, che ottenne il primato mondiale outdoor nel 1978 con 2,34 metri e indoor con 2,35 metri (nell’immagine di copertina, proprio in occasione del record indoor di Milano 1978).

La canadese Nicole Forrester sorride mentre esegue un Fosbury altissimo in allenamento (immagine dal sito dell'atleta).

La canadese Nicole Forrester sorride mentre esegue un Fosbury altissimo in allenamento (immagine dal sito dell’atleta).

Da allora, tutti i primati sono stati ottenuti con lo stile Fosbury, introdotto da Dick Fosbury nel 1968. Il Fosbury prevede di fare una rincorsa semicircolare, in modo da arrivare all’asticella paralleli ad essa, staccare con il piede esterno e scavalcare l’ostacolo mantenendo la schiena rivolta verso il basso, arcuando il corpo il più possibile. In questo modo, quando la testa e il torace sono sopra l’asticella, le gambe sono più in basso e dopo che il bacino è passato, l’atleta con un colpo di reni richiama verso l’alto le gambe. In questo modo, è possibile fare un salto valido anche se il nostro baricentro è sempre più basso dell’asticella, anche se a costo di una serie di movimenti che necessitano grande coordinazione e tempismo perfetto. Un ritardo minimo nel richiamo delle gambe, ad esempio, fa cadere inevitabilmente l’asticella.

Alla fine degli anni Ottanta la scena mondiale del salto in alto era dominata dal cubano Javier Sotomayor, che detiene tutt’ora il record mondiale di 2,45 metri. In effetti, la lunga rincorsa al salto più alto è stata una ricerca del modo migliore per superare un ostacolo mantenendo il baricentro del corpo più in basso possibile, e il Fosbury si è dimostrato una tecnica estremamente efficace. Ciononostante, fa un po’ pensare il fatto che Yashchenko, con la sua miglior misura del 1978, sarebbe salito sul podio nelle ultime cinque edizioni dei giochi olimpici, comprese queste ultime di Rio 2016… chissà che qualche saltatore non ci faccia un pensiero e non provi a riesumare il vecchio stile ventrale, prima o poi!