C’era una volta, tanto tempo fa, la pellicola fotografica. Oggi le macchine fotografiche digitali l’hanno soppiantata quasi completamente, occupando il mercato dei professionisti, quello degli amatori, entrando nei telefoni cellulari e, da un po’ di tempo, in un sacco di altri device, orologi, binocoli, caschi, occhiali… James Bond ci va a nozze. Il primo parametro che ci viene presentato da chi ci vuole vendere una macchina fotografica digitale è “quanti MegaPixel ha”. Ora, magari qualcuno vorrebbe sapere quanti MegaPixel debba avere, una macchina fotografica, per fare delle belle foto. Cerchiamo di capirlo insieme.

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Un sensore per macchina fotografica digitale, foto da Wikipedia.

In una macchina fotografica, la luce che entra attraverso l’obiettivo viene convogliata sul sensore, dove si forma un’immagine di ciò che si sta inquadrando. La luce deve essere assorbita e “letta” per poter memorizzare l’immagine. Per questo, il sensore è diviso in un gran numero di elementi sensibili, i pixel. Una macchina da “sei MegaPixel” avrà un sensore formato da sei milioni di pixel, ad esempio. Di solito, i sensori delle macchine fotografiche sono rettangolari, con proporzioni 3/2 o 4/3, ovvero, il lato lungo è rispettivamente i 3/2 o i 4/3 del lato corto. Se la nostra macchina da 6 MegaPixel ha il sensore 3/2, la matrice avrà 2000 righe e 3000 colonne circa. Ciascun pixel raccoglie la luce per il tempo dell’esposizione, ma non è in grado di riconoscere i colori. La maggior parte dei sensori prevede che davanti a ciascun pixel ci sia un filtro colorato, che può essere rosso, verde o blu. Si ottengono così tre immagini a colori, che vengono ricomposte dal processore della macchine a formare l’immagine completa. Alla fine del processo, avremo quindi un’immagine che, guardata sotto la lente, sarà formata da 3000 x 2000 quadretti.

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Un ingrandimento pazzesco della foto di prima, che mostra i pixel.

Immaginiamo di voler stampare questa foto. A mezzo metro di distanza, l’occhio umano non riesce a distinguere due punti distanti meno di un decimo di millimetro: se vogliamo che i nostri quadretti rimangano troppo piccoli per essere visibili, possiamo stampare la nostra fotografia ad un formato di 20 x 30 centimetri, all’incirca le dimensioni di un comune foglio da fotocopie. Se volessimo mantenere la stessa qualità di stampa su un foglio da 40 x 60 centimetri, ad esempio, avremmo bisogno di un’immagine quattro volte più grande, ovvero da 24 MegaPixel. Per raddoppiare ancora i lati, avremmo bisogno di 100 MegaPixel! Se pensiamo ad un’immagine di un metro quadrato, però, non immaginiamo di guardarla da mezzo metro, ma da molto più lontano: per questo, i quadretti possono essere anche ben più grandi, quindi, a meno di progetti grafici particolarissimi, “poche decine” di MegaPixel bastano per fare qualunque cosa.

Ci su può chiedere, però, perché accontentarsi, in fondo, in vent’anni si è passati da macchine da meno di due MegaPixel che costavano molte migliaia di euro a telefonini con sensori da oltre 40 MegaPixel, perché ci si dovrebbe fermare? In realtà, se si guarda lo sviluppo delle macchine fotografiche, la maggior parte dei modelli, anche professionali, si è già fermata, proprio intorno a venti MegaPixel, ormai da qualche anno. Il problema è che la dimensione del sensore è fissata: per le reflex ci sono il Full Frame (circa 24 x 36 millimetri) e l’APS (circa 24 x 16 millimetri), per le compatte dei sensori danno la diagonale in pollici (ad esempio 1/1.7″, che corrisponde a 7.44 x 5.58 mm, o 1/2.3″, che corrisponde a 6.17 x 4.55 mm). Questo vuol dire che più i pixel sono numerosi, più sono piccoli. A parità di luce raccolta, se i pixel sono piccoli e numerosi, ciascuno di essi raccoglie poca luce, per cui il suo segnale deve essere amplificato di più per essere interpretato dal processore della macchina fotografica, introducendo il cosiddetto “rumore elettronico“. Inoltre, pixel più compatti possono trasferire carica da uno ai propri vicini, per un fenomeno chiamato “cross-talk“. Per questo, con pixel molto piccoli si ottengono foto meno definite, come se fossero leggermente sfocate.

Forse un giorno avremo macchine in grado di gestire sensori da centinaia di MegaPixel, ma per intanto ricordiamo che per fare una buona foto, qualunque sia il sensore che usiamo, avremo bisogno di un buon obiettivo, della giusta luce, del soggetto che ci ispira e, soprattutto, della capacità di cogliere la giusta inquadratura, una cosa che sta tutta nella testa di chi la macchina fotografica la impugna, qualunque sia la macchina in questione. D’altronde, tutti i grandi fotografi del passato, Ansel Adams, Henri Cartier-Bresson, Robert Capa, David Seymour e tanti altri hanno scattato i loro capolavori con macchine che, a noi tecnomaniaci di oggi, sembrerebbero arcaici aggeggi degni di un appassioanto di steampunk.

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Ansel Adams, “The Tetons and the Snake River” (1942, qualche decennio prima dell’introduzione delle macchine fotografiche digitali, foto da Wikipedia)