Ci sono scienziati che scoprono cose nuove. Di solito, hanno una brillante intuizione, ci lavorano sopra, trovano un modo di verificare se è solo l’effetto di una impressione, di una fluttuazione statistica, o se invece si sono imbattuti in un fenomeno nuovo. Di solito, ci si trova nel primo caso. Anni fa dovetti rimandare la discussione della mia tesi di laurea per una fluttuazione statistica: sfortunatamente non avevo trovato un barione più leggero del protone, altrimenti avrei già fatto un giro a Stoccolma a ritirare un premio Nobel…
La validazione di una nuova teoria scientifica è una procedura universalmente accettata e improntata al principio esposto all’inizio del XIV secolo da Guglielmo di Ockham:
“A parità di fattori, la spiegazione più semplice è da preferire.”
In termini scientifici moderni, questo principio si traduce nella necessità, da parte di chi propone una nuova teoria o un nuovo fenomeno, di dimostrare che quello che presenta non è già spiegato da quello che già conosciamo: chiamiamo questa procedura “reiezione dell’ipotesi nulla”. In altre parole, il bravo scienziato parte dall’ipotesi di non aver scoperto nulla e fa di tutto per ricondurre il suo fenomeno “nuovo e misterioso” a qualcosa di noto e accettato. Se non ci riesce, e se non ci riesce nemmeno qualcun altro che fa lo stesso studio in modo indipendente, la nuova teoria viene accettata e chi l’ha proposta diventa famoso.
Nel caso di medicina e biologia, il discorso è estremamente complicato. Innanzi tutto, i fenomeni sotto studio coinvolgono sistemi molto più complessi rispetto, ad esempio, alla fisica fondamentale: le equazioni di quest’ultima, pur se difficili da capire, coinvolgono un numero di variabili “piccolo” e molto ben controllato, rispetto ad un sistema vivente. Inoltre, quando si testa, ad esempio, un nuovo farmaco, bisogna stare attenti all’effetto placebo, ovvero alla tendenza delle persone a reagire positivamente quando credono di essere sottoposte ad una cura efficace, e al “bias” del ricercatore, ovvero alla distorsione involontaria dei risultati a favore della propria idea. Per questo, da molti anni si usano diverse tecniche, tra cui quella del “doppio cieco”: il nuovo farmaco viene somministrato ad un gruppo di pazienti e un placebo ad un altro gruppo, e né i pazienti né i medici sanno chi sta ricevendo cosa fino alla fine del periodo di test.
Oltre che alla medicina, il test del doppio cieco e la reiezione dell’ipotesi nulla sono concetti applicati in un sacco di altre discipline, tra cui, non ultima, l’agronomia. Una nuova tecnica potrebbe dare risultati migliori, ma va dimostrato con un test scientificamente affidabile. Questo non è mai stato fatto, ad esempio, con l’agricoltura biodinamica. Secondo la più approfondita review scientifica sull’argomento, l’agricoltura biodinamica ha risultati simili a quella biologica, mentre, rispetto alla coltivazione industriale, la produzione è minore per unità di superficie (anche se maggiore per energia consumata) e il terreno è biologicamente più attivo. In altre parole, di tutte le pratiche che prevede l’agricoltura biodinamica, sembra che l’unica che ha qualche effetto sia la riduzione di composti chimici di sintesi, il resto è stregoneria… che, come sempre, tende a lasciare il tempo che trova.

Preparazione del cornoletame (preparato 500 dell’agricoltua biodinamica) – Immagine da Flickr.
Ciononostante, la fama dei prodotti biodinamici è in continuo aumento. In questi giorni l’Università Bocconi ha ospitato un convegno nazionale sull’agricoltura biodinamica che ha raccolto un sacco di adesioni eccellenti, tra le quali alcune spiccano e meritano un piccolo commento in più. Il padrone di casa era il Senatore Mario Monti, ex Presidente del Consiglio e Presidente della Bocconi stessa: alcuni giornali hanno sottolineato la sua presenza, ma dal punto di vista economico la biodinamica può essere un grande business, a prescindere dal fatto che abbia basi scientifiche o meno. Il Ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina, è un altro nome sul quale potrebbero nascere polemiche. In fondo, nella sua posizione, troverei altrettanto stridente sia l’andare che il rifiutare l’invito. Nel complesso non lo invidio. La presenza per me più inopportuna è quella di Carlo Petrini, fondatore di SlowFood: chi pensa all’agricoltura solo dal punto di vista della qualità dei prodotti dovrebbe avere un occhio più attento alla validità scientifica di ciò di cui si parla. Non è il solo, in Italia, ad avere un entusiasmo scientificamente immotivato per l’agricoltura biodinamica: nel suo ruolo di difensore della tradizione alimentare e della qualità in agricoltura, auspicheremmo, da lui e da quanti come lui portano avanti questo degnissimo e serissimo discorso, un approccio più pragmatico all’argomento.
Se l’agricoltura biologica più tutti i rituali del biodinamico (cornosilice cosparso sui campi dopo la dinamizzazione in diluizione omeopatica, scegliendo il giorno e l’ora a seconda dell’oroscopo e simili) dà gli stessi risultati dell’agricoltura biologica da sola, forse dovremmo seguire la strada che ci ha indicato Guglielmo da Ockham non ieri, ma 700 anni fa e lasciar perdere tutto quello che c’è di inutile…
Non sarà prettamente scientifico ma l’aumento della fertilità nei terreni “biodinamici” è nelle cose. Il rasoio di Ockham lo vorrei non solo nella scienza, non solo in agricoltura e non solo nel giornalismo.
Non so cosa intendi con “è nelle cose”: quello che posso fare io è soltanto fare riferimento a studi scientifici che mi dicono che non ci sono differenze misurabili tra biologico e biodinamico. Fino a prova contraria, questo vuol dire visto che tendenzialmente le procedure dell’agricoltura biologica sono un sottoinsieme di quelle dell’agricoltura biodinamica, che tutto ciò che il biodinamico prevede in più rispetto al biologico non ha effetti. Non essendoci però nessuno studio (almeno a mia conoscenza) davvero esaustivo, non affermo oltre ogni ragionevole dubbio che il biodinamico sia una mera illusione, mi limito a sospettarlo fortemente, visto che dovrebbe essere interesse di chi ci crede dimostrare che funziona davvero.
Se ne facciamo una mera questione scientifica hai ragione. Da produttore bio sto conoscendo da poco il biodinamico, ne ho visto gli effetti e conosciute le argomentazioni, che il mondo biodinamico possa apparire come stregoneria è vero, che non sia un modo diverso di fare agricoltura ma una scelta di vita è vero anche questo, mi auguro che si possa migliorare, certificata o no, la nostra qualità di vita.
Ne dubito. Molto.
Questo tuo ultimo commento mi dà una visione molto diversa dal primo. Sono perfettamente d’accordo con te. Il biodinamico non ha significato scientifico, ma rappresenta un modo diverso di affrontare la vita in simbiosi con la natura. Questo è un tipo di approccio filosoficamente interessante e, tutto sommato, mi sento di comprenderlo. Non di condividerlo, perché è comunque un approccio “a posteriori” che ricostruisce una serie di rituali a partire da idee generali in qualche modo “inventate”, invece di partire dall’esperienza e costruire regole generali, come, a mio avviso, sarebbe meglio fare quando si ha a che fare con il mondo che ci circonda. In questo senso, la filosofia antroposofica riempie il vuoto che in molti di noi ha lasciato l’ateizzazione della nostra società, restituendoci una dimensione spirituale di cui spesso ci illudiamo di poter fare a meno, ma che, in qualche modo, sentiamo comunque il bisogno. Secondo me, tuttavia, a livello di soddisfazione di questo bisogno di sentirsi in armonia con la natura, ci sono approcci filosofici più efficaci e più onnicomprensivi rispetto al biodinamico, ma questo è un altro discorso.
Il contadino era detentore di una cultura tra mito e verità che ormai si va sempre più a perdere, ora si trova a praticare l’agricoltura senza porsi tante domande e seguendo i consigli dei tecnici. E’ “naturale” che la scoperta del biodinamico sia per lui come un risveglio interiore… ma a questo punto servirebbe una bella birra fresca. Ad maiora.