Come ricostruiamo la realtà che ci circonda? il cervello opera tantissimi “trucchi” che completano la nostra parzialissima percezione della realtà…

Ogni giorno, quando ci svegliamo, i nostri organi di senso ci danno le informazioni necessarie per interagire con la realtà: sentire la sveglia, annusare il profumo di caffè, vedere dove abbiamo parcheggiato la macchina… L’esperienza di queste sensazioni è così definita che ci è difficile pensare che non siano altro che la realtà. Eppure non lo sono; sono piuttosto un’utilissima ricostruzione.

Ogni informazione che colpisce i nostri organi di senso, infatti, viene trasportata al nostro cervello sotto forma di impulso elettrico e non c’è nessuna differenza tra un impulso e un altro. Ciò che fa la differenza nel tenere separate le informazioni è il modo in cui gli organi di senso sono connessi con diverse parti della corteccia cerebrale. Una volta raggiunta la corteccia, l’informazione viene ulteriormente processata, spostata in altre aree e integrata con informazioni provenienti da altri sensi e con le nostre memorie per poter giudicare qual è la migliore azione da intraprendere. Per spostare l’informazione, le cellule che formano la corteccia cerebrale, i neuroni, devono comunicare tra di loro. Anche in questo caso la comunicazione avviene grazie a impulsi elettrici, tutti uguali tra di loro. I nostri organi di senso quindi trasformano e frammentano la realtà in una serie di impulsi elettrici. La parte più interessante è che l’insieme di tutte queste minuscole correnti elettriche risulta in una ricostruzione della realtà talmente ben fatta da permetterci quasi sempre di interagire con il mondo con successo e risultati sorprendenti.

In questa ricostruzione vengono incluse solo le informazioni che l’evoluzione ha selezionato come importanti per il nostro successo nell’interazione con il mondo. Di conseguenza ci sono grandi parti della realtà che non possiamo percepire. Per esempio, percepiamo solo una piccola parte delle onde elettromagnetiche, cioè vediamo i colori dal rosso al viola, ma non gli ultravioletti che al contrario sono percepiti da altri esseri viventi, come alcuni pappagalli. Percepiamo alcune molecole volatili, cioè gli odori, ma la nostra esperienza di quella parte di realtà è incompleta, soprattutto se confrontata con altri animali per cui l’olfatto è la fonte di informazione principale, come i cani.

Nel nostro caso il senso che si è maggiormente sviluppato è la vista, e qui il cervello deve risolvere un problema non indifferente, poiché purtroppo tutti noi nel nostro campo visivo abbiamo un punto cieco. Questo succede perché il tessuto sensibile alla luce, la retina, è posizionato sul fondo dell’occhio, e le fibre deputate a portare l’informazione dalla retina alla corteccia cerebrale, chiamati assoni, invece di svilupparsi dietro alla retina, si sviluppano davanti a essa. Gli assoni, quindi, per tornare verso il cervello devono passare attraverso la retina stessa che presenta, a tutti gli effetti, un buco. Ci toglie circa 5 gradi di visione in larghezza e circa 7 in altezza.

Rappresentazione della struttura interna dell’occhio. La superficie esterna dell’occhio dalla quale entra la luce è rappresentata come uno spessore azzurro in alto nell’immagine. Sulla superficie opposta si trova la retina e i le fibre che oltrepassando la retina vanno verso il cervello sono chiamate nervo ottico (immagine da Wikimedia Commons)

Non ci credete? Vi propongo un esperimento.

Prendete un foglio a quadretti, disegnate una croce sulla sinistra del foglio e un pallino sulla destra a circa 8-10cm di distanza, come nella foto qui sotto. Ora chiudete l’occhio sinistro e alzate il foglio davanti a voi vicino al viso in modo che la croce sia di fronte all’occhio destro. Tenendo lo sguardo dell’occhio destro fisso sulla croce allontanate il foglio piano piano.

Metodo per trovare il proprio punto cieco. Nell’esempio, il foglio ha dimensione A5 e i quadretti sono di 5mm

Il pallino a un certo punto sparisce completamente. Anzi, non solo sparisce, ma al suo posto c’è il foglio a quadretti. Per evitare di avere costantemente un buco di informazione in un punto del campo visivo, il cervello interpola i dati che ha a disposizione e inferisce quale tipo di informazione dovrebbe esserci nel punto cieco. In parole povere, il cervello inventa quello che c’è nel punto cieco quando teniamo l’occhio fermo. Questo trucco fa in modo di darci l’esperienza di un mondo più costante rendendo più facile prendere delle decisioni sulle azioni da compiere. Fortunatamente, nella vita di tutti i giorni sono poche o nulle le occasioni in cui il punto cieco è rilevante per la visione poiché i due occhi, se si sviluppano in modo tipico, compensano uno per il punto cieco dell’altro. Le correnti elettriche provenienti dai due occhi vengono infatti trasportate nella corteccia cerebrale e piano piano integrate in un crescendo di complessità fino a risultare in una credibile ricostruzione della realtà.

Per saperne di più:

Abadi, R. V., Jeffery, G., & Murphy, J. S. (2011). Awareness and filling-in of the human blind spot: linking psychophysics with retinal topography. Investigative ophthalmology & visual science, 52(1), 541-548.
Pearn, S. M., Bennett, A. T., & Cuthill, I. C. (2001). Ultraviolet vision, fluorescence and mate choice in a parrot, the budgerigar Melopsittacus undulatus. Proceedings of the Royal Society of London. Series B: Biological Sciences, 268(1482), 2273-2279.
Spillmann, L., Otte, T., Hamburger, K., & Magnussen, S. (2006). Perceptual filling-in from the edge of the blind spot. Vision Research, 46(25), 4252-4257.