L’evento di onde gravitazionali GW170817 è stato recentemente eletto la scoperta fondamentale dell’anno 2017 dalla rivista Science. Come vi avevamo raccontato qui, è stato unico nel suo genere, non solo perché il primo collegato alla fusione di due stelle di neutroni invece che buchi neri, ma soprattutto perché è stata osservata anche la sua emissione nelle onde elettromagnetiche identificandolo come il lampo gamma breve GRB170817A.

Secondo i modelli teorici, due stelle di neutroni emettono onde gravitazionali mentre spiraleggiano una verso l’altra fino al momento in cui sono tanto vicine da fondersi, dando origine a un lampo gamma breve. Come vi avevamo raccontato qui, un lampo gamma è seguito dall’emissione detta di afterglow a tutte le altre frequenze. Si pensa che la fusione di due stelle di neutroni dia origine a un buco nero, attorno al quale si forma un disco di accrescimento che, in due secondi circa, cade sulla sorgente centrale a causa dell’intensa attrazione gravitazionale a cui è sottoposto. Il buco nero neonato però non ingloba tutto il materiale in caduta, ma ne “allontana” una parte sotto forma di due getti, che si muovono a velocità prossime a quelle della luce lungo la direzione del suo asse di rotazione. Questi getti emettono il lampo gamma breve e successivamente interagiscono con il materiale interstellare dando origine all’emissione di afterglow. Le caratteristiche di questa emissione sono cruciali per confermare o scartare i diversi modelli teorici che cercano di descrivere questi fenomeni celesti, motivo per il quale gli scienziati hanno proseguito con le osservazioni anche mesi dopo la sua scoperta.

Cosa sono riusciti a capire gli scienziati finora?

Anzitutto, questa sorgente è davvero interessante da studiare, in quanto al momento nessun modello teorico è in grado di spiegarne bene tutte le peculiarità.

Sebbene, infatti, l’articolo della collaborazione Fermi presentasse la scoperta di GRB170817A come quella di un lampo gamma breve “ordinario“,  è stato visto che questa sorgente mostra delle proprietà “intrinseche” che non possono essere classificate come ordinarie, tanto che alcuni ricercatori hanno proposto che questo oggetto possa appartenere a una nuova classe di lampi gamma, detti “intermedi”. Questo perché l’emissione in raggi gamma misurata dal satellite Fermi è stata relativamente più lunga e con proprietà spettrali diverse rispetto ai lampi gamma brevi considerati “ordinari”.

L’emissione di afterglow in raggi X è stata osservata solo parecchi giorni dopo la scoperta del lampo gamma da parte del satellite Fermi. Questa caratteristica, oltre al fatto di essere intrinsecamente debole, ha fatto capire agli scienziati che stavano guardando il getto non lungo la sua direzione di moto, ma “lateralmente” – off axis come si dice in gergo più tecnico. Secondo i modelli teorici, infatti, i getti si scontrano con il materiale interstellare e producono una forte onda d’urto. È proprio questa onda d’urto a causare l’emissione di afterglow all’incirca 100 secondi dopo il lampo gamma. Poiché il getto si muove a velocità relativistiche, possiamo misurare questa emissione, detta emissione on axis, solo nel caso in cui il getto si stia muovendo nella nostra direzione. In pratica, è come se stessimo osservando “qualcuno” – il getto – che ci spara un laser – l’emissione – dritto negli occhi. Appena il getto rallenta abbastanza durante la sua corsa, la sua emissione non è più così “direzionale”, ma i fotoni iniziano a diffondersi “lateralmente”. A questo punto, anche chi osserva da angolazioni diverse comincia a vedere l’emissione di afteglow, che viene chiamata in questo caso emissione off axis.

Se da un lato l’emissione di afterglow ha permesso di stabilire che non abbiamo osservato il fenomeno lungo la direzione del getto, dall’altro un semplice modello di getto osservato off axis non è in grado di spiegare tutte le caratteristiche intrinseche della sorgente, in particolare la distribuzione in energia dei fotoni gamma emessi e il picco di massima intensità, che il satellite Fermi ha misurato intorno ai 200 keV.

Sono stati quindi proposti diversi modelli alternativi, tra i quali abbiamo scelto i più significativi:

  • Modello a emissione diffusa: questo modello prevede la diffusione dell’emissione di afterglow on axis da parte di un guscio di materiale che si muove lentamente. Sebbene riproduca senza problemi lo spettro gamma, questo modello prevede l’esistenza di uno strato di transizione molto netto tra il materiale “lento” e quello che si muove a velocità relativistiche, e non si sa se uno strato del genere possa esistere davvero in natura.
  • Modello di shock breakout: questo modello introduce una nuova classe di lampi gamma brevi caratterizzati da bassa luminosità. Sebbene sia in grado di riprodurre l’evoluzione spettrale osservata, si tratta di un modello estremamente sensibile ai valori dei parametri.
  • Modello di emissione a cocoon: questa cocoon non è l’energia dell’universo dell’omonimo film di Ron Howard degli anni ottanta, bensì un bozzolo di materiale caldo formatosi dal materiale residuo dell’esplosione perché il getto non riesce a spazzarlo via con forza. Questo bozzolo assorbe l’emissione del getto ed emette nelle bande X e radio su un angolo molto grande.

Tuttavia alcuni ricercatori hanno fatto notare che la misura dell’energia di picco effettuata con l’osservazione del satellite Fermi è affetta da un grande errore strumentale per cui la determinazione quantitativa dell’energia di picco potrebbe non essere così attendibile e questo riporterebbe in auge anche il semplice modello di getto osservato off axis.

Le osservazioni più recenti in banda radio con il radiotelescopio VLA e in banda X con il satellite Chandra, appena pubblicate su Nature, sembrano però favorire il modello di emissione a cocoon in quanto è stato osservato un incremento nella emissione di afterglow sia nella banda radio che nei raggi X proprio come previsto dal modello. Tuttavia è presto per tirare una conclusione definitiva, serviranno altre osservazioni dell’emissione di afterglow sul lungo periodo per avere maggiori certezze.

In futuro, una statistica più ampia di questi fenomeni di fusione di stelle di neutroni osservati sia attraverso il canale elettromagnetico che in quello delle onde gravitazionali ci permetterà di capire se la formazione di un bozzolo o cocoon durante la fusione di due stelle di neutroni sia un fenomeno comune oppure no. Quindi rimanete in attesa per le nuove scoperte che ci saranno con la prossima campagna osservativa degli interferometri LIGO e VIRGO.

Bibliografia:

https://public.nrao.edu/news/neutron-star-merger-phenomena/#PRimage0

Immagine di copertina: il “chirp” della fusione (Courtesy Caltech/MIT/LIGO Laboratory)