Nei giorni successivi al disastro di Chernobyl si procedette all’evacuazione totale di una zona di circa 4000 chilometri quadrati, per un totale di oltre centomila persone. Da allora, quell’area è chiamata “zona di esclusione” e gli insediamenti umani, tra cui la città di Pripyat a tre chilometri dalla centrale, sono disabitati.

Tuttavia, la vita ha trovato il modo di ristabilirsi e perfino prosperare all’interno della zona di esclusione. Già da una decina d’anni è evidente come le piante siano state in grado di adattarsi crescendo in modo cospicuo a Pripyat e dintorni, mentre lo stesso non poteva essere affermato con altrettanta evidenza per gli animali.   

In questi decenni, ricercatori afferenti a una collaborazione internazionale che fa capo alla Riserva Radioecologica di Polessye hanno condotto censimenti sulle popolazioni di fauna selvatica nei pressi di Chernobyl, scoprendo che l’area è stata ricolonizzata da varie specie di mammiferi.

La Riserva Radioecologica di Polyesse consiste nella parte bielorussa della zona di esclusione; al suo interno i livelli di radioattività misurati variano sensibilmente da un’area all’altra. Gli studi si concentrano prevalentemente sugli animali carnivori, in quanto trovandosi in cima alla catena alimentare sono più soggetti agli effetti nocivi delle radiazioni. Infatti, oltre ad essere esposti alla radioattività di acqua, suolo e aria, ne ricevono anche nutrendosi di altri animali potenzialmente contaminati.

Un primo resoconto era stato pubblicato lo scorso autunno sulla rivista “Current Biology”; in quel caso i censimenti erano stati condotti sorvolando la zona di esclusione con elicotteri oppure osservando i tracciati delle impronte negli anni precedenti il 2010. Si era notato che il numero di alci, cervi, cinghiali e caprioli era paragonabile a quello delle riserve naturali prive di contaminazione, mentre addirittura si stimava che la popolazione di lupi grigi fosse sette volte superiore.

Uno studio più recente, pubblicato lo scorso 18 aprile su “Frontiers in Ecology and the Environment”, ha usato un approccio più sistematico, collocando all’interno della riserva una serie di telecamere dotate di un profumo di acidi grassi per attirare i carnivori, e monitorando la situazione nell’arco di cinque settimane nell’autunno del 2014. Le telecamere, attivate dal movimento, hanno permesso di rilevare la presenza di 14 specie diverse di mammiferi, tra cui, oltre a quelli già citati, anche donnole, tassi, lepri, scoiattoli, cani procioni (una specie di canidi spesso confusa coi procioni) e volpi rosse. Sono stati osservati anche uccelli come ghiandaie, gazze e fagiani.

dida

dida

Fotografie di varie specie di carnivori osservati mentre si avvicinano alle fotocamere: lupi grigi (immagini a, d),  cane procione (b), volpe rossa (c). Immagine riprodotta da Webster et al., Front Ecol Environ 2016; 14(4): 16, doi:10.1002/fee.1227.

Le telecamere, distribuite in zone a vari livelli di radioattività e in habitat differenti, sembrano indicare che gli animali tendono a raggrupparsi nelle zone dove trovano cibo, acqua e riparo, indipendentemente da quanto sono contaminate, contraddicendo studi precedenti secondo i quali nella zona di esclusione si sarebbe assistito a un fenomeno di spopolamento generalizzato.  

Ulteriori indagini saranno condotte in futuro per determinare con più precisione la densità di questi insediamenti, soprattutto al fine di valutare l’impatto dell’esposizione cronica alle radiazioni sulla salute della fauna selvatica, e stimarne il tasso di sopravvivenza.

Se siete interessati a foto più artistiche della fauna nella zona di esclusione, potete visitare questo link: https://widerimage.reuters.com/story/Chernobyl-wilderness-regained

L’immagine di copertina è presa da qui, ma pare che non corrisponda alla realtà (per fortuna)