Il reattore sepolto di Chernobyl’ ricomincia a bruciare? Non proprio. Ovvero sì, “brucia” (in senso nucleare) ma non “ricomincia”.

All’interno di quello che una volta era l’alloggiamento del Reattore 4 di Chernobyl’ si trovano, tra una discreta accozzaglia di detriti, i resti fusi del reattore vero e proprio. Questi resti sono composti da un miscuglio, formatosi in condizioni estreme, di combustibile nucleare (uranio), prodotti di fissione, zirconio proveniente dal rivestimento delle barre di combustibile, il minerale serpentinite dallo scudo biologico esterno, eccetera. Parte del miscuglio (detto corium) è colato negli alloggiamenti inferiori a formare un estruso chiamato “piede d’elefante”. A questo nuovo composto tecnogenico è stato dato il nome di chernobylite.

Nel corso degli anni, il vecchio sarcofago, costruito subito dopo l’incidente (in fretta e furia in condizioni non proprio ottimali), aveva dato vari segni di cedimento; in particolare si erano formate aperture dalle quali filtrava acqua. L’acqua ha la proprietà di rallentare i neutroni fino alla velocità “giusta” per ottimizzare la reazione di fissione: così, in alcuni punti, si formavano delle reazioni a catena locali, favorite appunto dalle infiltrazioni d’acqua. 

Si pensava che col nuovo sarcofago, inaugurato nel 2016 e destinato a durare cent’anni, questo aspetto si sarebbe risolto del tutto, ma non è così. In alcune zone del corium si registra un aumento del flusso di neutroni, indice di una fissione in corso. Aumento molto lento, va detto: si parla di un raddoppio in quattro anni, e non stiamo parlando di flussi esplosivi.

 

L’arco di Chernobyl, la struttura di contenimento che racchiude il reattore distrutto e il vecchio sarcofago, visto da Prip’jat’. Foto di Manuel Guastella / Nuk Agency

La questione è preoccupante? Da un certo punto di vista sì: è molto difficile avere un’idea precisa di cosa esattamente stia succedendo e come mai, in parte perché ci sono ancora aspetti della fisica nucleare che, in queste condizioni molto “fuori standard” non sono compresi fino in fondo, in parte perché le radiazioni all’interno della struttura di contenimento sono ancora troppo alte per permettere di piazzare sensori nel punto giusto e quindi capirci di più. E purtroppo l’elettronica è  molto sensibile alle radiazioni, perciò non esistono robot che possano fare il lavoro sporco lì dentro. I circuiti si friggerebbero in brevissimo tempo. 

Negli anni passati sono stati installati degli sprinkler, analoghi agli spruzzatori antincendio, sul soffitto del vecchio sarcofago, che spruzzavano soluzioni al gadolinio in grado di assorbire neutroni per limitare questo tipo di eventi. Tuttavia, vi sono zone che non sono raggiunte efficacemente dal liquido.  

Però è anche sbagliato lasciar intendere che potrebbe esserci “un nuovo incidente” senza specificare che le proporzioni di questo incidente non sarebbero nemmeno lontanamente paragonabili a quelle di uno dei disastri noti. Il condizionale è d’obbligo, perché si tratta di situazioni nuove dal punto di vista tecnologico, e quindi non c’è una reale certezza di cosa precisamente possa accadere, ma la situazione di partenza è talmente diversa da quella di un incidente nucleare vero e proprio che non c’è motivo di pensare che possano verificarsi problemi al di fuori della struttura di contenimento esterna.

Se anche dovesse instaurarsi una reazione a catena non controllata (cioè il caso peggiore) questa sarebbe autolimitante: ossia, porterebbe a un aumento di temperatura, che causerebbe un’espansione della massa del corium. La diminuzione di densità alzerebbe la soglia necessaria per la reazione a catena: quindi la reazione stessa si spegnerebbe. Le conseguenze si manifesterebbero in termini di accessibilità e gestibilità dell’ex Reattore 4, sulla possibilità di effettuare un monitoraggio più preciso e sui tempi di smantellamento che sono attualmente previsti in alcuni decenni. Finché c’è il rischio di queste reazioni, per quanto brevi e autolimitanti, il rischio di esposizione a dosi letali è troppo alto e quindi ogni operazione volta a gestire il corium è sospesa.

Quindi sì: queste reazioni complicano le cose, ma allo stato attuale delle conoscenze non sono da considerarsi un’emergenza pubblica.

 

Per saperne di più: www.sciencemag.org/news/2021/05/nuclear-reactions-reawaken-chernobyl-reactor

In copertina: la centrale di Chernobyl’ col nuovo sarcofago vista dal fiume Prip’jat’. Foto di Manuel Guastella / Nuk Agency