È stata annunciata in questi giorni la scoperta, risalente allo scorso 14 giugno, di una supernova dal nome e dalle caratteristiche particolari: si chiama ASAS-SN-15lh e ha stabilito il record come supernova più luminosa mai individuata. Il nome non sta a suggerire potenziali attitudini killer dell’oggetto, ma deriva dall’acronimo All Sky Automated Survey for Supernovae, un progetto che ricerca esplosioni di supernova e altri fenomeni transitori su tutto il cielo, condotto da un team internazionale di scienziati coordinato dalla Ohio State University.

A sinistra, abbiamo l’immagine in falsi colori della galassia ospite prima dell’esplosione di ASAS-SN-15lh. A destra, vediamo la supernova ripresa dal telescopio di Las Cumbres. La luminosità della supernova sovrasta quella degli oggetti circostanti; la luce blu indica l’alta temperatura dell’esplosione. (Credits: The Dark Energy Survey, G. Masi and il team di ASAS-SN).

A sinistra, abbiamo l’immagine in falsi colori della galassia ospite prima dell’esplosione di ASAS-SN-15lh. A destra, vediamo la supernova ripresa dal telescopio di Las Cumbres. La luminosità della supernova sovrasta quella degli oggetti circostanti; la luce blu indica l’alta temperatura dell’esplosione. (Credits: The Dark Energy Survey, G. Masi and il team di ASAS-SN).


Questa supernova sta mettendo in crisi gli astrofisici. La stella morente ha brillato brevemente con una luminosità circa 20 volte superiore a quella di tutta la Via Lattea, circa 200 volte quella di una tipica supernova, e più del doppio rispetto al precedente record. Secondo Gianluca Masi, membro italiano del team, se questa stella fosse posta alla stessa distanza di Sirio illuminerebbe il nostro cielo con la stessa intensità del Sole. Esplosioni stellari di questo tipo vengono spesso indicate dagli astrofisici come supernovae superluminose o ipernovae, ma per questo specifico evento non si riescono a trovare modelli del tutto soddisfacenti.

Curve di luce di varie supernovae a confronto in scala logaritmica; in cima ASAS-SN-15lh. (Credits: il team di ASAS-SN)

Curve di luce di varie supernovae a confronto in scala logaritmica; in cima ASAS-SN-15lh. (Credits: il team di ASAS-SN)

Il nome supernova ha origine antica. Ogni tanto, agli antichi astronomi sembrava di aver osservato una nuova stella, e la chiamavano appunto “nova”; se però era particolarmente intensa, la chiamavano “supernova”. Oggi sappiamo che, mentre le novae sono stelle pulsanti che cambiano luminosità in modo periodico, le supernovae sono esplosioni stellari catastrofiche. La classificazione storica prevede due tipi principali, le supernovae Ia e II.

Si ritiene che le supernovae Ia si verifichino quando le stelle di un sistema binario (che orbitano l’una intorno all’altra) terminano il loro ciclo vitale come nane bianche, stelle molto compatte dove la materia non obbedisce alle normali leggi della fisica (si dice che è “degenere”). Le due stelle perdono energia meccanica a causa dell’emissione di onde gravitazionali e cominciano lentamente a spiraleggiare finché non “cascano” l’una sull’altra. In questo modo, la loro massa totale supera un limite (detto massa di Chandrasekhar e uguale a circa 1,44 volte la massa del Sole) oltre al quale la materia di cui sono fatte diventa instabile; si innesca un processo di reazioni nucleari a catena che porta rapidamente ad un’esplosione. Le due stelle vengono completamente distrutte, senza lasciare resti. La luminosità di questo tipo di esplosioni segue una curva piuttosto precisa e per questo motivo, una volta misurata la loro luminosità apparente, è possibile risalire alla loro distanza.

Le supernovae II invece si verificano quando una stella di massa superiore a circa 10 volte quella del Sole, al termine di una serie di reazioni termonucleari, si trova con un nucleo di ferro. Non esistono reazioni nucleari energeticamente vantaggiose che trasformino il ferro in altri elementi, e il nucleo continua ad ingrandirsi accumulando ulteriore ferro fino a quando la pressione al suo interno supera un valore critico. Si ha allora un collasso catastrofico, durante il quale il nucleo si riscalda producendo energia sufficiente a disintegrare il ferro. Nelle fasi successive del collasso, gli elettroni vengono catturati dai protoni, formando neutroni e neutrini; i primi restano nel nucleo andando a costituire una stella di neutroni, mentre i secondi interagiscono solo debolmente con la materia e riescono a fuggire via. Quando i neutroni raggiungono densità paragonabili a circa 100 miliardi di kg per centimetro cubo (come quelle di un nucleo atomico) il collasso si arresta, e la materia stellare in caduta verso il centro “rimbalza” sul nucleo non più comprimibile provocando un’onda d’urto che fa espandere la stella. Allo stesso tempo, si pensa che una piccola frazione dell’enorme quantità di neutrini emessi dal nucleo interagisca con il guscio di materia addensatasi per l’onda d’urto, portando così l’esplosione a compimento. Come residuo di questa esplosione possiamo avere una stella di neutroni o un buco nero, a seconda della massa che aveva la stella prima di esplodere. La luminosità che emettono le supernovae II è più variabile e in genere minore rispetto a quella delle supernovae Ia.

Per le ipernovae, sono stati suggeriti diversi modelli, che sono difficili da confermare o smentire in parte per la loro complessità e in parte perché si tratta di eventi relativamente rari. Si pensa che siano in parte collegate ai cosiddetti “Gamma-ray bursts”, brevi lampi di raggi gamma così energetici da poter essere osservati fino ai confini dell’Universo conosciuto. Alcuni dei modelli per le ipernovae ipotizzano che queste alte luminosità siano dovute a getti di particelle a velocità supersoniche che si formano quando la materia stellare accresce su un buco nero centrale; secondo altri modelli invece al centro si trova una stella di neutroni che ruota con rapidità tale da creare intensissimi campi magnetici, i quali a loro volta riscaldano la materia stellare esplosa fino a generare le energie (e quindi le luminosità) osservate. Questa configurazione è nota col nome di magnetar. In teoria, è possibile che esistano diversi tipi di ipernova, ciascuno descritto da un modello diverso.

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Rappresentazione artistica di un magnetar. Fonte Wikimedia Commons

Ma anche se ASAS-SN-15lh sembra in prima battuta corrispondere abbastanza bene al modello di magnetar, l’intensità luminosa osservata resta comunque troppo alta.  Per capirne di più, sarà necessario ripensare gli attuali modelli e sperare di osservare eventi simili in futuro, che ci diano ulteriori indizi sui meccanismi alla base di questi fenomeni così estremi.