I batteriofagi, virus che infettano esclusivamente i batteri, vennero scoperti a inizio ‘900 da Felix d’Herelle. Questo è il primo esempio di una serie di virus potenzialmente utili per l’uomo
Questa è la storia di Felix D’Herelle, microbiologo franco-canadese nato nel 1873.
Ai tempi non si sapeva cosa fosse un virus, solo nel 1898 venne identificato il primo virus delle piante: il virus del mosaico del tabacco, seguito nei primi anni del ‘900 dall’identificazione di alcuni virus umani.
La carriera di D’Herelle si incrocia più volte con gli escrementi, nel 1910 infatti iniziò a studiare la diarrea delle cavallette, prima in Messico e poi in altre parti del mondo, identificando dei coccobacilli come causa. Durante lo studio di questi batteri, nella coltivazione degli stessi sulle piastre di agar, notò che a volte comparivano delle zone opache in cui i batteri non crescevano. Decise quindi di prendere queste zone chiare e osservarle al microscopio, ma non riuscì a identificare nulla. Provò allora a filtrarne il contenuto con dei filtri di porcellana, procedura nota per eliminare i batteri e particelle di simili dimensioni, e vide che le proprietà rimanevano invariate, il che significava che la causa risiedeva in qualcosa di molto piccolo.
Nel 1917 passò a studiare umani, nei quali osservò un fenomeno simile. Isolando i batteri dalle feci di pazienti con problemi gastrointestinali, in particolare causati da un batterio chiamato Shigella, vide di nuovo la comparsa di zone più chiare. Notò, inoltre, che nei pazienti in via di guarigione queste erano più frequenti rispetto ai pazienti con sintomi acuti. Decise, quindi, di filtrare le feci di questi pazienti e incubarle con i batteri che aveva cresciuto separatamente. Il giorno successivo, all’apertura dell’incubatore, scoprì che qualcosa contenuto nel filtrato aveva la capacità di uccidere i batteri. D’Herelle presentò i risultati dei suoi studi nel 1917 all’Académie des sciences, chiamando l’agente filtrabile batteriofago, letteralmente “mangiatore di batteri”.
È così che scoprimmo quei virus, oggi chiamati comunemente fagi, che infettano i batteri.

Placche fagiche: le zone più chiare sono create dalla presenza di fagi capaci di uccidere i batteri risultando in un cambio di opacità
La comunità scientifica non fu subito pronta ad accogliere la scoperta che anche i batteri possono essere infettati dai virus, ma D’Herelle comprese che questi virus potevano avere un’utilità.
Iniziò quindi a coltivarli, cercando di capire come fare ad averne grandi quantità per poi poterli utilizzare per curare alcune patologie batteriche. Dapprima portò avanti esperimenti preliminari negli animali, per quella che oggi chiamiamo terapia fagica. Per comprendere se potessero esserci effetti nocivi, ingerì e si iniettò dei fagi, senza avere particolari effetti collaterali. Decise quindi di iniziare a trattare dei pazienti, con effetti positivi. Nel mentre, in tutto il mondo si cominciò a utilizzare la terapia fagica non solo per trattare i pazienti, ma anche per trattare acque potenzialmente contaminate. La terapia fagica andò presto in declino, soprattutto per via della scoperta degli antibiotici, che presentano indubbiamente dei vantaggi. In questo caso infatti non parliamo di un preparato biologico, contenente dei fagi, ma chimico, costituito da composti sintetizzabili, molto più standardizzabile nella produzione, di cui è facile studiare permanenza e metabolismo all’interno del corpo umano. Gli antibiotici davano la sicurezza di non avere risposte immunitarie e risolvendo il problema dello sviluppo di resistenza che sembrava poter apparire con la terapia fagica, causandone una mancata efficacia.
Ironia della sorte, proprio il problema della resistenza, questa volta agli antibiotici, ha fatto sì che negli ultimi anni si stia rivalutando la terapia fagica. Sono stati autorizzati recentemente alcuni trial clinici in Europa e negli Stati Uniti per valutare la possibilità di produrre cocktail fagici e utilizzarli in terapie sistemiche o per trattare ustioni. Ci sono ancora molti ostacoli al possibile utilizzo di questi virus come terapia, ma di sicuro possono costituire un’arma da tenere in serbo nella guerra all’antibiotico-resistenza.
Inoltre, questa storia ci fornisce il primo esempio di come esistano dei virus che, non solo non sono patogeni per l’uomo, ma sono anche utili!
Per saperne di più:
Carl Zimmer – A planet of viruses
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2542892/
https://jamanetwork.com/journals/jama/article-abstract/2725218
Immagine di copertina: Bacteriophages via nobeastsofierce/Shutterstock
Immagine del testo: Bacteriophage plaques/Shutterstock