Proseguiamo il nostro viaggio nel tempo sulla nostra comprensione del concetto di vuoto, nel Medioevo…

La storia del vuoto prima del Medioevo ha visto l’opposizione di vari punti di vista: quello, considerato sempre autorevole ma controverso, di Aristotele, per cui l’esistenza del vuoto avrebbe implicato l’ubiquità dei corpi e quindi un assurdo; quella degli atomisti, per cui le “particelle” di materia sono separate dal vuoto assoluto; quella del “vuoto frammisto”, secondo la quale il vuoto può esistere solo in forma frammentata tra una particella e l’altra, e non in grandi volumi. Nell’età greco-romana, Giovanni Filopono aveva criticato le concezioni aristoteliche sul moto, contrapponendovi il concetto di impetus che rendeva il vuoto nuovamente possibile.

Attorno al X-XI secolo la diatriba interessò gli studiosi e i commentatori arabi, che contribuirono allo sviluppo della teoria dell’impetus. Si pensa che agli inizi del X secolo lo scienziato e filosofo Alpharabius abbia svolto esperimenti sull’esistenza del vuoto tramite rudimentali pompe in acqua, concludendo che il volume dell’aria si potesse espandere fino a riempire lo spazio disponibile, e che pertanto il concetto di vuoto perfetto fosse inconsistente. Più o meno nello stesso periodo, il matematico e scienziato Alzahen, famoso per i suoi studi di ottica, tentò di dimostrare geometricamente l’esistenza del vuoto in opposizione ad Aristotele, e il grande studioso arabo Avicenna riprese le idee di Giovanni Filopono, sostenendo tuttavia la non esistenza del vuoto. Secondo Avicenna infatti, in assenza dell’ostacolo costituito dal mezzo, la forza impressa al proiettile all’inizio del moto non varierebbe e non si consumerebbe mai, e il moto persisterebbe indefinitamente.

La non esistenza del vuoto fu anche accettata dal commentatore aristotelico del XII secolo Averroè, il quale sostenne che è esperienza di tutti che il moto avvenga sempre attraverso un mezzo e che ricorrere ad un’ipotetica forza incorporea significherebbe cercare la causa delle cose non nella realtà ma in un immaginario mondo astratto; in altre parole, sosteneva appieno la tesi di Aristotele sul mezzo come responsabile del proseguimento del moto sulla Terra. Tuttavia, citando in parte il pensiero del quasi contemporaneo Avempace, non escluse a priori la possibilità di moto anche attraverso il vuoto.

L’approccio cinematico di Averroè venne poi perfezionato nel Duecento da Tommaso d’Aquino, che nelle sue lectiones parigine sostenne ipotesi analoghe: il vuoto, pur non offrendo resistenza, verrebbe comunque attraversato dai corpi in tempo finito (e non nullo, come sosteneva Aristotele) poiché è la distanza piuttosto che la materia a determinare la durata temporale del moto. In generale, la scolastica parigina rifiuterà l’esistenza pratica del vuoto, senza tuttavia escluderla in linea di principio.

Una critica importante allo schema dell’universo generalmente accettato si ebbe a Oxford nel XIV Secolo a opera di Guglielmo di Ockham il quale, seguendo il suo principio «entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem» (non moltiplicare gli elementi più del necessario, meglio noto come rasoio di Ockham) argomentò che un corpo in movimento non richiede necessariamente il contatto fisico di un motore; se ne ha un esempio nel caso del magnete, che può muovere un pezzo di ferro senza toccarlo (va ricordata a tale proposito l’espansione dell’uso delle bussole in navigazione nel XI e XII secolo). Questo esempio di azione a distanza presumibilmente poteva aver luogo attraverso il vuoto. Pertanto, siccome lo spazio, per trasmettere effetti fisici, non doveva necessariamente essere pieno di materia, era sensato supporre l’esistenza del vuoto.

Nonostante Ockham vedesse nell’esistenza del vuoto una prova dell’onnipotenza divina (se Dio infatti avesse voluto, avrebbe potuto produrre il vuoto), fu accusato di eresia e scomunicato. Paradossalmente, nel 1277 il vescovo parigino Étienne Tempier, tramite la condanna di 219 proposizioni ritenute in collisione con le dottrine teologiche, aveva indirettamente ristabilito la possibilità dell’esistenza del vuoto rinnegando alcune dottrine degli “aristotelici radicali” (tra cui Averroè e Tommaso d’Aquino) proprio perché limitavano la potenza assoluta di Dio. In particolare veniva rinnegata la dottrina 49: Che Dio non potrebbe muovere i cieli [cioè il cielo e quindi il mondo] con un moto rettilineo; e la ragione è che rimarrebbe un vuoto.

Per saperne di più:

A. Braccesi, Una storia della fisica classica, Zanichelli (1992)
J.D. Barrow, The book of nothing, Pantheon Books (2000).
N. El-Bizri, in Arabic Sciences and Philosophy 17 p. 57, Cambridge University Press (2007)
H. Genz, K. Heusch, Nothingness – The Science of Empty Space, Perseus (1999)
M. Gliozzi, Storia della Fisica, Bollati Boringhieri (2005)
E. Grant, La scienza nel Medioevo, Il Mulino (1997)
P. Porro, Forme e modelli di durata nel pensiero medievale, Leuven University Press (1996)
A. Zahoor, Muslim History, Zmd (2000)

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