Un terzo del cibo prodotto al mondo, circa 1.3 miliardi di tonnellate l’anno, va perso nel trasporto e nella lavorazione o buttato. È quanto emerge dai dati della FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura. Lo spreco alimentare ha conseguenze negative in ambito sociale, economico e ambientale. Di quest’ultimo aspetto si è occupato il rapporto Food Wastage Footprint: Impacts on Natural Resources del 2013. Buttare via il cibo equivale, infatti, a sprecare le risorse usate per produrlo e trasportarlo, per non parlare dei conseguenti gas serra emessi inutilmente (circa 3.3 miliardi di tonnellate, maggiore della produzione di qualunque Paese eccetto Cina e USA). Il rapporto stima che l’acqua sprecata, per esempio, sia comparabile al flusso medio annuo di un fiume della grandezza del Volga.

 

Questi temi sono stati al centro di un incontro svoltosi al Demofield presso il Parco Tecnologico Padano di Lodi. Scopo dell’evento era sensibilizzare i partecipanti ai temi della disparità di alimentazione che vige tra paesi ricchi e poveri e a un consumo alimentare sostenibile. Durante l’evento, coordinato da Avishai Mor di “Forest Innovations”, a ogni partecipante sono state assegnate in modo casuale un’identità e una nazionalità diversa. Una piccola parte dei partecipanti si è visto assegnare la provenienza da un paese sviluppato, ha potuto quindi sedersi a una tavola imbandita e mangiare le abbondanti portate del pranzo, gli altri, provenienti da paesi in via di sviluppo, si sono trovati a dividere due piatti di riso. Quest’esperienza di forte impatto dà un’idea di quale sia il divario tra il “nord” e il “sud” del mondo. Basti pensare che anche se solo circa un sesto della popolazione fa parte dei paesi ricchi, questi sprecano cibo quanto il resto della popolazione mondiale.

(fonte Flickr)

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È evidente come la lotta allo spreco alimentare, per essere efficace, debba smuovere le grandi organizzazioni e la politica dei vari paesi. Alcuni paesi hanno già adottato misure in proposito come la Francia in cui, per legge, i supermercati e i grossisti non possono buttare cibo ancora consumabile ma devono donarlo ai più poveri oppure il programma americano che prevede di donare il cibo in eccesso nelle mense scolastiche. Ma anche i singoli cittadini nel loro piccolo possono dare un contributo, sperando che un piccolo gesto, moltiplicato per un gran numero di individui, possa dare effetti importanti. A questo scopo l’UE ha stilato 10 punti per ridurre gli sprechi (link) e non mancano le iniziative di singoli volte a combattere il problema. Luca Masseretti ha avviato una startup che si propone di ridurre gli sprechi di quei prodotti che non rispettano gli standard estetici o che sono troppo vicini alla data di scadenza per essere messi in commercio: “My foody. Essa permette di mettere in contatto i punti vendita di questi prodotti con possibili acquirenti al dettaglio interessati all’acquisto a prezzo inferiore.

Combattere lo spreco di cibo sta diventando un imperativo nella società odierna. È compito di ogni anello della catena che va dal produttore al consumatore, passando dai trasportatori alle grandi e piccole aziende di distribuzione, farsi carico dell’impegno di eliminare questa stupida abitudine.

 

Video FAO: https://www.youtube.com/watch?v=IoCVrkcaH6Q

Immagine di copertina da Wikimedia Commons