Le principali testate giornalistiche hanno riportato il caso di un ricercatore che ha contratto il virus dell’HIV in laboratorio. Il contagio risale a qualche anno fa ma la notizia è stata diramata soltanto in occasione del recente congresso di Boston (Conference on Retrovirus and Opportunistic Infections).

Il ricercatore ha scoperto di essersi contagiato in occasione di una donazione di sangue, in cui viene di routine fatto un controllo per la sieropositività al virus dell’HIV. Dal momento che era sicuro di non aver contratto il virus secondo le normali vie di infezione, è emersa la possibilità che il contagio fosse avvenuto in laboratorio, nonostante avesse sempre utilizzato sequenze di HIV modificate, dette difettive in quanto non in grado di replicarsi. Attraverso il sequenziamento, ovvero la lettura del genoma del virus, è emerso come questo corrispondesse a diversi costrutti dei virus utilizzati in laboratorio, mentre non coincideva con nessun HIV precedentemente circolante nella popolazione. Si pensa quindi che il virus che ha generato il contagio sia frutto di una ricombinazione tra diversi virus difettivi usati in laboratorio.

Il ricercatore non ha riportato però nessuna esposizione traumatica al virus – ad esempio tagli o punture con aghi infetti – e quindi si sospetta che la trasmissione possa essere avvenuta per via aerea.

Ed è questo l’aspetto che dovrebbe far saltare sulla sedia chi fosse informato su HIV, o avesse letto il nostro post in occasione del 1 dicembre. Il virus dell’HIV, infatti, normalmente non si trasmette per via respiratoria, ma nei laboratori si usano virus modificati, più adatti ad infettare diversi tipi cellulari. Nel caso del ricercatore sembra che venissero utilizzate porzioni di DNA anche del virus della stomatite vescicolare (VSV), in particolare della glicoproteina di superficie del virus che consentirebbe l’infezione di svariati tipi cellulari. Quest’ultima avrebbe potenzialmente consentito l’infezione per via aerea, anche se non esiste ancora prova diretta. Speriamo di avere maggiori dettagli dall’articolo scientifico riguardante il caso, che si dice debba essere pubblicato a breve.

Sicuramente questi risultati sottolineano come i livelli di sicurezza all’interno dei laboratori spesso non siano adeguati: sembra infatti che il ricercatore lavorasse ad un livello di sicurezza inferiore a quello richiesto. Ma, soprattutto, ci ricordano che le capacità di adattamento e ricombinazione dei virus sono ancora più alte di quanto ci si aspetti.

 

http://www.croiconference.org/sessions/hiv-1-laboratory-contagion-during-recombination-procedures-defective-constructs

http://www.adnkronos.com/salute/medicina/2016/02/24/contagiato-virus-hiv-nato-laboratorio-primo-caso-mondo_QTox2rLEsDdHWMHtNZIC9I.html?refresh_ce