Fin da piccoli, ci insegnano che ci sono sette note: Do, Re, Mi, Fa, Sol, La e Si. Dopo il Si, si riparte con un altro Do, in una scala infinita. Che differenza c’è tra una nota e un’altra? Ogni strumento ha una sua voce particolare, ma con diversi strumenti posso ottenere le stesse note, sulle quali (se fossi capace) potrei anche cantare: in una parola, cos’è una nota musicale? Per capirlo dal punto di vista scientifico dobbiamo prima di tutto capire come percepiamo i suoni.

Un suono è un’onda di pressione che si propaga nell’aria. Se colpiamo la pelle di un tamburo, ad esempio, questa si mette a vibrare e vibrando genera alternativamente un aumento e una diminuzione della pressione nell’aria con cui è a contatto: queste “creste” di pressione si diffondono, come le onde prodotte da un sasso lanciato in un lago, ad una certa velocità, pari a circa 340 metri al secondo. Queste onde di pressione entrano nel nostro orecchio e arrivano su cellule particolari, in grado di vibrare a loro volta e di tradurre la vibrazione in impulsi nervosi che possono essere inviati al cervello. Le onde sonore, come tutte le altre onde, sono caratterizzate da due parametri fondamentali: frequenza e intensità. Il nostro orecchio è in grado di recepire suoni di intensità molto variabile, dal nostro stesso respiro a un aereo che decolla; suoni molto più deboli del nostro respiro, come ad esempio il rumore del sangue che scorre nelle nostre vene, sono percettibili solo a pochissime persone, mentre suoni più forti di un aereo che decolla provocano dolore e danni permanenti al nostro sistema uditivo. Anche per le frequenze abbiamo una “finestra” in cui sentiamo tutto, al di fuori della quale non sentiamo nulla. Una persona in perfette condizioni può percepire suoni con frequenze comprese tra 20 Hertz (20Hz, 20 cicli al secondo) e 20.000 Hertz (20kHz). La voce umana, d’altra parte, produce suoni con frequenze che vanno normalmente dagli 80Hz ai 1500Hz.

A frequenze più alte corrispondono suoni più acuti, mentre a frequenze più basse suoni più gravi. La percezione che abbiamo della differenza tra due suoni, però, è abbastanza complicata: l’udito, come tutti i nostri sensi, obbedisce alla legge di Weber-Fechner. Noi percepiamo come uguali gli intervalli tra due note non se le differenze tra le frequenze sono uguali, ma se i rapporti tra le frequenze sono uguali. Questo vuol dire che se una nota A2 ha frequenza doppia di una nota A1, dovremo raddoppiare la frequenza di A2 per ottenere una nota A3 tale che la differenza di altezza percepita tra A3 e A2 sia uguale a quella percepita tra A2 e A1.

Pur non conoscendo la legge di Weber-Fechner, i popoli dell’antichità si erano resi perfettamente conto di questo fatto, grazie agli strumenti a corda. Quando suoniamo una chitarra, ad esempio, accorciamo una corda bloccandola ad una certa posizione sulla tastiera per ottenere una nota più acuta: confrontando la differenza di altezza della nota che otteniamo con la corda libera e con la corda bloccata a metà della sua lunghezza e tra questa e quella che otteniamo con la corda bloccata in modo che vibri per solo un quarto della sua lunghezza, possiamo provare con le nostre orecchie che le differenze che percepiamo sono uguali, anche se le note sono diverse. Lo studio degli intervalli tra le note musicali è stato per molti secoli intimamente legato alla matematica e all’astronomia, essendo opinione comune che la natura seguisse leggi numeriche semplici per tutte le sue manifestazioni. L’armonia veniva cercata tra le note come nel moto dei pianeti, nella distribuzione delle foglie sulle piante, nel disegno dei templi e in un’infinità di altri ambiti. La matematica su cui poteva contare uno scienziato dell’Antica Grecia, però, era molto primitiva, rispetto alla nostra; inoltre, la filosofia influenzava molto la scienza, per cui, ad esempio, uno dei più grandi matematici dell’antichità, Pitagora, pretendeva di costruire tutta la sua fisica (intesa come studio della natura) sui soli numeri interi. Pitagora è stato anche uno dei primi grandi teorici della musica, avendo studiato nel dettaglio come definire le note in modo da avere intervalli il più possibile regolari.

Oltre ai ragionamenti matematici e filosofici, però, bisognava tener conto anche di un fattore “estetico”: quali coppie di frequenze stavano bene insieme? Quelle che tra loro avevano un rapporto con numeratore e denominatore “piccoli”, come 2/3 e 3/4. Eseguire insieme note ottenute con altri rapporti, ad esempio 27/11 o 17/12*, davano risultati sgradevoli all’orecchio. A Pitagora (anche se risale alla tradizione mesopotamica del IV millennio a.C.) è attribuita una divisione in note basata su questi due rapporti:

Pitagorica

In questo modo, partendo da una nota che ha una frequenza f, la nota che ha una frequenza 4/3f sta in quarta posizione, quella che ha frequenza 3/2f in quinta posizione e quella che ha frequenza 2f in ottava. Il termine ottava, per intendere che due frequenze sono una il doppio dell’altra, si utilizza oggi per onde di tutti i tipi, dalla musica alle onde elettromagnetiche ai segnali elettrici nei circuiti elettronici. La scala che si ottiene in questo modo ha cinque intervalli uguali e due diversi: classicamente, venivano chiamati toni i primi e lemmi i secondi. Nel corso del Medio Evo, la scala pitagorica è stata modificata, introducendo il ciclo delle quinte, ovvero un metodo ciclico per costruire tutte le note usando i rapporti 2/3 e 3/4. In questo modo, l’ottava viene divisa in 12 intervalli, tutti uguali tra di loro.

AccordCiclicaCiascun intervallo di questa nuova scala è detto semitono e si costruisce una nuova scala di sette note prendendo una nota di riferimento e seguendo la sequenza “antica”, sostituendo due semitoni a ogni tono e un semitono a ogni lemma. Sono così nate le sette note che conosciamo oggi con le loro alterazioni, ovvero le stesse note aumentate o ridotte di un semitono con un diesis o un bemolle. La nuova scala pitagorica aveva un difetto: costruendo le note usando il ciclo di quinte, dopo un’ottava si ha una frequenza leggermente diversa da quella attesa. Invece di arrivare a 2f, partendo da f, si arriva a circa 2,027f. Per correggere questa discrepanza, nel Rinascimento si introdussero delle correzioni all’accordatura degli strumenti per avere gli intervalli di ottava rispettati in modo esatto. Queste scale modificate prendono il nome di temperamenti.

Oggi conosciamo molta più matematica dei nostri avi, quindi abbiamo definito un temperamento in cui tutti i semitoni sono esattamente uguali tra loro e che, dopo dodici semitoni, ci dà il giusto rapporto 1/2 tra una nota e quella un’ottava più alta. In questo temperamento, che chiamiamo equabile, due note distano un semitono se il rapporto tra le loro frequenze è pari alla radice dodicesima di 2. Questo risultato matematico, semplice per noi “uomini moderni”, era difficile da mettere in pratica senza strumenti per costruire oggetti geometrici in cui i rapporti tra le lunghezze fossero la radice dodicesima di 2. Benché ipotizzato nel XVII secolo, il temperamento equabile divenne realizzabile in pratica solo alla fine del XIX.

La scala temperata di 12 semitoni per ottava prende il nome di scala cromatica ed è utilizzata per la quasi totalità della musica che viene scritta e ascoltata nel mondo. Esistono, oltre a questa, altre scale, anche basate su intervalli diversi dall’ottava, ma tutte hanno almeno due punti in comune: rispettano la legge di Weber-Fechner, per cui ciò che conta sono sempre i rapporti tra le frequenze e, soprattutto, si basano su tanta, tantissima matematica.


* 17/12 non è una frazione casuale, è un numero che differisce di poco più dello 0,1% dalla radice quadrata di 2. Questo corrisponde a mezza ottava (in termini musicali, ad un intervallo di quarta eccedente o di quinta diminuita), che è tra i più dissonanti nella scala cromatica. Nel Medio Evo veniva chiamato Diabolus in Musica e non veniva mai utilizzato nelle composizioni di musica religiosa. La dissonanza del Diabolus in Musica è alla base di alcune stupefacenti “illusioni acustiche”, scoperte negli ultimi decenni, sulle quali, più che dilungarsi qui, cercheremo di dedicare uno spazio in futuro.

 


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