Cosa è un giorno?

La definizione che in genere si studia a scuola suona più o meno così: “un giorno è il tempo che la Terra impiega a ruotare su se stessa rispetto alle stelle fisse”. Questo è il giorno sidereo.  Il moto apparente del Sole è, in realtà, alquanto irregolare, di fatto non passa due volte sullo stesso meridiano dopo ventiquattro ore. Gli astronomi lo chiamano giorno solare vero e la sua durata è variabile durante l’anno. Il giorno di ventiquattro ore è un’unità di misura fittizia, coincidente con il giorno solare medio, ossia la durata media del giorno solare vero. Per convenzione, il giorno civile basato sull’osservazione fittizia del Sole medio è stato in uso fino al 1967, anno in cui è stato ridefinito come composto da 86400 secondi, con l’introduzione degli orologi atomici.

Perché un giorno ha ventiquattro ore?

La risposta si perde nella notte dei tempi. I sumeri e i caldei dividevano il giorno in dodici ore in analogia con l’anno, diviso in dodici lunazioni. I motivi erano sia di ordine religioso che di ordine pratico. Dodici è un numero che si può dividere in parti più piccole in tanti modi diversi, senza lasciare resto, per questo era considerato un numero divino. In realtà, questi popoli non avevano molta dimestichezza con le frazioni, per cui per loro la base duodecimale era una scelta comoda. I primi a rendersi conto che fosse più vantaggioso dividere un giorno in ventiquattro ore, usando una meridiana, furono gli antichi Egizi. Le loro ore però non erano affatto come le nostre: infatti, con un sistema alquanto complesso, consideravano separatamente dodici ore di luce e dodici di buio o, alternativamente, dieci ore di luce e dodici ore di notte, a cui aggiungevano un’ora per l’alba e un’ora per il tramonto. A parte la difficoltà di calcolo, così si avevano ore di lunghezza diversa a seconda del periodo dell’anno, più lunghe in estate e più corte in inverno. Per questo i Greci decisero che era più comodo dividere direttamente in ventiquattro parti. Fu Ipparco nel II secolo a. C. a proporre per primo che le ore dovessero avere la stessa durata, dette ore equinoziali, perché ciò semplificava i calcoli astronomici. Solo nel 1300 però l’idea di Ipparco venne estesa al di fuori dell’ambito astronomico, con l’avvento dei primi orologi meccanici.

Perché in genere sui quadranti degli orologi sono segnati dodici numeri?

Gli orologi all’epoca medioevale erano montati sulle torri della città e doveva essere possibile leggerli da grande distanza. Un quadrante diviso in ventiquattro parti è più difficile da leggere in lontananza, da cui la scelta di dividere un giorno in due cicli di dodici ore. Ad ogni modo, l’abitudine di considerare due cicli era già in uso ai tempi di Greci e Romani. Fino al 1600, però gli orologi non avevano la precisione necessaria per contare minuti e secondi.

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Perché il giorno inizia a mezzanotte?

Nell’antichità l’inizio del giorno coincideva con l’alba. Alcuni popoli, come i Celti, iniziavano invece a contare le ore dal tramonto. Anche nell’Italia medioevale il giorno iniziava al tramonto. La convezione di iniziare il giorno alle ore 00:00:00 è di origine francese ed è stata introdotta in Italia all’epoca della occupazione francese, raggiungendo la massima diffusione dopo il 1800.

Perché un’ora è di sessanta minuti? E un minuto di sessanta secondi?   

Il sessanta si fa risalire ai Babilonesi, la cui matematica si era sviluppata sulla base sessagesimale. Il sessanta, proprio come il dodici, è un numero con molti divisori. Dai Babilonesi abbiamo ereditato anche la convenzione di usare questo numero per suddividere gli angoli: infatti, anche in questo caso, si parla di minuti e secondi.

Che cos’è un secondo?

Unità fondamentale della misura del tempo nel Sistema Internazionale, il secondo in origine era definito come 1/86400 del giorno solare medio. Nel 1967 è stato ridefinito in base al periodo di oscillazione di una specifica transizione nella banda delle microonde tra due livelli iperfini dello stato fondamentale dell’atomo di cesio 133. Questa può sembrare una procedura molto scomoda per costruire un orologio, ma consente una grande precisione e, soprattutto, è del tutto universale: potremmo confrontare il nostro secondo con quello di qualsiasi civiltà aliena spiegando loro come costruire un orologio campione identico ai nostri.

Qual è il futuro della misura del tempo?

Attualmente sono in fase di studio dei nuovi orologi atomici, chiamati orologi ottici, che lavoreranno alle frequenze ottiche invece che alle microonde. In questi orologi si induce una transizione tra livelli atomici utilizzando un fascio laser su un singolo ione di stronzio 87 o di itterbio 171 opportunamente intrappolato. Per caratterizzare un orologio si utilizzano accuratezza e stabilità. I parametri di accuratezza in frequenza e in tempo mi dicono con quale precisione un orologio realizzi un secondo e quanto bene l’orologio stesso implementi la misura temporale; la stabilità rappresenta una misura di quanto precisamente la durata di ogni tic dell’orologio coincida con ogni altro tic. Questi nuovi orologi saranno molto più stabili degli attuali – anche mille volte di più – e potrebbero anche portare a una nuova definizione del secondo campione.

Per ora ci accontentiamo degli orologi atomici “tradizionali”… e spesso anche con quelli arriviamo in ritardo alla cena coi nostri amici!

 

Bibliografia e letture consigliate:

http://astro.bonavoglia.eu/giorno.html

Companion to the Cosmos, John e Mary Gribbin, 1996 – in italiano: L’Universale, Astronomia, Garzanti Libri, 2004

Enciclopedia delle Scienze Fisiche, Volume VI, AA.VV., Istituto della Enciclopedia Italiana, Treccani

http://www.asimmetrie.it/index.php/spaccare-il-secondo

http://wwwusers.ts.infn.it/~milotti/Didattica/Segnali/Misura%20del%20tempo.pdf