La lingua italiana distingue tra genere maschile e femminile, permettendo di analizzare quanti decessi per genere vengono riportate dai giornali. 

Nelle figure è  mostrato il numero di articoli in cui compare il termine “morto” (maschile singolare) e il termine “morta” (femminile singolare) nei tre quotidiani italiani più diffusi, Il Corriere della Sera (CDS), La Repubblica (REP)e la Stampa (STA) (Non possiamo utilizzare il New York Times come nel precedente post dato che la lingua inglese non distingue tra i due sessi). Si tratta dunque di decessi che coinvolgono una sola persona di sesso maschile o femminile. Purtroppo, non è possibile un’analisi analoga per il plurale sia perché l’italiano usa il maschile esteso (ossia per un gruppo contenente persone di ambo i sessi) che perché “morte” è anche il nome della mietitrice di anime (qui il link all’articolo originale su Journal of Open Data).
Dalla figura si evince come gli articoli con i “morti singolari” (numero di vittime pari a uno, K=1) siano varie migliaia per anno per quotidiano. Sono anche in numero maggiore di quelli con più di una vittima (K>1 vedremo in un prossimo post che la distribuzione delle vittime segue una legge di potenza). Ai giorni nostri il rapporto R=K1/K>1 oscilla intorno al 120-130%, mentre era vicino al 200% per il fine 800, probabilmente come risultato di una maggiore attenzione agli eventi di cronaca locale. 

La percentuale P di articoli contenenti morta rispetto al totale (K=1) fornisce un quadro piuttosto impietoso: i decessi femminili sono circa 30% del totale mentre in una situazione di completa parità ci si dovrebbe aspettare un valore di P=50%. 

Tra i fenomeni esterni che possono influenzare questo rapporto vanno citati:

1. Femminicidi. In questo caso i termini preponderanti (nel titolo o nel testo) sono “uccisa” (la donna) o “uccide” (l’assassino). Questo contribuisce a ridurre il numero di occorrenze del termine morta e andrebbe analizzato a parte. Per quanto spaventoso sia il fenomeno, questo rappresenta comunque una percentuale ridotta rispetto alle migliaia di articoli che compaiono sui quotidiani in un anno: nel 2019 (dati ISTATISTAT2) vi sono stati 204 uomini e 111 donne vittime di omicidio (di questi il 28% e l’84% rispettivamente avvengono in ambito familiare). Il numero degli articoli su giornale può crescere leggermente se si includono i femminicidi all’estero, ma questi, salvo i casi più efferati, raramente “fanno notizia” e compaiono sulle pagine dei quotidiani.

Grafico di morti maschili e femminili nei quotidiani italiani

2. Gli uomini muoiono in incidenti (talvolta dementi, e cagionati da loro stessi) con una frequenza dieci volte superiore a quella delle donne. Una statistica dell’Ufficio del Lavoro USA riporta come – a fronte di 5190 vittime sul lavoro nel 2017, il 93% è composto da uomini e il 7% da donne (le ore lavorate sono il 43% da donne e il 57% da uomini)***1. Il comportamento lemming-autolesionista***2 del sesso maschile, non è però sufficiente a giustificare i dati ottenuti: in Italia ci sono stati – nel 2007 – 1260   morti sul lavoro (dati ISTAT) e – per quanto tragiche e spesso evitabili – costituiscono solo il 20% circa degli articoli.

Questi due fenomeni non sono perciò sufficienti a giustificare il basso numero di articoli che trattano di morti femminili che è pertanto da attribuirsi alla selezione della redazione. 

In alcuni quotidiani si riscontra una crescita moderata nell’andamento di P con un incremento per REP dal 25% del 1985 al 40% nel 2019 (STA e CDS hanno un andamento costante).  

È proprio questo andamento a confortare – in assenza di cambiamenti sostanziali delle statistiche della mortalità femminile – l’ipotesi della presenza di un bias di selezione presente nelle redazioni dei giornali. La crescita di P può dunque essere interpretata come lento ma sostanziale cambiamento nella mentalità sia delle redazioni che dei lettori dei quotidiani. 

Infatti, va ricordato che la responsabilità del basso valore di R non può essere ascritta esclusivamente alle redazioni: i giornali vendono solo se c’è un interesse ed un riscontro da parte dei lettori, per cui il processo di interazione tra le due entità può essere virtuoso o deleterio a seconda del periodo storico.

Come già visto nel precedente post, vi è almeno un terzo incomodo nel rapporto tra giornali e lettori: la presenza della politica (con l’economia quarto incomodo, ma di cui non tratteremo qui).

È nuovamente al caso del ventennio fascista che ci si può indirizzare per avere un caso tipico di censura governativa: in Figura è chiaramente visibile il crollo del numero di morto e morta analogo a quello dei morti dello scorso post (i casi restanti riportano eventi avvenuti all’estero).   Qui se non altro era rispettata la par condicio tra i sessi, in quanto la soppressione dei decessi ha la stessa intensità tra entrambi i sessi.

In questo caso, un’analisi simile a quella del post precedente su questi eventi (k = 1) risulta in circa 22,000 ±1300 articoli censurati da STA (il 60% di quelli stampati nel periodo considerato) e 29,000±500 da CDS (20% di quelli stampati nel periodo considerato).

2. (continua) qui il primo post sulla censura nella storia.

  

  NOTA1 Lo stesso lavoro mostra come la causa preponderante di morti femminili sul lavoro sia dovuta a omicidio (il 24% rispetto al 9% di omicidi su uomini)  e peraltro il    40% di femminicidi sul lavoro sono dovuti a parenti o partner.

  NOTA2: I lemming non si suicidano come si pensava una volta, ma c’è una bellissima storia dei Paperi scritta da Barks al riguardo.

Per saperne di più:

https://www.bls.gov/iif/oshwc/cfoi/cfch0015.pdf

https://www.istat.it/it/archivio/253296
https://www.istat.it/it/violenza-sulle-donne/il-fenomeno/omicidi-di-donne
https://www.istat.it/it/archivio/239321  

Percentuale di morti diviso tra uomini e donne e ore di lavoro effettuate da uomini e donne. Da qui