I ragni sono animali adorabili, fondamentalmente perché mangiano le zanzare, ma non solo. Molte specie di ragno creano formidabili ragnatele, composte da filamenti sottilissimi e straordinariamente resistenti: da molti anni studiamo queste ragnatele e ancora ci riservano parecchie sorprese. L’ultima in ordine di tempo riguarda la resistenza che i fili oppongono alla torsione.

La tela di ragno è composta, nella maggior parte dei casi, da due diverse tipologie di filamenti. I “raggi” della ragnatela, che ne rappresentano l’intelaiatura, sono costituiti da filamenti più spessi e resistenti. Su questi è costruita una spirale di filamenti più sottili su cui sono depositate minuscole gocce di materiale colloso. Diverse ghiandole secernono questi diversi filamenti, che sono solo i due tipi principali di almeno sette diverse tipologie conosciute. In alcune specie di ragno i singoli individui sono in grado di produrre fino a cinque diverse varietà di seta.

Tutti i filamenti hanno una struttura simile. Si tratta di sequenze proteiche impacchettate in “foglietti”, come nella seta che usiamo per l’abbigliamento. Queste strutture proteiche sono estremamente resistenti, pur essendo molto leggere. Il ragno Caerostris darwini è considerato il creatore dei filamenti più resistenti: questi arrivano ad avere un carico di rottura confrontabile con quello dei migliori acciai, oltre 180 chilogrammi per millimetro quadro di sezione, con una densità pari a circa un sesto. In linea di principio, una corda fatta di tela di Caerostris darwini potrebbe reggere, a parità di peso della corda, da 4 a 5 volte più carico di una corda del migliore acciaio che conosciamo.

Le proprietà meccaniche della tela di ragno non si esauriscono qui. Oltre ad avere una resistenza a trazione sorprendente, i filamenti possono allungarsi anche del 30% prima di strapparsi. In confronto un acciaio Maraging, usato in aeronautica e nei motori ad alte prestazioni, ha un carico di rottura superiore ai 200 chilogrammi a millimetro quadro, ma l’allungamento a rottura è limitato al 10% circa. La tela del ragno, inoltre, risente molto dell’umidità: Se questa aumenta, il filamento tende a contrarsi, fino a ridursi addirittura della metà. Questa proprietà è sotto studio per l’applicazione di filamenti proteici di questo tipo in nanomacchine, come “nanomuscoli” che possono essere contratti o rilasciati aumentando o diminuendo l’umidità con cui sono a contatto.

Da alcuni decenni, ormai, circola una leggenda metropolitana sulla resistenza della tela di ragno: si dice che un filo di seta di ragno del diametro di una matita potrebbe fermare un Boeing 747 in volo. Qualcuno si è divertito a fare tutti i calcoli e, purtroppo, non è del tutto vero. Non è nemmeno del tutto falso, un filo sufficientemente lungo (in modo da allungarsi a sufficienza prima di strapparsi) del diametro di un centimetro potrebbe fermare un Boeing 747 alla velocità a cui decolla, intorno a 300km/h. Per fermare un aereo in volo, alla velocità di crociera di 900km/h, servirebbe un cavo di svariati centimetri di diametro… o una ragnatela abbastanza grande: diciamo che se avesse una ventina di raggi lunghi un chilometro e di un centimetro di diametro i passeggeri del Jumbo non potrebbero stare del tutto tranquilli.

Come accennavamo all’inizio, una “nuova” proprietà della tela di ragno è stata scoperta molto recentemente. In realtà, l’osservazione alla base di questa è abbastanza banale: quando un ragno si cala appeso a un filo, non si mette a ruotare intorno a un asse verticale. Se proviamo a reggere un oggetto pesante appeso a un filo, invece, osserviamo che basta pochissimo, anche la minima bava di vento, a farlo ruotare. Un gruppo di scienziati cinesi e britannici ha voluto investigare questo fenomeno e ha scoperto che il filo del ragno, per essere ritorto, ha bisogno di un’energia molto grande e che, se messo artificialmente in rotazione, dissipa questa energia in pochissimo tempo.

Pur essendo estremamente sottile, quindi, il filo del ragno ha una struttura molecolare che si deforma molto se soggetto a torsione, in un modo che, finora, non siamo mai stati in grado di riprodurre artificialmente. Se osserviamo da vicino una corda, infatti osserviamo che è fatta di trefoli arrotolati uno intorno all’altro e che, a loro volta, i trefoli sono fatti di filamenti ritorti nella direzione opposta. Tutto questo serve appunto per limitare la tendenza delle corde a torcersi quando vi è appeso un carico, ma l’efficienza è molto inferiore a quella che osserviamo nei ragni.

La speranza è di poter “copiare” dalla natura e imparare a fare corde migliori, ma, per stessa ammissione degli autori, la comprensione di come funzioni un filo di una ragnatela è ancora lontana, e anche la tecnologia per ricreare fibre simili in laboratorio. La speranza è comunque che nei prossimi decenni tutto questo si possa fare e, probabilmente, l’introduzione sul mercato di “tela di ragno artificiale” avrà un impatto notevole sulle nostre vite.

 


Immaine di copertina: Uditha Wickramanayaka by Shutterstock