Come abbiamo visto nelle puntate precedenti (qui e qui), lo scandalo della Red Kamala ha scoperchiato il vaso di Pandora. Infatti, si è scoperto che per anni invece di un semplice derivato vegetale è stato venduto come tale una mistura contenente anche un colorante azoico rosso non meglio identificato. Nella puntata precedente eravamo rimasti dubbiosi per le analisi effettuate sul prodotto da due diversi laboratori che erano risultate discordanti, anche se in entrambe era stata rivelata la presenza di un colorante di sintesi.
Abbiamo chiesto pertanto ai chimici di Scientificast, Simone Angioni e Paolo Bianchi, cosa pensano riguardo le analisi pubblicate e ci hanno gentilmente spiegato che la determinazione di una miscela a composizione incognita è forse uno dei compiti più difficili e costosi in ambito chimico. In genere le persone sono convinte che questo sia il lavoro quotidiano del chimico, ma in realtà chi lavora in un laboratorio di chimica analitica determina la purezza di un composto con quelli che si chiamano “metodi confermativi”.
Cerchiamo di capire meglio di cosa si tratta con un esempio: immaginiamo di produrre l’aspirina, sappiamo esattamente la procedura utilizzata (i reagenti impiegati e la reazione avvenuta tra di loro) e quando la vendiamo a un’azienda esterna, le stiamo dando un campione del quale sappiamo con relativa certezza cosa c’è dentro, per cui volendo si può verificarne la purezza sapendo a priori cosa è contenuto nel campione.
Fare analisi su campioni incogniti, al contrario, richiede una grandissima esperienza e sono davvero pochi i chimici che possiedono questo tipo di competenze e spesso lavorano nei laboratori universitari, dove sono anche presenti strumenti in grado di caratterizzare qualunque campione in maniera complementare. Per questo, è positivo che l’azienda sarda si stia operando per attivare una collaborazione con un ateneo locale per la certificazione dei propri prodotti perché garantirà certezze ai consumatori se verrà avviata.
Riguardo poi nello specifico alle analisi contrastanti sulla Red Kamala realizzate dai due laboratori, i nostri chimici sottolineano alcuni aspetti importanti.
1. La spettroscopia infrarossa (IR) a Trasformata di Fourier o FT-IR, utilizzata dal laboratorio contattato da Le Erbe di Janas, è un metodo di misura economico ma grossolano e non è adatto a stimare una miscela che in principio può contenere un numero ignoto di componenti.
2. Il report del secondo laboratorio, quello contattato da Zenstore.it, parla solo di “metodiche ufficiali” e questa dicitura in realtà non ci sta dicendo nulla. Prendendo per buono quanto affermato successivamente da Zenstore.it, ovvero la tipologia di analisi effettuate, possiamo dire che la cromatografia liquida ad alte prestazioni o HPLC, per esempio, è un metodo adeguato a patto di usare degli standard. Nel report di analisi dovrebbero essere mostrati i cromatogrammi, sapere il tipo di colonna e conoscere gli standard usati per poter dare un giudizio sull’attendibilità dei risultati. D’altro canto, i coloranti si determinano solitamente usando un’altra tecnica, ossia la spettroscopia UV/Vis. Inoltre, mannite, bentonite e talco non sono rilevabili con la gascromatografia di massa o GC-MS, ossia la tecnica che Zenstore.it sostiene che il laboratorio abbia utilizzato. Tra l’altro, nel report del primo laboratorio, quello contattato dall’azienda sarda, era stata fatta una determinazione gravimetrica da ceneri, ovvero è stato bruciato tutto il materiale e si è visto quanto peso rimaneva. Il talco doveva essere visibile in quel caso, mentre con il metodo dichiarato nel post di Zenstore.it non sarebbe stato visibile.
Sentiti quindi i nostri chimici, rimane un altro dubbio: è corretto che Zenstore.it abbia rimesso in vendita il prodotto in magazzino, con una nuova etichetta? Sicuramente l’intento di essere più trasparenti nei confronti dei consumatori è apprezzabile, tuttavia non è il modo corretto di procedere: anzitutto, ammesso che le analisi siano attendibili, l’iniziativa di Zenstore.it di modificare l’etichetta è quella di un singolo rivenditore, mentre la Red Kamala incriminata è venduta anche da altri e-commerce sia italiani che europei. Inoltre, la nuova etichetta non precisa purtroppo quale sia il colorante presente visto che non è stato determinato dalle analisi effettuate. Avevamo spiegato già nella puntata precedente che si tratta anzitutto di un problema di sicurezza pubblica perché la determinazione del tipo di colorante è importante per la tutela del consumatore, che deve essere sicuro di usare prodotti che non contengano qualcosa di potenzialmente nocivo per la salute. In ogni caso, il colorante presente deve essere elencato in etichetta secondo la normativa vigente per i prodotti cosmetici*, che prevede che i coloranti siano indicati nella nomenclatura INCI usando il loro identificativo Color Index o la denominazione presente nell’allegato IV del regolamento europeo 1223/2009 e questo è possibile solo se viene determinato il tipo specifico del colorante. Inoltre, non risulta che siano stati effettuati altri test importanti per tutelare la salute dei consumatori, che invece dovrebbero diventare di routine su ogni lotto di prodotto (cariche microbiche, assenza di patogeni, metalli pesanti, lieviti, muffe, etc). Questo discorso in realtà non riguarda solo la Red Kamala su cui si è concentrato lo scandalo su Facebook, ma si può estendere a tutte le altre erbe tintorie e le materie prime importate, nel caso in cui come questo gli importatori non verificano l’attendibilità dell’etichettatura estera ma si basano solo sulle certificazioni dei produttori. E non ci si può nascondere dietro il fatto che magari nei paesi di origine delle materie prime le normative siano diverse per cui i produttori non siano obbligati a indicare alcuni additivi in etichetta. Questo perché la legislazione vigente prevede che per ogni prodotto importato sia individuato il cosiddetto “Responsabile per l’importazione”, il quale deve garantire la conformità alla Legge Europea. Ragion per cui, se un prodotto viene definito “puro” e si scopre che non lo è o vengono scoperte adulterazioni, la persona che funge da Responsabile per l’importazione è quella che è chiamata a rispondere legalmente della non conformità dell’etichettatura e del prodotto stesso, non il produttore estero. Il retroscena più surreale e forse la vera beffa di tutta la storia è che il fornitore indiano incriminato è certificato ISO e garantisce prodotti 100% sicuri, privi di contaminanti e adulteranti, dichiarandosi anche nettamente contro ogni prodotto sintetico sul proprio sito commerciale!
Un altro aspetto importante è che nessuno degli importatori e dei rivenditori della Red Kamala fucsia si era interrogato sulla possibile presenza di coloranti aggiunti, dubbio più che ragionevole dato l’aspetto, come osservato nelle puntate precedenti: questo mostra scarsa conoscenza dei prodotti venduti. Inoltre, un derivato vegetale con elevata presenza di sostanze inorganiche, 32% di talco, è di scarsa qualità, oltre al fatto che il talco è una delle materie prime di cui bisogna valutare con attenzione la qualità microbiologica. Consigliamo dunque ai consumatori di prestare attenzione a ciò che si acquista e di scegliere prodotti di marche sicure e realmente controllate.
Infine, va valutato, un altro aspetto, piuttosto inquietante dell’intera vicenda: nessuno coinvolto in tutto questo trambusto su Facebook ha contattato le autorità giudiziarie o pensa di farlo e la Red Kamala fucsia potrebbe essere entrata nel nostro paese con una certificazione non conforme alla reale composizione del prodotto, davvero questo non importa a nessuno?
La vicenda finora è rimasta circoscritta al mondo di Facebook e a qualche forum, dedicato alla cosmesi, ma riteniamo che, senza dover necessariamente fare allarmismi, sia giunto il momento di chiedere trasparenza e chiarezza alle aziende che commerciano questa tipologia di prodotti in nome di una superiorità di un approccio del ritorno alla natura, che però nella sostanza dei fatti, sembra in molti casi solo un’abile strategia di marketing.
Note: *qui stiamo ipotizzando che la Red Kamala sia stata registrata dall’importatore come un cosmetico a tutti gli effetti, ma potrebbe anche essere stato importato come prodotto erboristico, che segue norme regolatorie diverse. Su questa ambiguità segnaliamo questa discussione.
Bibliografia:
http://dctf.uniroma1.it/galenotech/fashion.htm
Immagine di copertina: Khamkhal Thanet by Shutterstock
Si ringrazia Angela Turriziani per la collaborazione nella realizzazione di questa inchiesta speciale.
Caro Simone, la ringrazio per le risposte. Di seguito alcune mie osservazioni.
1) Mi riferisco a questo articolo http://cdn.intechopen.com/pdfs/22392.pdf, pubblicato da Intech Open: un predatory publisher. Tra l’altro l’articolo non è neppure pubblicato su una rivista peer reviewed.
2) Ma infatti non ho detto che viene detto che non è adatta, ho detto che viene lasciato intendere, nel caso in cui non si avesse una reale comprensione del problema. Non abbiamo elementi per confermarlo, ma non abbiamo neppure elementi per credere che si tratti di risultati in qualche modo falsati: perché supporlo, quindi?
3) Ha assolutamente ragione su questo punto, purtroppo ho fatto confusione nella fretta. Rimane vero, però, che il talco è visibile con HPLC e può tranquillamente essere stato rilevato con questa tecnica, o sbaglio? Perché non dirlo?
4) Purtroppo dall’articolo non passa questo messaggio, anzi, laddove si mettono più volte in dubbio le parole di zenstore.it, si fa passare l’idea che questa abbia mentito: per quale motivo? Perché avrebbero dovuto farlo? Tra l’altro, non sostenendo che il prodotto è puro, ma piuttosto che è stato adulterato in maniera diversa.
5) Non mi è chiaro, sinceramente, che tipo di ricerca dovrebbe effettuare un’università in questo caso: in che modo potrebbe avviarsi un progetto di ricerca? Inoltre, mi sembra evidente che in un caso come questo l’unico scopo del committente
possa essere capire se un produttore gli sta vendendo un prodotto adeguato alla vendita o meno; un prodotto che risponda per davvero alle analisi fornite, in primis, dal produttore stesso. Mi sembra uno scopo più che sufficiente e adatto
alla commercializzazione di un prodotto con tutti i crismi del caso: da questo punto di vista l’università cosa potrebbe fare di più?
6) Va bene, ma il problema allora, ancora una volta, è l’idea che si lascia passare attraverso l’articolo. Perché piuttosto che sembrare un problema di un intero settore, e ci potrebbe anche stare se non si volessero ignorare i costi che l’operazione
che richiedete avrebbe, sembra un problema legato nello specifico a zenstore.it, che a dirla tutta, ad oggi, è fra i pochi e-commerce che ha pubblicato e sta pubblicando analisi dei prodotti commercializzati: altri hanno semplicemente continuato a vendere i medesimi prodotti, non ponendosi minimamente il problema; o anche altri prodotti, ma sempre senza presentare
alcuna analisi degli stessi.
Caro Wittrue,
diamoci pure del tu, il “lei” sul web mi è sempre sembrato un po’ forzato.
Personalmente non ho alcun problema a discutere su tutti gli aspetti tecnici riportati nell’articolo però dobbiamo cercare di essere corretti perchè alla fine le prime critiche si sono rivelate infondate e adesso siamo passati al “sì è vero, però comunque…”.
1- Tu hai detto che l’articolo predatory era quello sugli effetti negativi dei coloranti azoici sull’uomo e questo è falso. L’articolo si riferiva al dettaglio del potere colorante, dato ben noto in letteratura su numerosissime fonti che però spesso non sono accessibili al pubblico. Per correttezza abbiamo cambiato il link con una fonte più autorevole, ma che purtroppo non è liberamente consultabile.
2- Anche qui stai giocando con i termini. Noi non lasciamo assolutamente intendere che non sia adatta. Ti riporto la frase esatta: “possiamo dire che la cromatografia liquida ad alte prestazioni o HPLC, per esempio, è un metodo adeguato a patto di usare degli standard.”. Mi sembra piuttosto chiaro. E’ altrettanto vero che la dicitura “metodiche ufficiali” non mi permette di commentare oltre. Nell’articolo non si suppone nulla, si dice che non abbiamo dettagli su come è stata applicata quella tecnica e che nei risultati ci sono delle incongruenze come quelle evidenziate nel punto 3.
3- Perdonami, ma se si è precisi lo si deve essere sempre. Tutti noi dobbiamo basarci su ciò che ha dichiarato la ditta a cui Zenstore si è rivolta. Supporre che il talco sia stato determinato per HPCL, ma si siano confusi e abbiano dichiarato per GC, mi sembra un po’ forzato. In ogni caso, no, nemmeno in HPLC si vede il talco. HPLC sta per cromatografia liquida ad alta pressione e prevede che i composti siano liquidi nel solvente usato. Anche qui entra in gioco la correttezza. Io non mi permetterei mai di ipotizzare perchè si dica che il talco è stato determinato per GC. Non ho parlato con nessuno della ditta di analisi, non ho un dettaglio delle metodiche e non è il mio lavoro inventare spiegazioni a difesa di una o dell’altra parte. Io rilevo che c’è un’incongruenza, non spetta a me fare ipotesi per risolverla perchè potrei dire delle grosse cavolate.
4- Questo punto deve essere chiarito molto bene. Leggendo l’articolo io ho capito che del colorante è stato fornito, dal produttore, con delle analisi non coerenti. Mi pare abbastanza chiaro che Zenstore, Janas o chiunque altro si sia trovato con un prodotto non corrispondente alle aspettative sia vittima tanto quanto il cliente. Non mi pare che in nessuna parte dell’articolo venga ipotizzata la malafede da parte di queste aziende che, sono sicuro, hanno tutto l’interesse a fornire un ottimo prodotto al cliente. Se così non fosse non si sarebbero nemmeno messe a fare le analisi per controllo. Non c’è nessuna intenzione da parte nostra di mettere in dubbio la buonafede di Zenstore o di qualunque altro venditore.
5- Beh fino ad ora le analisi svolte non hanno chiuso la questione. Cosa c’è davvero dentro a questi campioni? Una ricerca universitaria può definire un protocollo universale al quale fornitori e produttori possono rifarsi per determinare la purezza del prodotto. Non mi sembra un aspetto secondario anche a tutela delle stesse aziende che, come dicevo nel commento precedente, non sono tenute ad avere un chimico professionista esperto in analisi di composti incogniti che possa determinare un protocollo di controllo su ogni prodotto che viene trattato.
6- Wittrue, noi non facciamo pubblicità a Zenstore, come non la facciamo ad altre aziende. Sono contento che Zenstore abbia preso dei provvedimenti. Onestamente non seguo Zenstore, quindi mi baso su ciò che dici tu. Pubblicare le analisi non basta perchè, come dimostrato qui sopra, le analisi bisogna saperle leggere. Il cliente medio è probabile che non abbia alcuna idea di cosa significhino quei numeri e dei dettagli sulla tecnica usata. Non è che voglia entrare nel merito, ma le analisi dovrebbero servire di più ad un chimico interno all’azienda per sapere cosa scrivere sull’etichetta, piuttosto che al cliente finale. I costi per verificare se il produttore dichiara il vero non devono cadere sull’azienda, ma dovrebbe essere lo Stato a tutelare i clienti (aziende comprese) dall’arrivo nel nostro paese di prodotti adulterati, contaminati o semplicemente non corrispondenti al foglio di accompagnamento. Si fa così anche per il cibo.
Salve,
a seguito della segnalazione precedente avevo rivisto con attenzione tutti i link presenti nella seconda puntata. A scanso di equivoci e dubbi, avevo già provveduto a cambiare uno dei link – quello relativo sul potere colorante di alcuni coloranti azoici a concentrazioni molto basse di cui fa menzione in questo nuovo commento – con quello a un libro di un editore sicuramente più blasonato, sfortunatamente però non open source. Ci tengo a precisare che l’informazione riportata nel testo era di per sé comunque corretta e che è possibile reperire molteplici fonti in proposito.
Cordialità.