Nell’antichità, la regina Didone affrontò un noto problema di ottimizzazione. In seguito rapportare perimetri, superfici e volumi è stata spesso una  sfida per matematici, fisici e costruttori.

Quando ancora non si parlava di parità di diritti, nell’ottocento a.C., la fondazione di una città non fu una facile impresa per la regina Didone. Approdata sulle coste dell’attuale Tunisia, infatti, chiese al re Iarba un territorio su cui costruire quella che sarebbe diventata Cartagine. Il re allora le concesse «tanta terra quanta potesse contenerne una pelle di bue». Invece di farsi scoraggiare dalla concessione poco generosa, Didone prese alla lettera le parole di Iarba. Fece in modo che la città fosse contenuta dalla pelle, ma solo dopo averla fatta tagliare in strisce sottilissime che, unite insieme una dopo l’altra, formarono il perimetro della cittadella inizialmente chiamata Birsa, che significa appunto “pelle di bue”.

Ma la furbizia della regina non si limitò a questa mossa. Pensò, infatti, di dare forma alla città in modo che il perimetro a sua disposizione potesse racchiudere la superficie di terra più estesa possibile. Questo problema è generalmente conosciuto come problema isoperimetrico e consiste nel trovare, tra tutte le figure che hanno un dato perimetro, quella con l’area maggiore. La figura che soddisfa questo requisito è il cerchio e Didone non ne era ignara. Tuttavia, poiché voleva che la sua capitale avesse anche un ampio sbocco sul mare, le diede forma semicircolare.

Anche se, intuitivamente, non è difficile pensare che il cerchio sia proprio la figura con il maggiore rapporto tra area e perimetro, la dimostrazione matematica di questa proprietà non è affatto banale. Una prima soluzione si ebbe solo nel 1838, formulata dal matematico Jacob Steiner. In seguito, la dimostrazione venne perfezionata da altri matematici e, in particolare, Ennio De Giorgi la generalizzò per spazi di ogni dimensione. In particolare, nello spazio si tratta di trovare tra tutti i solidi con superficie fissata, quello che racchiude un volume maggiore. Come forse avrete intuito, in questo caso vince la sfera.

Il fatto che le sfere abbiano rapporto massimo tra le superfici e i volumi trova conferma nel fatto che le bolle di sapone sono sferiche. Che c’entrano le bolle di sapone? In questi effimeri “oggetti”,  la tensione superficiale tiene unite tra loro le molecole della superficie della bolla, tendendo a minimizzarla, mentre l’aria nella bolla tende ad espandersi, cercando il massimo volume.

Le bolle di sapone, in realtà, sembrano essere un passatempo estremamente affascinante per matematici e fisici. Già nel 1800, infatti, il fisico Joseph Plateau osservò che, immergendo nell’acqua saponata un filo di ferro a cui è stata data una qualsiasi forma chiusa, la lamina di sapone che si forma è una superficie minima, cioè la superficie più piccola che si ottiene avendo fissato nello spazio un bordo di forma e dimensioni precise.

Dal punto di vista della geometria differenziale, le superfici minime sono caratterizzate dal fatto che hanno in ogni punto curvatura media nulla. Se prendiamo un punto su una superficie, e tracciamo su di essa due curve che si intersecano in quel punto, la curvatura media è, appunto, la media tra le curvature delle due linee tracciate. Se questa è zero, significa che le due curve hanno curvature opposte. D’altra parte, la legge di Young-Laplace ci dice che, se abbiamo una lamina saponata, la differenza di pressione tra le due facce della superficie è in ogni punto proporzionale alla curvatura media della lamina. Ma, se la lamina è in equilibrio, vuol dire che la differenza di pressione è zero, quindi lo è la curvatura media e allora la lamina non può che essere una superficie minima.

Due superfici minime. L’elicoide (sinistra) è la superficie minima avente come bordo un’elica e la catenoide (destra) è quella avente come bordo due circonferenze. Fonte immagine: it.wikipedia.org

Un altro problema che mette in relazione perimetri e superfici è quello della tassellatura. Supponiamo di voler ricoprire una superficie disegnando sempre la stessa forma geometrica e che vogliamo però risparmiare più inchiostro possibile. Cioè vogliamo fare in modo che la somma di tutti i perimetri tracciati sia minima. Qual è la figura migliore da utilizzare? La risposta, come con le bolle, si può trovare in natura, in particolare osservando gli alveari. Le api, infatti, costruiscono le cellette di forma esagonale in modo da ricoprire tutta la superficie usando la minor quantità possibile di cera.

Anche in questo caso, si è voluto estendere il problema in tre dimensioni. Si è cercato, quindi, il modo di riempire un volume con dei solidi in modo che complessivamente avessero la minor superficie possibile. Nel 1887 Lord Kelvin ipotizzò che il solido più adatto fosse l’ottaedro troncato, una figura composta da 6 facce quadrate e 8 esagonali. Ma non fu in grado di dimostrarlo e, infatti, la sua congettura fu smentita nel 1993 quando Denis Weaire e Robert Phelan trovarono un solido in grado di riempire il volume assicurando un risparmio della superficie dello 0.3% rispetto a quello di Kelvin.

Un ottaedro troncato (sinistra) e la struttura di Weaire-Phelan (destra). Fonte immagine: it.wikipedia.org

Anche in questo caso l’ottimalità del solido non è stata dimostrata, ma nonostante questo l’impiego della struttura nella costruzione del Centro Acquatico Nazionale di Pechino per le Olimpiadi di Pechino del 2008 (noto come Water Cube, dalla forma di un gigantesco parallelepipedo riempito di schiuma) ha permesso un notevole risparmio di materiale.

Tutti i problemi di questo genere rientrano nella categoria dei problemi di ottimizzazione, risolti spesso con procedimenti teorici lunghi e programmi informatici molto complicati, ma, in fondo, è solo questione di spazio!