Nuovi dati dall’esperimento LHCb del CERN potrebbero indicare la più importante scoperta in fisica delle particelle degli ultimi decenni.

Dei quattro grandi rivelatori che lavorano sul Large Hadron Collider, forse LHCb è il meno noto, ma un preprint pubblicato recentemente lo ha fatto, molto meritatamente, risaltare agli onori delle cronache. La misura è sul decadimento di una particolare classe di mesoni in altri più leggeri attraverso l’emissione di coppie di elettroni e antielettroni o di muoni e antimuoni. I mesoni studiati sono quelli che contengono almeno un quark b (che, nell’articolo, gli autori chiamano beauty, bellezza, il nome “antico” che purtroppo è stato sostituito ormai quasi del tutto con il meno affascinante bottom) che decade in un quark s (strange) attraverso un fotone o un bosone intermedio Z0, che a sua volta decadrà nella coppia leptone antileptone. Secondo il modello standard, i decadimenti nel canale muonico e in quello elettronico dovrebbero avere la stessa probabilità, ma le misure indicano una preferenza abbastanza marcata per il canale elettronico, e questo non sarebbe spiegabile se non introducendo nuove particelle o nuove interazioni fondamentali nel modello stesso.

Per capire meglio questa misura, conviene fare un passo indietro. Nelle collisioni tra protoni in LHC si producono un numero immenso di particelle, principalmente composte da quark: le interazioni forti tra i quark dei protoni che vengono fatti scontrare hanno infatti una probabilità molto alta di produrre altri quark che andranno a legarsi in mesoni, composti da un quark e un antiquark, e barioni, composti da tre quark (o antibarioni composti da tre antiquark). A differenza della materia di cui siamo fatti, i nuovi adroni, mesoni o barioni, conterranno anche quark più pesanti di up e down. Questi quark decadranno emettendo varie particelle, fino a lasciare solo materia ordinaria e radiazione elettromagnetica. I quark pesanti possono decadere in diversi modi, in questo caso attraverso un processo abbastanza complicato, che coinvolge prima un loop con un bosone W, e poi un fotone o un bosone Z0 (vedi figura).

Quindi, un quark b, che pesa circa 4200 MeV, decade in un quark s, che ne pesa poco meno di 100, emettendo un bosone Z0 (che pesa molto di più, ma vivendo un tempo brevissimo può farlo, grazie al principio di indeterminazione di Heisenberg) o un fotone che a sua volta decade in una coppia leptone-antileptone. L’energia a disposizione nella reazione è quindi di qualche migliaio di MeV, che andrà nella massa e nell’energia delle particelle figlie. Nel caso di una coppia elettrone-antielettrone, l’energia che deve essere convertita in massa è molto piccola, circa un MeV, mentre nel caso della coppia muone-antimuone ne servono circa 200, ma comunque sempre una quantità piccola rispetto quanto c’è a disposizione. Il modello ci consente di calcolare con notevole precisione l’effetto di questa differenza di massa sulla probabilità dei due canali di decadimento e soprattutto prevede che questa differenza sia l’unica possibile.

I diagrammi di Feynman che descrivono il decadimento leptonico dei mesoni B nel modello standard (a sinistra, per cui non si prevede differenza tra elettroni e muoni) e considerando una nuova particella che invece potrebbe avere un accoppiamento diverso con i diversi leptoni (a destra). Immagine dall’articolo originale.

Il bosone Z0 o il fotone non fanno nessuna distinzione tra elettroni e muoni: per loro sono identici. Questo concetto viene definito universalità leptonica ed è incardinato nel modello standard delle particelle elementari. È facile visualizzarlo se consideriamo il fotone: quando calcoliamo il suo effetto su una particella dotata di carica elettrica ci interessa solo il valore della carica stessa, e non la natura della particella. Ogni interazione fondamentale, e quindi ogni bosone mediatore dell’interazione, “vede” solo determinate caratteristiche delle particelle con cui interagisce, e, per fotone e Z0, elettrone e muone sono identici, quindi la probabilità di decadimento, una volta corretta per la differenza di masse, deve essere identica.

I dati, però, ci mostrano che identica non è, con una significatività statistica di 3.1 sigma.

La quantità di sigma, che è un parametro legato alla variabilità statistica dei dati, ci dice quante probabilità ci sono che la nostra misura sia solo una fluttuazione statistica oppure sia una scoperta eccezionale. Se il mio numero dista 1 sigma da quanto atteso, ho il 32% di probabilità che sia una fluttuazione statistica, probabilità che scende al 5% a 2 sigma, 0.27% a 3 sigma e così via. In fisica delle particelle, 3 sigma vuol dire “fondato sospetto”, diciamo, 4 sigma “iniziamo a sperare sul serio” e 5 sigma sancisce l’ufficialità della scoperta.

Per questo, l’articolo di LHCb non ci fa ancora saltare sulla sedia, ma inizia a stuzzicare seriamente la nostra curiosità. Se confermato a statistica migliore, significherà che dovremo aggiungere qualche ingrediente al modello standard, molto probabilmente qualche particella “esotica”.

Il candidato migliore è un “leptoquark”, ovvero una particella che si accoppi sia con quark che con leptoni e che abbia “caratteristiche intermedie” tra le due classi di particelle, oltre che avere diverse probabilità di interazione con elettroni e muoni, che possano spiegare l’anomalia misurata da LHCb. Per ora, però, essendo solo al livello di “fondato sospetto”, dovremo attendere dati migliori… ma finalmente con qualcosa di molto concreto da guardare con interesse!

Per saperne di più:
https://home.cern/news/news/physics/intriguing-new-result-lhcb-experiment-cern
https://arxiv.org/abs/2103.11769

Immagine di copertina: Sezione di LHCb (immagine di pubblico dominio)