Chi di voi ha avuto a che fare con i cavalli sa che sono animali caratterizzati da una socialità molto spiccata, sia tra loro che con gli umani. I cavalli comunicano tra loro prevalentemente in modo gestuale, con sguardi, movimenti delle orecchie e delle narici, impostazione del corpo. Per gli esseri umani, che hanno una comunicazione basata sulla parola, non è sempre semplicissimo “capire” cosa ci vuol dire il nostro cavallo. La domanda simmetrica che nasce spontanea è: i cavalli ci capiscono?

La risposta non è banale, perché non possiamo interpellarli direttamente e perché, a differenza dei cani, ci sono molti meno studi sulla comunicazione interspecifica. Ma approfondiamo gli studi esistenti, che negli ultimi dieci anni hanno mostrato risultati molto interessanti.

Nel 2009 uno studio svedese ha mostrato come il nervosismo del cavaliere influisca sul cavallo. L’esperimento si è svolto in due fasi, prima con il cavallo portato a mano e poi con il cavallo montato: in entrambi i casi, il binomio doveva percorrere un tratto di 30 metri per quattro volte, avendo un cardiofrequenzimetro per entrambi. Il primo transito serviva per misurare l’incremento dovuto al movimento, il secondo e il terzo per controllo e il quarto era la vera misura: lo sperimentatore avvisava l’umano che un ombrellone sarebbe stato aperto ad un certo punto del tragitto, creando un potenziale stress al cavallo. L’ombrellone NON veniva aperto, ma l’ansia provocava un aumento del battito cardiaco all’umano e, attraverso qualche meccanismo di trasmissione emotiva, anche nel cavallo. La conclusione dello studio è particolarmente interessante per i cavalieri: più ti agiti per un ostacolo, più è probabile che il cavallo si spaventi quando lo affronterà.

Un cavallo risente del grado di nervosismo dell’umano con cui sta lavorando anche quando viene portato “alla mano”, senza contatto fisico, e questo può essere misurato attraverso i suoi parametri vitali. Immagine di Konstantin Tronin via Shutterstock.

Uno studio inglese del 2012, invece, si è posto una domanda più complessa. Un cavallo è in grado di riconoscere un altro cavallo in vari modi, per esempio solo udendone il nitrito oppure solo vedendolo, ed è in grado di associare queste due informazioni allo stesso individuo (riconoscimento cross-modale): può fare lo stesso anche con un individuo di un’altra specie, cioè con un umano? L’esperimento in questo caso consisteva nel porre il padrone del cavallo (o comunque una persona con cui il cavallo lavorava abitualmente) da una parte e uno sconosciuto dall’altra, in modo che ciascuna persona potesse essere vista con un solo occhio. I cavalli, infatti, come molti erbivori, hanno gli occhi posti lateralmente alla testa, avendo così una visione binoculare solo per una quindicina di gradi in avanti e una visione monoculare molto estesa su entrambi i lati. Oltre allo stimolo visivo sono stati introdotti degli stimoli uditivi, usando delle registrazioni e degli altoparlanti, in modo da associare la voce del padrone anche allo sconosciuto e viceversa. I risultati sono andati oltre le aspettative. Il livello di attenzione era ben diverso a seconda della combinazione, in particolare era molto alto quando la voce del padrone veniva dal lato del padrone e significativamente più basso quando la corrispondenza non era corretta, cioè sia quando la voce del padrone veniva dal lato dello sconosciuto, sia quando la voce dello sconosciuto veniva dal lato del padrone. La voce dello sconosciuto che proveniva dal lato dello sconosciuto, infine, raccoglieva una attenzione ancora più bassa, dimostrando che il cavallo è in grado di riconoscere il “suo” umano sia dalla voce che dall’aspetto, anche presi singolarmente. Inoltre, gli scienziati hanno osservato una significativa asimmetria destra – sinistra. I cavalli hanno più facilità al riconoscimento cross-modale quando è coinvolto l’occhio destro, cioè prevalentemente l’emisfero sinistro del cervello. Questo è in contrasto con un altro esperimento, in cui al cavallo veniva fatta sentire la voce del padrone senza che questo fosse in vista: in quel caso, il cavallo tendeva a girarsi preferibilmente verso sinistra, indicando una prevalenza dell’attività dell’emisfero destro. In analogia con i primati e gli umani, è stato proposto che anche i cavalli abbiano un procedimento a due stadi, prima l’emisfero destro riconosce “qualcosa di interessante”, poi il sinistro associa le informazioni e rende possibile il riconoscimento cross-modale.

Due ulteriori studi, del 2016 e di questo 2018, hanno investigato rispettivamente la capacità del cavallo di riconoscere le emozioni dell’umano con cui hanno a che fare dall’espressione del viso o da un suono non verbale, una risata e un grugnito. I risultati sono stati in entrambi i casi positivi. Nel primo esperimento si è mostrato che il cavallo riesce a discriminare lo stato d’animo del cavaliere dall’espressione facciale di quest’ultimo e che il suo battito cardiaco può aumentare se identifica aggressività nell’umano: questo effetto tra specie diverse non era mai stato osservato. Nel secondo è stato dimostrato che il cavallo ha un aumento dell’attenzione molto più marcato nel caso di stimoli negativi rispetto a quelli positivi, e anche una preferenza per girare verso la sorgente del suono l’occhio e l’orecchio destro, indicando una maggiore attività dell’emisfero cerebrale sinistro. Questo era già stato osservato in esperimenti simili sui cani e potrebbe indicare una preferenza generalizzata tra specie diverse.

Gli studi sono per ora pochi e piuttosto sporadici, ma danno tutti risposte positive: il cavallo riesce a capire il “suo umano” in molti modi e adegua il suo comportamento all’atteggiamento del cavaliere, con una sensibilità molto spiccata. Questo non stupirà chi ama e conosce i cavalli, ma da cavaliere devo ammettere che ora ho paura che la mia cavallina mi capisca molto meglio di quanto io non capisca lei…

 


Immagine di copertina: DisobeyArt via Shutterstock