In una conferenza stampa presso la sede centrale dell’ESO è stato annunciata la scoperta di un pianeta di massa comparabile alla Terra in orbita intorno a Proxima Centauri. Il pianeta si trova in quella che viene definita zona abitabile, ossia è a una distanza dalla stella per cui la temperatura di equilibrio planetaria è tale da poter permettere la presenza di acqua liquida sulla sua superficie.

Proxima Centauri è una delle stelle più note al grande pubblico in quanto può fregiarsi del titolo di stella più vicina al Sole, ad appena 4.2 anni luce da noi*. Fu proprio il suo scopritore, l’astronomo scozzese Robert Innes nel 1915, a suggerire il nome Proxima. Come il nostro Sole, Proxima Centauri è una stella di sequenza principale, ossia brucia idrogeno in elio, ma a differenza del Sole è una nana rossa, quindi molto meno massiva. Sin dalla sua scoperta ha suscitato l’interesse degli astronomi che hanno cercato di stabilire se questa nuova stella fosse gravitazionalmente legata al sistema di Alpha Centauri e quale fosse la natura della sua variabilità.

Dai primi anni ’90 in poi è diventata oggetto di parecchi studi volti alla ricerca di eventuali pianeti extrasolari. Da un lato la sua vicinanza rende possibili campionamenti molto dettagliati, dall’altro però l’attività del suo campo magnetico rende difficile distinguere i segnali dovuti alla eventuale presenza di pianeti dalle variazioni di luminosità intrinseche della stella. Gli studi condotti finora erano riusciti solo a escludere la presenza di pianeti di massa pari a quella di Giove con periodi di rivoluzione inferiori ai 12 anni. L’interesse nello studiare l’esistenza di pianeti intorno a stelle come Proxima Centauri deriva principalmente dal fatto che questo tipo di stelle sono molto diffuse nell’universo – 70 stelle su 100 nella nostra galassia sono nane rosse – e quindi è importante caratterizzare che tipo di sistemi planetari ospitano.

Il progetto dell’ESO Pale Red Dot ha permesso di spingere le osservazioni al limite, osservando Proxima Centauri da metà gennaio ad aprile 2016 con lo spettrometro HARPS – High Accuracy Radial velocity Planet Searcher. Come suggerisce l’acronimo, questo strumento è stato costruito appositamente per la ricerca di pianeti extrasolari; situato al telescopio di 3.6 m a La Silla in Cile, permette di misurare velocità radiali con una precisione mai raggiunta prima, pari a un solo metro al secondo! Se i primi studi condotti con HARPS nel 2012 non avevano dato risultati particolarmente significativi, questa nuova estesa campagna osservativa ha permesso di individuare il pianeta in orbita con una forte evidenza statistica. L’ESO ha deciso anche di affiancare alla campagna scientifica una parallela di divulgazione proprio per far avvicinare le persone al lavoro degli scienziati, mostrando loro il dietro le quinte che comprende non solo l’entusiasmo e la passione degli astronomi ma anche le numerose prove e gli sforzi continui necessari per il progresso della conoscenza.

Al termine delle osservazioni, i dati di HARPS sono stati analizzati a fondo dagli scienziati, in combinazione con quelli presi ad altri telescopi robotici dislocati in vari punti del globo, quali le reti di telescopi Las Cumbres Observatory Global Telescope Network (LCOGT), Burst Optical Observer and Transient Exploring System (BOOTES) e il telescopio ASH2. Ciò ha permesso di misurare con estrema accuratezza la velocità radiale della stella al passare del tempo e di stabilire se le variazioni fossero imputabili all’esistenza di un pianeta eliminando gli effetti dovuti alla variabilità della stella. I lettori più assidui di Scientificast ricorderanno di quando vi abbiamo raccontato del “pianeta che non c’era” intorno ad Alpha Centauri B: in questo caso però gli analisti sono concordi che l’evidenza sia ben più robusta. Il segnale misurato da HARPS è consistente con un pianeta di massa minima pari a 1.3 masse terrestri.

Che cosa vuol dire massa minima? Semplicemente che il pianeta in realtà potrebbe anche essere un più grande delle 1.3 masse terrestri trovate, ma che non può essere più piccolo di questo valore. Inoltre, poiché Proxima Centauri è più piccola del Sole, la sua zona abitabile è più vicina alla stella stessa. Proxima b infatti completa un’orbita intorno alla sua stella in poco più di 11 giorni e si trova più vicino alla sua stella di quanto non sia Mercurio rispetto al Sole! Le simulazioni di formazione di pianeti ci dicono però che non è plausibile che un pianeta di queste dimensioni si sia formato così vicino alla stella, ma è più probabile che sia migrato successivamente nella posizione attuale. Gli scenari possibili di migrazione sono diversi e riguardano pianeti con diverse storie di formazione e quindi diverse proprietà, per questo sarà importante continuare a studiare Proxima b per caratterizzarlo in dettaglio.

Potreste chiedervi a questo punto perché il progetto sia stato chiamato Pale Red Dot. Il nome è ispirato dal famoso saggio di Carl Sagan, Pale Blue Dot, dedicato alle immagini del pianeta Terra riprese dal Voyager 1 ai limiti del sistema solare. Poiché Proxima Centauri è una stella rossa, gli scienziati hanno immaginato che un eventuale pianeta apparirebbe rossastro, ossia un piccolo punto rosso – pale red dot in inglese.

Se fosse possibile osservare il cielo stellato da Proxima b, non lo vedremmo tanto diverso da quello che ci è familiare: mancherebbe la costellazione del Centauro di cui Proxima Centauri fa parte, ma la sua vicinanza al Sole ci permetterebbe di osservare le medesime costellazioni che osserviamo dalla Terra e il Sole stesso ci apparirebbe come un puntino luminoso tra Cassiopea e Perseo. Non cominciate però a figurarvi già ipotetici abitanti di un mondo alieno che ci stanno osservando: al momento non sappiamo molto del pianeta e non si può dire con certezza se sia veramente abitabile anche se si trova nella fascia di abitabilità della sua stella. Qual è il problema? Il punto è che i dati attuali non ci permettono di stabilire con certezza se il pianeta abbia un’atmosfera, quale sia la sua composizione e se questa sia stabile. L’attività magnetica della stella e i suoi brillamenti in raggi X potrebbero per esempio interferire con un’eventuale atmosfera tanto da farla “evaporare” nello spazio. In una coppia di articoli di prossima pubblicazione, gli scienziati del progetto Pale Red Dot cercano di caratterizzare l’abitabilità del pianeta tramite delle simulazioni: esistono diversi modelli e alcuni di essi predicono la possibilità che su Proxima b esista un’atmosfera e che ci sia quindi acqua liquida sul pianeta. È presto quindi per trarre conclusioni: le ricerche future potranno dipanare i dubbi e dirci qualcosa di più. In particolare, si pensa che E-ELT, il telescopio di nuova generazione che l’ESO sta costruendo in Cile, potrà osservare direttamente il pianeta, determinando se esso abbia un’atmosfera, acqua e magari un clima abitabile!

Di certo, però i dati finora raccolti ci dicono che neanche in questo caso abbiamo trovato il pianeta gemello della Terra: nonostante sia un candidato estremamente interessante per la ricerca di vita extraterrestre, la storia di Proxima b e quella della sua stella sono profondamente differenti da quella della nostra Terra e del nostro Sole.