I titoli dei giornali riportano l’apocalisse batterica in arrivo, citando uno studio pubblicato su Antimicrobial Agents and Chemotherapy il 26 maggio 2016.

Il problema della resistenza agli antibiotici esiste, è reale e sicuramente crea e creerà sempre più problemi. Ma in questo caso la notizia è stata riportata in modo sensazionalistico e poco corretto.

Lo studio in questione riporta il caso di una donna ricoverata in un ospedale in Pennsylvania dalla quale è stato isolato il batterio responsabile di un’infezione urinaria. Questo batterio è stato poi identificato essere un ceppo di E. Coli che però ha mostrato una caratteristica mai riportata precedentemente negli Stati Uniti (ma già isolata precedentemente in Cina e Europa): la resistenza a un antibiotico chiamato colistina, portata da un plasmide, ovvero una piccola porzione di DNA circolare. Il batterio isolato però non era resistente a tutti gli antibiotici, come dimostra il fatto che la paziente sia stata curata e stia bene.

La colistina è un antibiotico appartenente alla classe delle polimixine, molecole che agiscono sulla parete batterica con un meccanismo non troppo specifico, per questo motivo il loro uso è spesso limitato a causa degli effetti collaterali a livello renale e vengono quindi utilizzati come ultima scelta, nel caso di fallimento di altri trattamenti antibiotici.

Questa notizia però sottolinea il problema sempre più preoccupante dei batteri resistenti agli antibiotici, di cui l’unico responsabile è l’uomo.

Abbiamo vanificato il lavoro di Fleming e di chimici farmaceutici che hanno identificato i farmaci che hanno salvato il numero maggiore di vite nella storia, abusandone per uso umano e per uso veterinario.

I batteri sono organismi semplici, mutano e si adattano alle condizioni ambientali molto velocemente. Più gli diamo possibilità di crescere in presenza di antibiotici e di “abituarsi” a essi, più sarà facile che avvenga una mutazione casuale che consenta a loro e alle generazioni successive di crescere in presenza di quel farmaco.

Le possibilità di sviluppare resistenza aumentano ancora di più se consideriamo la prescrizione degli antibiotici per patologie non batteriche come l’influenza e il raffreddore, o se pensiamo a chi alla scomparsa dei sintomi interrompe anche l’assunzione degli antibiotici nonostante gli fosse stato prescritto per 1 o 2 giorni in più creando così le condizioni ideali per lo sviluppo di resistenza. Infatti quando si interrompe un ciclo di antibiotici, generalmente la maggioranza dei batteri è già stata uccisa, ecco perché stiamo meglio. Quelli che hanno sviluppato resistenza, però, sono ancora presenti: abbassandosi i livelli del farmaco e non essendoci più i batteri sensibili si creano le condizioni ottimali per la proliferazione.

Il peggio però è stato fatto in ambito veterinario: gli allevamenti intensivi rendono molto più facili le trasmissioni di patologie infettive, soprattutto batteriche. Per questa ragione, per essere sicuri di avere animali “sani”, gli allevatori spesso abusano di antibiotici. Si stima che il 70% della produzione USA di antibiotici sia utilizzato a livello veterinario.

E tornando alla colistina, i primi “pazienti” in cui è stato isolato il plasmide di resistenza, a novembre in Cina, sono stati proprio i maiali.

Ora il timore è che questi batteri resistenti alla colistina possano trasferire questo plasmide responsabile, chiamato mcr1, a altri batteri già resistenti ad altre classi di antibiotici e a quel punto, i pazienti infettati non sapremo davvero con cosa curarli. Sempre se nel frattempo non saranno state immesse sul mercato nuove molecole che i batteri non sapranno ancora come contrattaccare. Molti laboratori stanno lavorando su questo fronte e ci sono alcune molecole promettenti, ma come sempre la strada dei trial clinici è lunga e faticosa.

Si stima che oggi muoiano tra USA e Europa circa 50000 persone ogni anno a causa della resistenza agli antibiotici e sicuramente la situazione, a meno che non vengano immesse rapidamentesul mercato nuove molecole, non potrà che peggiorare.

Cosa possiamo fare per migliorare la situazione? Riflettere prima di prendere un antibiotico, informarci e sicuramente, a livello governativo, aumentare i controlli a livello veterinario.

 

FONTI

https://www.washingtonpost.com/news/to-your-health/wp/2016/05/27/what-we-know-so-far-about-the-superbug-in-the-pennsylvania-case/?tid=a_inl

https://www.youtube.com/watch?v=znnp-Ivj2ek

http://www.who.int/mediacentre/factsheets/antibiotic-resistance/en/

http://www.cdc.gov/drugresistance/about.html

http://www.nature.com/nature/journal/v517/n7535/full/nature14098.html