Come facciamo a sentire suoni, trovarne la posizione e capirne il significato? In altre parole, come funziona il nostro udito?

È difficile, se non impossibile, pensare a un momento della giornata in cui non sentiamo nessun suono, nessun rumore. Anche se non prestiamo attenzione, i suoni ci accompagnano sempre, perfino mentre dormiamo. Come facciamo a dare un senso a questo costante e complesso fiume di informazioni che arriva sul nostro orecchio?

Ci riesce il nostro udito, grazie a una serie di passaggi.

Innanzitutto, l’orecchio esterno, la cui parte più evidente è il padiglione auricolare, convoglia in suono all’interno dell’orecchio. La sua particolare forma svolge due funzioni molto importanti. Per prima cosa aumenta di 30-100 volte la pressione del suono con frequenze attorno ai 3 kHZ, banda di frequenze che gioca un ruolo importante nella distinzione dei fonemi del linguaggio parlato. Inoltre le creste presenti sul padiglione auricolare ci permettono di riconoscere l’altezza di provenienza di un suono. Se un suono arriva da una fonte sonora elevata verrà trasmesso all’orecchio interno con più componenti di alte frequenze rispetto a un suono proveniente da una sorgente posta al livello dell’orecchio.

Come seconda funziona importante, dopo aver incanalato il suono all’interno del cranio, le strutture dell’orecchio medio fanno in modo che la pressione sonora aumenti di 200 volte. Questo ulteriore aumento di pressione è necessario perché la parte più interna dell’orecchio, dove il suono viene analizzato, è un ambiente liquido. Passando dall’aria al liquido, la maggior parte dell’onda sonora viene riflessa a causa della maggiore densità del mezzo. Perciò, senza questo aumento di pressione, l’onda sonora non avrebbe abbastanza energia e noi non riusciremmo a sentire i suoni in modo preciso: sentiremmo, al contrario, suoni ovattati e poco limpidi, un po’ come quando siamo sott’acqua.

L’orecchio incrementa la pressione grazie a due azioni successive. Inizialmente il suono giunge dalla membrana esterna, chiamata timpano, a quella più interna, chiamata finestra ovale, grazie a tre ossa, chiamate martello, incudine e staffa, posizionate in modo da essere un sistema di leve. Inoltre, la finestra ovale è molto più piccola del timpano e l’energia sonora viene quindi concentrata su una superficie minore. Come conseguenza, l’onda sonora così potenziata è pronta per essere analizzata dalla coclea nell’orecchio interno.

Rappresentazione dell’anatomia dell’orecchio. Le diverse sezioni da sinistra a destra mostrano l’orecchio esterno, medio e interno.

La coclea è una struttura a spirale lunga circa 35mm. All’interno della coclea, piena di liquido, ci sono due membrane chiamate membrana basilare e membrana tettoria. Sulla membrana basilare ci sono delle cellule, chiamate cellule ciliate, che assomigliano a… (non indovinerete mai!) delle ciglia! Qual è il compito di queste cellule?

Le cellule ciliate sono i recettori dell’udito. Raccolgono l’informazione sonora rilevante e la traducono in un linguaggio di comunicazione comprensibile al cervello, quindi in segnali elettrici. Questo processo in gergo tecnico viene chiamato trasduzione del segnale.

Quando arriva l’onda sonora, la membrana basilare slitta contro la membrana tettoria, la quale piega le cellule ciliate. A causa di questo piegamento, alcuni canali nelle membrane delle cellule ciliate vengono aperti: di conseguenza, ioni carichi positivamente entrano nei recettori causando una scarica elettrica che viene percepita dal nervo acustico. In questo modo le informazioni sonore vengono passate al cervello.

La funzione della coclea, però, non si limita a questo. Oltre a tradurre l’onda sonora in modo che sia comprensibile al cervello, infatti, la coclea partecipa all’udito separando le onde sonore complesse in singole frequenze, organizzando l’informazione in modo tonotopico, cioè rappresenta frequenze simili in posizioni vicine dello spazio. La membrana basilare ottiene la tonotopia grazie alla sua forma. Lo spessore e la flessibilità di questa struttura anatomica infatti variano in modo continuo da un’estremità all’altra. Più sottile e rigida vicino alla finestra ovale, e più spessa a flessibile all’altra estremità. In questo modo, diversi punti della membrana basilare hanno diverse sensibilità e vibrano in risposta a diverse frequenze sonore: l’estremità più sottile risponde a frequenze più alte, mentre l’estremità più spessa a frequenze più basse.

Successivamente il nervo acustico trasporta il suono così organizzato a due aree del cervello: una dedicata ad analizzare la provenienza spaziale del suono, l’altra a estrarne il significato. La prima funzione è svolta da una struttura chiamata oliva inferiore, mentre la seconda dalla corteccia uditiva.

Posizione della corteccia uditiva nel cervello e rappresentazione della via uditiva che dall’orecchio porta alla corteccia uditiva primaria.

L’oliva inferiore usa indizi binaurali, cioè provenienti da entrambe le orecchie, per capire la posizione della fonte del suono. In particolare estrae indizi temporali, poiché un suono impiega più tempo ad arrivare all’orecchio che si trova dalla parte opposta rispetto alla fonte, e di frequenza, poiché le alte frequenze vengono parzialmente bloccate dalla testa e quindi risultano meno intense all’orecchio controlaterale.

All’interno della corteccia acustica ritroviamo l’organizzazione tonotopica, che in questo caso è un punto di partenza per ricostruire i suoni ed estrarre significati. La tonotopia, però, per quanto sembri ordinata ed efficiente, fa sorgere un dilemma. Se due persone ci parlano nello stesso momento il suono delle loro voci viene scomposto nelle componenti semplici dell’onda sonora e l’organizzazione tonotopica non tiene conto della posizione della fonte sonora. Ma allora come possiamo essere in grado di assegnare le giuste frequenze alla giusta persona in modo da separare le due onde sonore e distinguere chi ha detto cosa?

Questo è un problema ancora aperto, ma sembra che varie caratteristiche della corteccia acustica siano coinvolte. Per esempio, l’elaborazione del segnale che avviene in questa area del cervello ci rende particolarmente sensibile ai toni e questo ci permette di distinguere due onde sonore con un tono diverso tra loro. Inoltre, alcuni neuroni sono sensibili a combinazioni di suoni rilevanti per la specie, come le sillabe composte da due o più fonemi per l’uomo o gli echi per i pipistrelli. In ultimo, suoni significativi come il linguaggio hanno spesso una struttura temporale particolarmente ordinata e alcune ricerche hanno mostrato che la corteccia uditiva gioca un ruolo fondamentale nella nostra capacità di percepire queste differenze nella struttura temporale dei suoni.

Fortunatamente questi passaggi del senso dell’udito sono automatici ed avvengono a livello inconscio, liberandoci della necessità di gestire processi molto complicati. Se così non fosse, chi ascolterebbe più nulla?  

 

Per approfondire

Il sistema uditivo. A cura di Purves, D., Augustine G.J., Fitzpatrick, D., Hall, W.C., LaMantia, A.-S., McNamara, J.O., White, L.E. (2009). Neuroscienze (pag. 280-308). Zanichelli. Bologna.

Suga, N., O’Neill, W. E., & Manabe, T. (1978). Cortical neurons sensitive to combinations of information-bearing elements of biosonar signals in the mustache bat. Science, 200(4343), 778-781.

https://www.scientificast.it/vedere-con-ludito-il-segreto-di-daredevil/

 

Immagine di copertina: udito stock photo from Africa Studio/Shutterstock

Immagine dell’anatomia dell’orecchio: coclea anatomia orecchio stock photo from Alila Medical Media/Shutterstock

Immagine della corteccia uditiva: corteccia uditiva stock photo from Alila Medical Media/Shutterstock