La vita sulla terra è nata in acqua. Poi, circa mezzo miliardo di anni fa, i primi organismi hanno iniziato a esplorare e colonizzare le terre emerse che offrivano nuovi spazi, meno predatori e, col tempo, abbondante ossigeno e nutrienti. Il legame indissolubile che i viventi avevano con l’acqua, però, è rimasto, e per poter sopravvivere in questo nuovo ambiente le piante e gli animali hanno dovuto sviluppare adattamenti anatomici, fisiologici e comportamentali per ottenere, gestire e risparmiare l’acqua.
Il corpo delle piante, così come il nostro, è composto per la maggior parte di acqua, in percentuali che variano tra il 65 e il 98%. Alcune possono tollerare piccole perdite per brevi periodi, ma come sanno tutti quelli che tornano dalle vacanze estive e trovano un cimitero rinsecchito al posto delle proprie piante sul davanzale, grandi perdite d’acqua portano velocemente alla morte. Esiste però un gruppo di piante che meglio di tutte le altre hanno imparato a sopravvivere in ambienti aridi. Vengono quasi tutte dall’Africa meridionale e a prima vista sembrano… morte. Possono resistere in questo stato anche per anni, ma non appena vengono bagnate dimostrano la straordinaria capacità di rinvigorirsi, tornare verdi e addirittura fiorire nell’arco di poche ore o giorni. Per questo si sono meritate il nome di “piante della resurrezione”, e potrebbero rappresentare una risorsa per il futuro dell’agricoltura.

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Selaginella lepidophylla

 

I cereali come il grano, il mais e il riso, che sono alla base della nostra dieta, sono piante annuali che richiedono una stagione umida per crescere e fruttificare. Considerando che la popolazione mondiale è in costante aumento e che le aree umide coltivabili si stanno invece riducendo a causa dei cambiamenti climatici in corso, ci si rende immediatamente conto che la ricerca di varietà agricole in grado di tollerare la siccità è una strada che dobbiamo percorrere per garantire la sicurezza alimentare a tutta l’umanità.

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Ma come fanno le piante della resurrezione a tornare alla vita? Nel loro stato di morte apparente queste piante riducono al minimo il loro metabolismo e si assicurano che le strutture cellulari non vengano degradate dalla mancanza d’acqua, dalla perdita di volume e dalla presenza di sostanze ossidanti che vengono tipicamente prodotte nei periodi di stress idrico. Tutto ciò richiede l’azione combinata di meccanismi genetici, fisiologici e strutturali che stiamo da poco iniziando a comprendere.
Ciascuna cellula si rimpicciolisce e le pareti devono diventare più elastiche per stare al passo con il cambiamento di volume. Gli apparati fotosintetici vanno smantellati perché inutilizzabili, ma i materiali da costruzione vanno conservati perché il tutto possa essere rapidamente ricostruito non appena l’acqua sarà di nuovo disponibile. I radicali liberi vanno neutralizzati con molecole ed enzimi antiossidanti prodotti per l’occasione, e il metabolismo dei carboidrati va dirottato verso la produzione di zuccheri come il saccarosio e il trealosio. Questi, insieme a proteine chiamate LEA, hanno la funzione di proteggere e mantenere la forma di tutte le strutture cellulari, dal DNA agli organelli, con un ruolo che sta tra quello di un impalcatura e quello della carta da imballaggio a bolle.

Molti dei geni che controllano questi processi sono stati identificati e si è scoperto che non sono solo comuni tra le piante della resurrezione, ma si ritrovano anche in tutte le altre piante superiori. C’è, infatti, almeno uno stadio vitale di ciascuna pianta che è appositamente disegnato per entrare in uno stato di dormienza, disidratarsi e attendere il momento buono per tornare in attività: il seme. Ogni pianta possiede, quindi, tutta la predisposizione genetica necessaria ad affrontare la disidratazione, ma questi meccanismi vengono normalmente attivati solo nella fase embrionale della pianta e non nella sua fase adulta, per esempio nelle foglie.
La speranza dei ricercatori è di fare in modo che i “geni della resurrezione” si attivino in risposta alla disidratazione in tutte le parti della pianta, così da ottenere varietà agricole resistenti alla siccità che garantiscano una fonte di cibo sicura in quelle zone del mondo dove, fino ad oggi, un’annata di piogge scarse può avere effetti devastanti a livello economico e sociale.

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 Xerophyta humilis


Fonti:
– TED talk: Jill Farrant, Ginevra, 2015
– Moore, J., Le, N., Brandt, W., Driouich, A., & Farrant, J. (2009) Towards a systems-based understanding of plant desiccation tolerance. Trends in Plant Science, 14(2), 110-117.
Resurrection Plants – How do these plants “Come back to life” after near total dehydration? (2010) How Plants Work blog
– Video: Could ‘resurrection plants’ be the future of food? (2015) BBC

Immagini:
– Copertina Myrothamnus flabellifolia CC BY-SA 3.0
http://www.kyffhauser.co.za/index.htm
http://www.southernafricanplants.net/index.php