Le banane sono gialle, sorridenti e fluorescenti, vengono usate come unità di misura per basse dosi di radioattività e in tutto il mondo se ne mangiano cento milioni di tonnellate l’anno, più di mele e arance messe insieme. Ma una malattia in rapida diffusione minaccia l’esistenza di questo amatissimo frutto che per la seconda volta rischia di sparire completamente dai nostri mercati.
La storia delle banane inizia nel Sud Est asiatico, dove ancora oggi si trova la più alta diversità di specie selvatiche e varietà coltivate. Alcune sono rosse, altre verdi, lunghe o corte, dolci o meno. Nonostante questa grande varietà, quasi tutte le banane che mangiamo derivano da sole due specie selvatiche di Musa, acuminata e balbisiana, le più grandi piante erbacee del mondo con una storia intrecciata a quella delle popolazioni umane lunga almeno settemila anni. È possibile che inizialmente fossero coltivate per la loro fibra o come materiale da costruzione, ma presto l’interesse dell’uomo si è rivolto verso i loro frutti. Questi erano dolci e ricchi di amido, ma pieni di semi durissimi. La lunga selezione da parte dell’uomo ha portato alla scomparsa dei fastidiosi semi nelle varietà di banane moderne grazie a una serie di modifiche genetiche che le rendono incapaci di riprodursi.

I banani non sono alberi perché il loro fusto è composto dai piccioli delle foglie disposti in maniera molto compatta. Le infiorescenze hanno fiori femminili che producono le banane e fiori maschili tra le bratee rosse sulla punta.Wikimedia commons, CC BY-SA 3.0
La mancanza di semi rende la polpa morbida e fa delle banane i frutti più popolari al mondo, ma ha anche importanti conseguenze sulla genetica della specie. Le piante sono di fatto sterili e si possono propagare unicamente per trapianto dei polloni emersi dal tronco della pianta madre, così che in un’intera piantagione si trovano solo cloni identici. Alle caratteristiche riproduttive delle piante si sono aggiunti i particolari gusti dei consumatori occidentali, ai quali piace avere frutti sempre uguali, dolci e facilmente conservabili. Quando nel diciannovesimo secolo si trovò una varietà che rispondeva a queste preferenze, questa si diffuse rapidamente in tutto il mondo con il nome di Gros Michel. Piante geneticamente identiche di questa varietà rappresentavano la maggior parte delle banane coltivate, e la quasi totalità di quelle importate in Europa e negli Stati Uniti. Questo sistema ha soddisfatto i mercati mondiali per decenni, fino a quando la scarsissima variabilità genetica dei banani si è fatta sentire nel peggiore dei modi, con un’epidemia causata da un fungo che poteva facilmente attaccare tutte le coltivazioni di Gros Michel del mondo che, in quanto identiche, erano tutte ugualmente incapaci di rispondere all’infezione.

La polpa delle banane selvatiche è ridotta al minimo perché la parte interna è quasi interamente costituita da semi. Wikimedia commons, CC BY-SA 3.0
La malattia è stata per la prima volta diagnosticata in una piantagione panamense e, da allora, la patologia che avrebbe sterminato le banane Gros Michel entro il 1960 è chiamata malattia di Panama. Il fungo Fusarium oxysporum che ne è la causa attacca le piante dalle radici e penetra nei tessuti vascolari bloccando il trasporto di acqua e nutrienti. Il fusto marcisce, le foglie ingiallite appassiscono e in breve tempo la pianta muore. Ma la caratteristica più temibile di questo fungo è la sua longevità. Dopo che una pianta di banano è stata contagiata, le spore sono liberate nel terreno dove possono sopravvivere per decenni. Un’unica infestazione richiede l’abbandono del campo contagiato perché ciascuna nuova pianta sarebbe immediatamente attaccata dalle spore presenti nella terra. Gli unici trattamenti efficaci hanno un effetto tanto negativo sull’ambiente che sono stati proibiti praticamente ovunque.

Sulla sinistra, una fotografia al microscopio elettronico di ife di Fusarium oxysporum che invadono le cellule corticali di una radice di banano. Sulla destra una pianta che presenta i tipici sintomi della malattia di Panama, con foglie gialle a appassite. Fonti: Lanzoni Rossi-Mônica/CENA, Blomme-Guy / Bioversity International, Musarama CC BY-NC-SA 4.0
Dopo questa prima epidemia le banane non sono sparite dai mercati, anzi, da allora il consumo mondiale è quadruplicato. La soluzione però non è stata l’eradicazione del fungo o la scoperta di trattamenti efficaci, ma la transizione verso una nuova varietà di banane resistenti, le Cavendish. Se non siete soliti esplorare i mercati tropicali della frutta, è molto probabile che qualunque banana abbiate mangiato negli ultimi quarant’anni sia una Cavendish. Non ho mai avuto la fortuna di assaggiare una Gros Michel, ma chi l’ha fatto giura che in termini di dolcezza e dimensioni queste superassero di gran lunga le Cavendish di cui dobbiamo accontentarci oggi. Tuttavia c’è una caratteristica che le accomuna alle Gros Michel: l’identità genetica di tutte le piante coltivate, derivate da un unico esemplare cresciuto nel 1835 nell’improbabile località del Derbyshire, nel giardino del castello Chatsworth House.
La scomparsa delle Gros Michel non è stata una lezione sufficiente a convincere i produttori di banane della fragilità delle loro monoculture, e neanche per i consumatori che amano trovare sempre la stessa banana sui banchi del mercato. Così, a cinquant’anni di distanza, la storia si ripete e ci troviamo di fronte a una nuova epidemia. Per tutti questi anni, il Fusarium ha atteso nella terra incapace di attaccare le nuove varietà, ma ora si presenta come un nuovo ceppo, chiamato Tropical Race 4 (TR4), pericoloso per le Cavendish almeno quanto il suo predecessore lo era per le Gros Michel. Il fungo parassita non conosce confini e può essere facilmente trasmesso attraverso l’acqua e la terra, con un’inondazione o degli stivali contaminati. La malattia di Panama da TR4 colpisce la Cina, l’Indonesia, la Malesia, le Filippine e l’Australia, ma sono già stati registrati casi in Medio Oriente e in Africa (potete seguire l’evoluzione dell’epidemia su questa mappa prodotta da un gruppo di ricercatori dell’Università di Wageningen). Per gli esperti la domanda non è se la malattia raggiungerà il Sud America, ma quando. E sarà forse solo quando questo succederà che i mercati occidentali si renderanno conto dell’epidemia in corso.

Chi produce le banane nel mondo. I maggiori produttori sono India, Cina, Filippine, Brasile e Ecuador. Dati FAOSTAT 2013. Clicca qui per la versione interattiva.
Più che per gli europei e gli statunitensi amanti di questo frutto ricco di potassio, la nuova epidemia di Fusarium potrebbe avere effetti devastanti su milioni di persone nel mondo che, direttamente o indirettamente, basano la propria sussistenza sulla produzione di banane. Alcune sono destinate all’esportazione, ma l’85% delle banane sono prodotte in coltivazioni su piccola scala e consumate localmente. Una galleria fotografica di National Geographic ci racconta per immagini l’importanza alimentare, economica e culturale di questo frutto, specialmente nei paesi in via di sviluppo.
Al momento non esistono varietà di banane considerate valide sostitute della Cavendish, e per questo è essenziale limitare la diffusione del fungo per proteggere le piantagioni e le persone che ci lavorano. Questa strategia serve a dare a biologi e genetisti il tempo necessario per studiare i meccanismi molecolari che regolano l’infezione e sviluppare sistemi per contrastarla, per esempio producendo varietà che resistono alla malattia senza bisogno di inquinanti trattamenti fungicidi. Ma prima ancora di questo, dovremmo forse mettere i coltivatori nella condizione di produrre diverse varietà di banane, cosa che aiuterebbe a scongiurare ulteriori epidemie globali e ci regalerebbe dei banchi della frutta molto più ricchi e variegati.
Fonti e letture:
– FAOSTAT
– Panama Disease website
– ProMusa website
– Ordonez, N., Seidl, M., Waalwijk, C., Drenth, A., Kilian, A., Thomma, B., Ploetz, R., & Kema, G. (2015) Worse Comes to Worst: Bananas and Panama Disease—When Plant and Pathogen Clones Meet. PLOS Pathogens, 11(11), e1005197.
Copertina: Pixabay
Articolo bello e interessante!
Una domanda da consumatore: sapete se e’ possibile trovare da qualche parte in Italia in vendita banane della variante precedente, la Gros Michel? Sono curioso di sentirne il sapore, sono scomparse del tutto o ne esiste ancora un mercato, magari limitato rispetto alle Cavendish?
Grazie!
Roberto.
Ti capisco Roberto, anche a me piacerebbe assaggiarne una! Per quanto ne so in Italia non sono commercializzate, ma potrebbe esserci qualcuno che le produce su piccola scala. Sembra invece che in alcune zone del mondo mai raggiunte dal fungo ci siano ancora delle piantagioni di Gros Michel di medie dimensioni. Tra queste l’Ecuador, alcune isole dei Caraibi, il Congo, la Malesia e l’Indonesia. Non capita spesso di passare da quelle zone – purtroppo – ma invito te e tutti i lettori a mettersi alla ricerca delle Gros Michel nel corso dei loro viaggi e tornare da noi per dirci se le hanno trovate!
Esatto!
E se i coltivatori di Gros Michel e di altri tipi di banane (che certamente sono anche fieri lettori di Scientificast!) volessero darci suggerimenti su dove trovarle in Italia, sono i benvenuti! 🙂
Non so nulla di agronomia né di botanica, quindi la butto lì senza alcuna pretesa di dire qualcosa, per pura curiosità: se l’attacco fungino parte dalle radici non si può innestare una varietà commercializzabile su un portainnesto selvatico più resistente?
trovo delle analogie con la preoccupante epidemia causata dalla Xylella che sta colpendo gli ulivi del Salento