Gli assioni sono tra le particelle ipotetiche più controverse della fisica: da una parte, aiuterebbero a risolvere un sacco di problemi, dall’altra, nessuno sa se esistano davvero.

Dopo il neutrino, ipotizzato nel 1930 e osservato nel 1956, e il bosone di Higgs, teorizzato nel 1964 e osservato nel 2013, potrebbe essere giunto il momento dell’uscita del terzo grande ritardatario della fisica delle particelle, l’assione. A differenza degli altri due casi, però, non si tratta di un esperimento con reattori nucleari o acceleratori, ma di un’osservazione astrofisica. Poche settimane fa è stato pubblicato uno studio sulla prestigiosa rivista Physical Review Letters che descrive l’anomala emissione di raggi X ad alta energia da parte di un gruppo di stelle di neutroni, emissione che potrebbe appunto essere legata a queste misteriose particelle.

Per capire questo curioso legame, e la potenziale importanza degli assioni, occorre fare un passo indietro a ricostruire il motivo per cui qualcuno abbia ipotizzato la loro esistenza. La ragione è per certi versi analoga a quella che ha portato alla definizione del meccanismo di Higgs: tutta la fisica delle particelle è governata da un’equazione composta da parecchi termini, che chiamiamo Modello Standard. Da questa equazione discendono i comportamenti delle particelle quando si propagano senza interagire, le proprietà delle loro interazioni e anche una serie di parametri, come per esempio le loro masse, o le minime differenze tra materia e antimateria che hanno fatto sì che l’Universo esista e non sia completamente vuoto. Il problema è che tutto quello che il modello prevede deve anche essere osservato. Quello che chiamiamo “principio zero della fisica” dice infatti che ogni cosa non esplicitamente proibita dalla teoria deve prima o poi accadere.

Tra le previsioni del Modello Standard c’è la violazione di CP nelle interazioni forti. CP è la trasformazione che inverte gli assi spaziali e insieme scambia le particelle con le antiparticelle: abbiamo osservato questa violazione, ovvero un comportamento diverso tra un sistema e quello ottenuto applicando la trasformazione CP, nel mondo delle interazioni deboli, ma mai nelle interazioni forti. In particolare, una delle conseguenze della violazione di CP nelle interazioni forti sarebbe un momento di dipolo elettrico nel neutrone diverso da zero. Questo fatto, essendo il neutrone composto di quark in parte con carica positiva e in parte con carica negativa, nemmeno ci stupirebbe molto: finora, però, sappiamo che quel numero è almeno mille miliardi di volte più piccolo di quello che la teoria prevede. In realtà, quel valore dipende da un parametro ignoto, che possiamo pensare come un angolo: potrebbe avere un valore qualunque tra 0 e 360 gradi, ma osserviamo che dev’essere compreso tra 0 e 0.00000000001, o qualcosa del genere. Questa coincidenza è molto difficile da accettare, non è impossibile, ma è davvero estremamente improbabile. Per il principio zero, dobbiamo cercare “qualcosa” che renda impossibile la violazione di CP nelle interazioni forti.

L’idea su come implementare questa “proibizione” venne a Roberto Peccei ed Hellen Quinn nel 1977: in analogia al meccanismo di Higgs, era possibile sostituire quell’angolo con una funzione. Una funzione nel modello rappresenta una particella, quindi, sotto opportune condizioni, è possibile far sì che di quelle particelle non ce ne siano e magicamente è come se l’angolo fosse esattamente 0: niente violazione di CP nell’interazione forte e siamo tutti contenti. O quasi. Una funzione quindi indica una particella, e per far sì che il meccanismo funzioni, dev’essere una particella dotata di massa e che interagisce almeno un po’ con le altre. Questa particella è stata battezzata da Frank Wilczek nel 1978 assione, in onore di un detersivo americano del tempo, perché avrebbe potuto “lavar via” un problema spinoso della fisica. Quindi dovremmo poterla osservare, ma finora non siamo stati in grado di identificarla in nessun modo.

La teoria ci dice anche dove andare a cercare, in realtà. Dovrebbe essere una particella relativamente leggera, senza carica elettrica ma in grado di interagire con i campi elettromagnetici: in particolare, dovrebbe essere possibile osservare la conversione di un fotone in un assione, o il processo inverso, in presenza di un campo magnetico perpendicolare alla direzione di propagazione del fotone stesso. Qui entrano in campo le nostre stelle di neutroni.

All’interno della stella di neutroni possono formarsi grandi quantità di assioni, grazie al loro accoppiamento con la materia nucleare. Nel loro moto di allontanamento, poi,  attraverserebbero l’intenso campo magnetico prodotto dalla stella stessa e lì potrebbero convertirsi in fotoni. In particolare, le stelle considerate nell’articolo già citato sono isolate nel cielo, quindi non ci dovrebbero essere sorgenti di radiazione elettromagnetica sulla stessa linea visuale a confonderci le idee, e non dovrebbero emettere fotoni di energia superiore ai 100 elettronVolt (eV) dalla loro superficie. Si è osservato invece un leggero eccesso di fotoni di energia compresa tra i 2 e gli 8 keV, di spiegazione estremamente difficile, a meno di tirare in ballo gli assioni. Negli ultimi 10 anni almeno, gli esperimenti che hanno cercato queste elusive particelle hanno dato risultati contrastanti e poco significativi: a meno di trovare un’altra spiegazione plausibile per questo eccesso di raggi X delle stelle di neutroni, potremmo essere davanti a un segnale molto forte della loro esistenza, il più forte osservato finora.

L’articolo è stato pubblicato a gennaio 2021 su PRL, che è una rivista molto quotata, nella fisica delle particelle: inoltre, l’articolo ha avuto una revisione particolarmente lunga, il primo invio da parte degli autori risale addirittura a ottobre 2019, cosa che ci fa pensare a una grande cautela prima dell’accettazione. Infine, tra gli autori ci sono ricercatori di alcune delle università più prestigiose degli Stati Uniti, come Princeton o l’Università della California a Berkeley, tutti segnali che questo possa davvero essere un risultato di cui sentiremo parlare in futuro.