Fare esperimenti di psicologia con adulti è complicato, ma almeno agli adulti si possono fare domande o chiedere di eseguire un compito. Con i bambini piccoli questo solitamente non è possibile. Ma allora come facciamo a studiare la mente di un neonato?

Si dice che gli occhi siano lo specchio della mente e gli psicologi dello sviluppo hanno preso questo modo di dire piuttosto alla lettera. Studiare i movimenti degli occhi ci ha permesso di scoprire cosa passa per la mente di un neonato.

Per lungo tempo lo sviluppo della cognizione nei neonati non è stato considerato in psicologia. Questa lacuna era dovuta in parte alla concezione che la mente dei neonati fosse una tabula rasa non ancora capace di complessi processi mentali, e in parte a un problema metodologico. Quando il partecipante in un esperimento di psicologia è un adulto, gli si può chiedere di rispondere a domande, o di schiacciare tasti per rispondere a compiti specifici. Ad esempio si possono presentare due stimoli simili su uno schermo e chiedere al partecipante se li riconosce come oggetti diversi o se li percepisce come uguali.

Questo, ovviamente, ai neonati non si può chiedere. 

Alla fine del secolo scorso però, un gruppo di psicologi ha rivoluzionato lo studio della cognizione infantile proponendo un nuovo metodo tanto semplice quanto innovativo: possiamo sfruttare i riflessi innati e la curiosità dei neonati per ottenere informazioni riguardo a ciò che stanno pensando. 

Un neonato incuriosito da qualcosa che succede nel suo campo visivo girerà la testa di riflesso e guarderà lo stimolo che ha attirato la sua attenzione, distogliendo poi lo sguardo quando avrà perso interesse.

Questa caratteristica ci permette di porre studiare la mente di un neonato solo cambiando il tipo di stimoli presenti nel suo campo visivo.

Ad esempio, si possono fare esperimenti di preferential looking (sguardo preferenziale). In questi esperimenti due stimoli vengono mostrati in contemporanea su uno schermo e si misura quanto tempo il neonato passa a guardare uno o l’altro. Se uno dei due stimoli viene guardato per più tempo dell’altro questo vuol dire due cose: 1. che il bambino lo trova più interessante e 2. che riconosce i due stimoli come diversi tra loro, altrimenti sarebbero entrambi ugualmente interessanti. Con questa tecnica si è scoperto, tra le altre cose, che neonati molto piccoli, già attorno ai tre mesi di vita, distinguono il volto della madre dai volti di altre donne e che i neonati sono già in grado di usare la percezione intermodale.

Quando si parla di percezione intermodale si intende la capacità di integrare informazioni provenienti da diversi sensi. Ad esempio se al tatto percepiamo una superficie ruvida siamo poi in grado di identificare con la vista quale superficie abbiamo toccato. Questa abilità è stata trovata anche nei neonati. A diversi bambini è stato dato un ciuccio a superficie liscia, o uno con delle sporgenze. Ai bambini erano poi mostrati visivamente i due ciucci in contemporanea e si è visto che guardavano per più tempo quello che gli era stato dato in precedenza, di cui avevano avuto esperienza tattile. 

Una seconda categoria di esperimenti che sfrutta lo sguardo dei neonati per studiare la mente è costituita dalle procedure di disabituazione.

In questo caso, uno stesso stimolo viene presentato ripetutamente ai neonati fino a che si abituano, perdono interesse e smettono di guardarlo. A quel punto, uno stimolo diverso, chiamato stimolo di test, viene presentato e si misura se avviene la disabituazione, cioè se il neonato torna a interessarsi. Se il neonato si disabitua, vuol dire che riconosce che il nuovo stimolo è differente o inaspettato. Inoltre a seconda delle caratteristiche dello stimolo test, si possono anche fare ipotesi su ciò che il bambino ha capito della scena o dell’oggetto presentati.

L’esempio più famoso dell’uso di questa tecnica è il test per misurare la permanenza oggettuale, cioè la capacità di rappresentare nella nostra mente il fatto che un oggetto fisico nel mondo resta simile a sé stesso e non può semplicemente svanire.

In questo esperimento ai bambini veniva mostrata una tavoletta di legno che si muoveva avanti e indietro. Nello specifico, la tavoletta veniva mossa seguendo un arco, facendo perno sul lato corto, prima verso il bambino e poi allontanandosi dal bambino. Il tipo di movimento è cruciale perché con una traiettoria di questo tipo, quando la tavoletta è all’apice dell’arco ciò che gli succede dietro è nascosto agli occhi del neonato. La figura che segue mostra una rappresentazione schematica di come si muove la tavoletta rispetto al punto di vista del bambino.

Rappresentazione schematica del movimento della tavoletta. A) Fase di abituazione. Il bambino vede la tavoletta muoversi avanti e indietro fino a che non perde interesse. B). Fase test – gruppo di controllo. Il ricercatore aggiunge un piolo di legno che impedisce alla tavoletta di compiere il movimento completo. C) Fase test – gruppo sperimentale. Il ricercatore aggiunge un piolo di legno ma la tavoletta compie comunque il movimento completo. Questo succede perché il piolo viene abbassato quando la tavoletta è all’apice, ma il bimbo, dalla sua prospettiva, non vede la rimozione del piolo.

La tavoletta veniva mossa ripetutamente, sempre seguendo la stessa traiettoria per far disinteressare il bambino. Quando l’abituazione era raggiunta, il ricercatore responsabile dell’esperimento aggiungeva un piolo di legno dietro alla tavoletta facendo in modo che il neonato notasse questa aggiunta. A questo punto il movimento della tavoletta ripartiva per la fase di test. Alcuni neonati vedevano il movimento bloccarsi contro il piolo di legno (senza vedere il piolo stesso però, nascosto dalla tavoletta), mentre altri vedevano la tavoletta finire il movimento come se il piolo non esistesse. A un adulto ciò che succede nel secondo caso sembra un trucco di magia.

I ricercatori hanno scoperto che mentre nel primo caso il neonato non si interessava nuovamente alla tavoletta di legno, nel caso del trucco di magia avveniva la disabituazione. I neonati quindi si interessavano nuovamente solo alla tavoletta che compiva il movimento completo quando non avrebbe dovuto farlo. Da questo tipo di esperimenti si può capire che i neonati hanno delle aspettative su come gli oggetti fisici dovrebbero comportarsi e che, come mostrato in questo caso specifico, hanno un rappresentazione di permanenza oggettuale così come gli adulti.

Grazie allo studio dei movimenti oculari abbiamo studiato lo sviluppo delle più svariate abilità cognitive, dalla capacità di categorizzare oggetti, passando per la percezione dei linguaggi e il senso numerico, fino al ragionamento morale.

Ovviamente però, come tutti i metodi di ricerca, anche questo ha i suoi limiti. Prendiamo ad esempio i paradigmi di preferential looking di cui abbiamo parlato più sopra. Se il risultato è positivo e il neonato guarda per tempi differenti i due stimoli possiamo concludere qualcosa riguardo alla mente, ma se il neonato guarda i due stimoli per la stessa quantità di tempo, l’interpretazione è più difficile. Succede perché il neonato non è capace di differenziare i due stimoli? O sono semplicemente entrambi molto interessanti magari perché uno è familiare mentre il secondo è nuovo?

Fortunatamente le nuove tecnologie ci vengono in aiuto. Negli ultimi anni psicologi e neuroscienziati hanno cominciato a combinare lo studio dei movimenti oculari con altre misure che permettono di studiare direttamente l’attività cerebrale come l’elettroencefalogramma e la risonanza magnetica (di cui abbiamo parlato qui). 

Unire i risultati provenienti da tutti questi diversi metodi, ognuno dei quali con i suoi punti di forza e limitazioni, sta espandendo sempre di più ciò che possiamo capire riguardo a cosa passa per la mente di un neonato.

Per saperne di più:

Baillargeon, R. (1987). Young infants’ reasoning about the physical and spatial properties of a hidden object. Cognitive Development2(3), 179-200.

Immagine di copertina: baby eyes via sirtravelalot/Shutterstock